Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27153 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27153 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 10/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME COGNOME (CUI CODICE_FISCALE) nato il 13/10/1996
NOMECUI CODICE_FISCALE nato il 13/07/2000
NOME COGNOME nato il 25/10/2001 avverso la sentenza del 04/12/2024 della Corte di Appello di Torino
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi.
udite le conclusioni del difensore del ricorrente NOME COGNOME Avv. NOME COGNOME che ha insistito nei motivi di ricorso e chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato.
RITENUTO IN FATTO
GLYPH NOME COGNOME Nsi NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza del 04 dicembre 2024 con la quale la Corte di appello di Torino, ha confermato le condanne inflitte nei confronti dei ricorrenti dal Giudice dell’udienza
preliminare del Tribunale di Torino con sentenza emessa in data 25 marzo 2024 per i reati rispettivamente ascritti.
NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, propone ricorso avverso la sentenza di condanna con la quale è stata ritenuto colpevole dei reati di rapina, lesioni, furto e resistenza a pubblico ufficiale e per l’effetto condannato alla pena di anni 2, mesi 6, giorni 20 di reclusione ed euro 1.400,00 di multa.
2.1. Il ricorrente, con il primo motivo di impugnazione, lamenta violazione dell’art. 624 cod. pen., travisamento della prova nonché manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di furto.
Secondo la difesa, la condotta posta in essere dal COGNOME (il quale si sarebbe limitato a raccogliere la bicicletta abbandonata dalla persona offesa per poi utilizzarla temporaneamente per trovare un taxi nel piazzale antistante la stazione) non sarebbe idonea a perfezionare il reato di furto.
In particolare, tale condotta non sarebbe fondata su una volontà di appropriarsi indebitamente della bicicletta del COGNOME, come peraltro desumibile anche dal fatto che il mezzo è stato restituito al proprietario nell’immediatezza dei fatti.
2.2. Il ricorrente, con il secondo motivo di impugnazione, lamenta violazione dell’art. 628 cod. pen., travisamento della prova nonché manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di rapina.
È stata eccepita la mancanza di prova in ordine alla sussistenza di un accordo tra gli imputati volto alla realizzazione della contestata rapina.
L’istruttoria dibattimentale avrebbe dimostrato che la colluttazione con le persone offese sarebbe conseguenza del comportamento incivile del COGNOME (il quale si sarebbe determinato a schiaffeggiare il suo interlocutore per ottenere un passaggio) e dell’inaspettata reazione del COGNOME in assenza di una volontà predatoria con conseguente insussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 628 cod. pen.
L’apprensione del pacchetto di sigarette sarebbe, peraltro, frutto di un’estemporanea e non concordata decisione dell’Eyoma ed, in ogni
caso, il complessivo comportamento degli imputati, frutto dello stato di ebrezza alcolica in cui gli stessi versavano, non supererebbe la soglia del tentativo.
2.3. Il COGNOME, con il terzo motivo di impugnazione, lamenta violazione dell’art. 628 cod. pen., travisamento della prova nonché manifesta illogicità della motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell’ipotesi attenuata di rapina.
La Corte territoriale avrebbe del tutto ignorato la richiesta avanzata in udienza di riconoscimento dell’attenuante della lieve entità del fatto con conseguente carenza di motivazione.
2.4. Il ricorrente, con il quarto motivo di impugnazione, eccepisce violazione ed erronea interpretazione dell’art. 337 cod. pen., travisamento della prova nonché manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di resistenza a pubblico ufficiale.
A giudizio della difesa, la condotta del COGNOME non sarebbe fondata su una volontà di opporsi ad un atto di ufficio in quanto il ricorrente si sarebbe limitato a scalciare e ad utilizzare un frasario inurbano perché, anche a causa dello stato di ebrezza alcolica, avrebbe frainteso ed “erroneamente interpretato come eccessivo il vedersi puntare il taser per la richiesta di un controllo e la consegna dei documenti” (vedi pag. 7 del ricorso).
2.5. Il ricorrente, con il quinto motivo di impugnazione, eccepisce violazione ed erronea interpretazione degli artt. 61 n. 2, 582-585 cod. pen., travisamento della prova nonché manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dell’aggravante contestata al capo 4) dell’imputazione.
Il COGNOME non avrebbe, infatti, colpito le persone offese al fine di garantirsi l’impunità per il reato di rapina ma si sarebbe determinato ad agire solo perché, a causa della sua condizione di ubriachezza, non intendeva accettare un rifiuto alla sua richiesta di avere un passaggio in macchina fino alla propria abitazione.
