Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 8059 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 8059 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di: COGNOME NOME, n. in Bulgaria il DATA_NASCITA; avverso la sentenza del 22/12/2015 della Corte di appello di Brescia; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta le conclusioni scritte trasmesse dal Pubblico ministero, in persona del sostituto AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Brescia, con la sentenza inckata in epigrafe (estratto contumaciale notificato alla imputata solo in data 18 aprile 2023) confermava la dichiarazione di responsabilità dell’imputata per i reati di rapina (aggravata ai sensi del comma terzo, n. 2, cod. pen.) commessi nel mese di gennaio 2002 ed il successivo 4 aprile; riduceva la pena irrogata in primo grado (sentenza del 16/10/2007) ad anni due e mesi quattro di reclusione, euro 450 di multa, revocando contestualmente l’indulto. Il Tribunale aveva già riconosciuto le circostanze attenuanti generiche in giudizio di prevalenza rispetto alle contestate e riconosciute aggravanti ed aveva applicato l’indulto per l’intera misura della pena.
Avverso tale sentenza ricorre l’imputata, a mezzo del difensore di fiducia, deducendo i motivi in appresso sintetizzati, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
2.1. violazione e falsa applicazione della legge penale sostanziale ed inosservanza di quella processuale, vizi di motivazione dedotti in maniera promiscua, (art. 606, comma 1, lett. b, c ed e, cod. proc. pen., in relazione agli artt. 628 comma terzo, cod. pen., 192, 546 e 533 cod. proc. pen.), per aver la Corte riconosciuto la responsabilità della ricorrente per i delitti di rapina aggravata, nonostante il mancato riconoscimento della imputata in udienza da parte delle persone offese presenti, così disapplicando la regola di giudizio che consente di ritenere la persona responsabile del fatto ascritto solo se la colpevolezza risulti dimostrata al di là del ragionevole dubbio. La Corte ha infatti confermato il giudizio di responsabilità sulla sola base di elementi indiziari (sia pur convergenti) quanto mai equivoci ed incerti, potendo la persona che aveva in uso quella determinata vettura e quella determinata utenza telefonica al momento del fatto non corrispondere all’imputata tant’è che le due distinte persone offese in dibattimento non riconobbero affatto l’imputata quale autrice dei fatti contestati.
2.2. Ancora, violazione e falsa applicazione della legge penale incriminatrice e vizi promiscui della motivazione sono dedotti in riferimento alla assoluta carenza di violenza nella condotta tenuta dalla imputata, non avendo potuto costei costringere due uomini maturi ad ingerire un cioccolatino e neppure potendo ritenersi dimostrata l’efficacia narcotizzante del cioccolatino ingerito dagli offesi; difetterebbero pertanto gli elementi costitutivi materiali dei reati contestati, come pure della aggravante ad effetto speciale (comma terzo, n. 2, dell’art. 628 cod. pen.) ritenuta in sentenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va dichiarato inammissibile, giacché entrambi i motivi non si confrontano con la diffusa e analitica motivazione della sentenza impugnata e propongono (soprattutto il primo) censure di merito, avuto riguardo all’apprezzamento della prova della responsabilità che la Corte territoriale ha argomentato diffusamente, con logica ineccepibile, in maniera congruente con le evidenze raccolte in istruttoria.
1.1 A fronte della duplice condanna in primo ed in secondo grado, i vizi di motivazione (dedotti peraltro in maniera inammissibilmente promiscua, v. Sez. u, n. 29541 del 16/07/2019, dep. 23/10/2020, COGNOME e RAGIONE_SOCIALE, in motiv.) e le violazioni di legge (sostanziale e processuale) denunziate, non possono essere coltivati dinanzi a questa Corte, se non nel caso in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti ovvero nel caso in cui il ricorrente rappresenti – con specifica deduzione – che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado. (Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, Rv. 283777 – 01; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, Rv. 269217 – 01; Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Rv. 256837; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 dep. 2014, Rv. 258438).
1.2. D’altra parte, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595). Siffatta integrazione tra le due motivazioni si verifica non solo allorché i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico – giuridici della decisione, ma anche, e a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (da ultimo,
Sez. 4, n. 56311-18, del 28/11/2018; Sez. 2, 55955-18, del 10/9/2018; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 12/04/2012, Rv. 252615). –
1.3. Tanto chiarito quanto all’ambito del sindacato di legittimità sulla motivazione della sentenza d’appello in caso di doppia pronuncia di colpevolezza, va rilevato come le deduzioni difensive in tema di responsabilità siano volte a sollecitare una diversa, quanto inammissibile, valutazione delle emergenze processuali, avendo la Corte dato conto del claudicante riconoscimento della imputata da parte delle persone offese in dibattimento (a distanza di cinque anni dai fatti), ma avendo per converso la Corte apprezzato l’univoco e grave significato indiziante di più elementi logici convergenti verso la persona dell’imputata (l’agente veniva riconosciuta da una delle persone offese, che il giorno successivo alla consumazione del fatto predatorio la incontrava alla guida di una vettura a lei intestata; anche l’utenza telefonica risulterà poi intestata alla stessa imputata, che aveva con quella utenza contattato la vittima dei fatti commessi con le stesse modalità nel gennaio precedente), operazione che, a fronte del preciso ancoraggio alle epifanie processuali e del rigore logico giuridico che connota le scansioni dell’iter argomentativo delle decisioni impugnate, non può trovare spazio in sede di legittimità.
1.4. La medesima sorte avvince il secondo motivo di ricorso, avendo la Corte diffusamente argomentato la sussistenza ontologica e giuridica degli elementi costitutivi del reato: violenza costrittiva (uniformemente testimoniata) usata dall’agente per introdurre il cioccolatino nel cavo orale delle due diverse persone offese; stato soporifero e narcosi sopravvenuta, cagionata dall’unico elemento ingerito, sottrazione dei valori posseduti dagli offesi, allontanamento dell’agente che portava seco i beni appena sottratti. Tali elementi integrano il tipo contestato in perfetta sintonia alla consolidata giurisprudenza della Corte (Sez. 2, n. 41005, del 18/05/2020, Rv. 274236; Sez. 2, n. 50155 del 16/11/2004, Rv. 230601; Sez. 2, n. 4040, del 3/12/2020, dep. 2021, non mass.). Il giudizio di merito ha infatti accertato (in assenza di elementi che possano indurre a ritenere non veridico o inverosimile il narrato degli offesi) che lo stato di narcosi fu indotto proprio dalla assunzione “nolente domino” del cioccolatino e che alla provocata incapacità seguì, in connessione finalistica, la sottrazione patrimoniale; il che costituisce anche circostanza aggravante della rapina che, in tal caso, è da ritenersi reato complesso costituito dalla fusione del reato di furto con quello di procurata incapacità.
L’inammissibilità del ricorso comporta che del tempo successivo alla data della sentenza impugnata non si può tener conto ai fini del computo dei termini di prescrizione, non essendosi mai realizzato un corretto rapporto impugnatorio (Sez. u, n. 32 del 22/11/2000, Rv. 217266 – 01).
Ai- sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con -il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi, per quanto sopra argomentato, profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 26 gennaio 2024,
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Il Consigliere estensore