2.6. Il ricorrente, con il sesto motivo di impugnazione, deduce violazione ed erronea interpretazione degli artt. 61 n. 2, 582-585 cod. pen., travisamento della prova nonché manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza del reato di lesioni di cui al capo 5) dell’imputazione.
Le lesioni cagionate agli operanti avrebbero dovuto essere assorbite nel reato di resistenza a pubblico ufficiale. La condotta del COGNOME sarebbe priva del necessario elemento psicologico in quanto conseguenza di una “sconsiderata ed illogica reazione alcolica” (vedi pag. 8 del ricorso).
2.7. Il COGNOME, con il settimo motivo di impugnazione, deduce violazione ed erronea interpretazione degli artt. 62-bis e 133 cod. pen. nonché manifesta illogicità della motivazione in ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio ed alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
La Corte territoriale non avrebbe tenuto conto del fatto che la condotta rubricata non è stata premeditata ma frutto della condizione di ubriachezza in cui versava il Burov, che i beni sottratti sono stati immediatamente restituiti alle persone offese e che i comportamenti di cui al capo di imputazione avrebbero cagionato un danno a minimale alle persone. Tali elementi, unitamente alla confessione ed alle scuse manifestate in sede di udienza di convalida, avrebbero dovuto indurre i giudici di merito a concedere le invocate attenuanti.
La pena irrogata nei confronti del COGNOME sarebbe, infine, eccessiva ed incongrua rispetto al concreto, effettivo ed oggettivo disvalore del comportamento posto in essere dal ricorrente.
Nsi NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, propone ricorso avverso la sentenza di condanna con la quale è stata ritenuto colpevole dei reati di rapina, furto e lesioni e per l’effetto condannato alla pena di anni 2, mesi 2, giorni 10 di reclusione ed euro 1.000,00 di multa.
3.1. Il ricorrente, con il primo motivo di impugnazione, lamenta violazione dell’art. 110 cod. pen. nonché carenza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità concorsuale nel reato di furto.
La Corte territoriale non avrebbe adeguatamente argomentato in ordine alle doglianze con cui la difesa aveva evidenziato l’estraneità dell’COGNOME al reato di furto (la bicicletta sarebbe stata abbandonata dalla persona offesa spaventata dalle parole del COGNOME, la bicicletta sarebbe stata sottratta dal solo COGNOME che usciva dalla stazione a bordo della stessa, l’COGNOME si sarebbe limitato ad inseguire la persona offesa in un momento successivo alla consumazione del furto).
La condotta dell’COGNOME costituirebbe, pertanto, un post factum non punibile privo di efficacia causale rispetto alla consumazione del furto della bicicletta, anche e soprattutto in considerazione della carenza di elementi da cui desumere un preventivo accordo con il Burov volto alla sottrazione del velocipede.
La motivazione sarebbe, infine, carente in ordine alla richiesta di riqualificazione del fatto nel reato di cui all’art. 626 cod. pen. in quanto i giudici di appello si sarebbero limitati ad affermare la mancanza di qualsivoglia manifestazione di una volontà di restituzione della bicicletta alla persona offesa.
3.2. Il ricorrente, con il secondo motivo di impugnazione, lamenta violazione dell’art. 628 cod. pen., violazione del principio di offensività nonché contraddittorietà e carenza della motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di rapina.
La motivazione sarebbe apparente ed apodittica in ordine alla dimostrazione dell’intento predatorio che avrebbe spinto gli imputati ad agire e dell’accordo intervenuto fra gli stessi in un momento anteriore alla condotta violenta.
È stato affermato, in proposito, che la colluttazione sarebbe stata conseguenza accidentale della reazione della persona offesa allo schiaffo sferrato dal COGNOME in assenza di qualsiasi concertazione e che l’impossessamento del pacchetto di sigarette del Mele sarebbe frutto di una iniziativa estemporanea del ricorrente, sviluppo non previsto né prevedibile al momento in cui il COGNOME ha schiaffeggiato la persona offesa.
La decisione sarebbe, infine, lesiva del principio di offensività in considerazione della mancanza di valore del bene sottratto ai Mele (un
pacchetto di sigarette) con conseguente violazione degli artt. 628 cod. pen., 13 e 27 Cost.
3.3. Il ricorrente, con il terzo motivo di impugnazione, deduce violazione ed erronea interpretazione degli artt. 110, 582-585 cod. pen., travisamento della prova nonché manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità concorsuale nel reato di lesioni di cui al capo 4) dell’imputazione.
La motivazione sarebbe carente laddove non indica il contributo causale dell’Eyomi alla perfezione del reato di lesioni nonché contraddittoria nella parte in cui i giudici di appello dapprima hanno affermato che il ricorrente avrebbe colpito la persona offesa con una catena di metallo per poi descrivere l’oggetto utilizzato per frustare il Mele come una collanina a maglie grosse, oggetto ritenuto dalla difesa inidoneo a cagionare le contestate lesioni.
NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, propone ricorso avverso la sentenza di condanna con la quale è stata ritenuto colpevole del reato di rapina e per l’effetto condannato alla pena di anni 2, mesi 1, giorni 10 di reclusione ed euro 1.000,00 di multa.
Il ricorrente, con l’unico motivo di impugnazione, lamenta violazione dell’art. 628 cod. pen. nonché manifesta illogicità della motivazione in ordine al mancato riconoscimento della circostanza attenuante della lieve entità del fatto.
La Corte territoriale avrebbe ignorato gli elementi favorevoli al riconoscimento dell’ipotesi attenuata introdotta alla luce della sentenza 84/2024 della Corte Costituzionale (estemporaneità ed occasionalità della condotta commessa da soggetti in stato di ubriachezza, scarsa gravità delle lesioni cagionate alla persona offesa, minimo valore del pacchetto di sigarette sottratto alla vittima)
CONSIDERATO IN DIRITTO
GLYPH I ricorsi sono inammissibili per le ragioni che seguono.
Deve essere preliminarmente evidenziato che la sentenza di appello oggetto di ricorso e quella di primo grado sono conformi in ordine alle statuizioni oggetto di ricorso, con la conseguenza che le due sentenze di
merito possono essere lette congiuntamente, costituendo un unico corpo decisionale ed essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza di appello a quella del Tribunale, sia l’ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595, Sez. 2, n. 6560 del 08/10/2020, COGNOME, Rv. 280654 – 01).
GLYPH Il primo motivo del ricorso proposto dal COGNOME ed il terzo motivo dedotto da Nsi NOME COGNOME che possono essere trattati congiuntamente avendo ad oggetto la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di furto, sono aspecifici e non consentiti.
2.1. GLYPH Entrambe le sentenze hanno dato adeguatamente conto delle ragioni che hanno indotto i giudici di merito ad affermare che i ricorrenti abbiano commesso, in concorso tra loro, il reato di furto in danno di Falero COGNOME, a seguito di una valutazione degli elementi probatori che appare rispettosa dei canoni di logica e dei principi di diritto che governano l’apprezzamento delle prove (vedi pagg. 14 e 15 della sentenza di primo grado e pag. 4 della sentenza oggetto di ricorso).
Il percorso argomentativo contenuto nella sentenza oggetto di ricorso risulta logicamente corretto e non suscettibile di rilievi critici, in quanto sviluppato secondo criteri di esaustività e coerenza logica. In ragione della loro natura eminentemente fattuale gli apprezzamenti dei giudici di appello, sorretti da un impianto motivazionale rispettoso dei criteri di razionalità decisoria, non possono essere rivalutati in questa sede in quanto espressione della discrezionalità valutativa riservata al giudice del fatto.
I ricorsi, a fronte della ricostruzione e della valutazione adottata dai giudici di appello, non offrono la compiuta rappresentazione e dimostrazione, di alcuna evidenza di per sé dotata di univoca, oggettiva e immediata valenza esplicativa, tale, cioè, da disarticolare, a prescindere da ogni soggettiva valutazione, il costrutto argomentativo della decisione impugnata, per l’intrinseca incompatibilità degli enunciati con conseguente aspecificità della doglianza.
2.2. COGNOME Le doglianze con cui la difesa sostiene l’estraneità dell’gyoma alla commissione del reato di furto sono aspecifiche.
Il coinvolgimento dell’COGNOME nel reato di furto, a giudizio della Corte di merito, emerge in maniera chiara e univoca dalle attendibili dichiarazioni della persona offesa, il quale ha riferito di esser stato inseguito dal predetto immediatamente dopo che il COGNOME si era impossessato della bicicletta di sua proprietà, condotta che, secondo la ricostruzione di entrambi i giudici di merito, avrebbe agevolato l’azione del COGNOME volta all’impossessamento del predetto velocipede (vedi pag. 14 della sentenza di primo grado e pag. 4 della sentenza impugnata).
La motivazione si fonda su valutazioni di merito che appaiono lineari, razionalmente motivate e prive di elementi che ne possano inficiarne la tenuta sul piano della contraddittorietà o dell’evidente illogicità. Proprio per tale ragione, trattandosi di apprezzamenti di fatto sorretti da un impianto argomentativo logico e coerente, gli stessi non possono essere oggetto di sindacato in questa sede, essendo riservati alla discrezionalità del giudice di merito e sottratti, pertanto, al controllo da parte del giudice di legittimità.
Il convincente iter motivazionale seguito dai giudici di merito, peraltro, non viene in alcun modo scardinato dalle doglianze difensive con le quali si sostiene che la condotta dell’COGNOME si sarebbe perfezionata in un momento successivo alla consumazione del reato di furto da parte del COGNOME sulla base di una alternativa ricostruzione fattuale delle vicende scrutinate non deducibile in sede di legittimità.
Ciò premesso, appare evidente che i giudici di merito hanno fatto buon uso del principio di diritto secondo cui il contributo causale del concorrente può manifestarsi attraverso forme differenziate (agevolazione alla consumazione del delitto, rafforzamento del proposito criminoso dell’autore materiale del reato) rispetto alla condotta tipica prevista dalla norma incriminatrice.
In particolare, deve esser ribadito il consolidato insegnamento di legittimità in tema di concorso di persone nel reato, secondo il quale anche la semplice presenza, purché non meramente casuale, sul luogo della esecuzione del reato è sufficiente ad integrare gli estremi della partecipazione criminosa, quando sia servita, come nel caso in esame, a
fornire all’autore del fatto stimolo all’azione o un maggiore senso di sicurezza nella propria condotta, palesando chiara adesione alla condotta delittuosa, specie ove la simultanea presenza dei correi induca nella persona offesa la percezione della maggiore incisività delle condotte illecite (cfr. Sez. 2, n. 50323 del 22/10/2013, COGNOME, Rv. 257979-01; Sez. 2, n. 28895 del 13/07/2020, COGNOME, Rv. 279807-01; da ultimo Sez. 6, n. 298 del 10/10/2024, COGNOME, non massimata).
Nel caso di specie, la condotta del ricorrente ha assunto l’indubitabile valenza di un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso e l’agevolazione dell’opera del COGNOME, unitamente all’accresciuta soggezione della vittima, così aumentando la possibilità della produzione del reato
Le modalità del fatto, connotato da una azione condotta da due individui che per atteggiamento e comunione di intenti agivano assieme, rendono manifestamente illogica e non corrispondente ad una massima d’esperienza basata sull’id quod plerumque accidit, l’ipotesi difensiva secondo cui la condotta dell’Ayoma sarebbe priva di efficacia causale rispetto alla consumazione del furto della bicicletta.
La difesa a fronte di un pregnante e indiscusso dato probatorio costituito dalle dichiarazioni della persona offesa che indica un ruolo non meramente passivo dell’Ayoma- ha decontestualizzato la condotta del ricorrente (il quale mettendosi all’inseguimento della persona offesa ha permesso al COGNOME di allontanarsi indisturbato a bordo della bicicletta del Mazzetta) così giungendo a formulare un’ipotesi alternativa sganciata dalla ragionevolezza e meramente speculativa, senza curarsi di ancorare tali affermazioni su un solido substrato indiziario o su una regola di esperienza dotata di forza convincente.
2.3. La doglianza con cui viene lamentata la mancata riqualificazione del fatto nel reato di cui all’art. 626 cod. pen. è aspecifica.
I giudici di appello, rimarcando che la restituzione della bicicletta sottratta al COGNOME non è avvenuta per libera scelta dei ricorrenti con conseguente inapplicabilità dell’art. 626 cod. pen. (vedi pag. 4 della sentenza impugnata), hanno correttamente dato seguito al principio di diritto secondo cui Il furto d’uso presuppone una restituzione spontanea
della refurtiva dopo l’uso momentaneo, con la conseguenza che tutte le cause, anche indipendenti dalla volontà del colpevole, che determinano una coazione o impediscono la restituzione, rendono applicabile il titolo comune di furto (vedi Sez. 5, n. 6431 del 29/12/2014, COGNOME, Rv. 262664 – 01; 12/11/2024, Sez. 5, n. 4545 del COGNOME, non massimata).
GLYPH Il secondo motivo dei ricorsi proposti dal COGNOME e dall’COGNOME è articolato esclusivamente in fatto e, quindi, proposto al di fuori dei limiti del giudizio di legittimità, restando estranei ai poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi probatori posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti.
Il motivo è, al contempo, aspecifico e reiterativo di medesime doglianze inerenti alla ricostruzione dei fatti e all’interpretazione del materiale probatorio già espresse in sede di appello ed affrontate in termini precisi e concludenti dalla Corte territoriale.
3.1. Il compendio probatorio correttamente riportato e valutato nelle sentenze di primo e secondo grado, in mancanza di giustificazioni alternative valide e dotate di un minimo di ragionevolezza, ha indotto i giudici di merito ad affermare, con percorso argomentativo privo di evidente illogicità, che il COGNOME e l’COGNOME hanno concorso nella commissione del reato di rapina in danno di NOME e NOME COGNOME (vedi pag. 5 della sentenza impugnata e pag. 8, 9 e 10 della sentenza di primo grado).
La Corte territoriale, con motivazione esente da vizi logico-giuridici, ha correttamente valutato le dichiarazioni delle persone offese e del personale della Polizia di Stato intervenuta sulla scena del crimine, dichiarazioni ritenute idonee a dimostrare la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di rapina consumata e la responsabilità concorsuale dei ricorrenti.
L’iter argomentativo appare esente da vizi logici, fondandosi su di una compiuta e logica analisi critica delle dichiarazioni dei COGNOME in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito
della gravità, univocità e coerenza, in quanto conducenti all’affermazione di piena credibilità delle asserzioni delle persone offese.
Tale ricostruzione fattuale, operata dai giudici di merito all’esito di un compiuto scrutinio delle risultanze istruttorie, si presenta immune da censure sotto il profilo della completezza argomentativa e della coerenza logica e razionale del percorso argomentativo seguito.
3.2. I giudici di merito affermando, con percorso argomentativo privo di illogicità e contraddizioni, che le condotte poste in essere dai singoli ricorrenti si sono concretate in un reciproco contributo finalizzato a realizzare una comune condotta predatoria, hanno correttamente dato seguito al principio di diritto secondo cui il dolo di rapina non richiede necessariamente un previo accordo tra gli agenti ben potendo il comune intento insorgere nel corso della commissione di una condotta di tipo violento (vedi Sez. 2, n. 44301 del 19/10/2005, COGNOME, Rv. 232853 – 01; Sez. 1, n. 28794 del 15/02/2019, COGNOME, Rv. 276820 – 01; da ultimo Sez. 2, n. 12159 del 18/02/2025, COGNOME, non massimata), assumendo carattere decisivo l’unitarietà del “fatto collettivo” realizzato, che si verifica quando le condotte dei concorrenti risultino, alla fine, con giudizio di prognosi postumo, integrate in unico obiettivo, perseguito in varia e diversa misura dagli imputati.
Se, dunque, la volontà di concorrere non presuppone necessariamente un previo accordo, in quanto l’attività costitutiva del concorso può essere rappresentata da qualsiasi comportamento esteriore che fornisca un apprezzabile contributo alla realizzazione dell’altrui proposito criminoso, è corretta la conclusione cui è approdata la Corte di merito nel ravvisare la piena compartecipazione dei ricorrenti alla realizzazione del contestato reato di rapina.
3.3. Deve essere, infine, evidenziato che il giudice dell’appello non si è limitato a richiamare la sentenza di primo grado ma, senza ricorrere a formule stereotipate, ha risposto specificamente alle doglianze oggi riproposte con argomentazioni adeguate ed omogenee rispetto a quelle del primo giudice.
Le difese dei ricorrenti fanno leva su considerazioni generiche e su elementi “negativi” che non trovano sostegno in massime di esperienza
tratte da orientamenti largamente diffusi nello specifico contesto spaziotemporale ma su congetture insuscettibili di verifica empirica.
I ricorrenti, invocando una rilettura di elementi probatori estranea al sindacato di legittimità, chiedono a questa Corte di entrare nella valutazione dei fatti e di privilegiare, tra le diverse ricostruzioni, quella a loro più gradite, senza confrontarsi con quanto motivato dalla Corte territoriale al fine di confutare le censure difensive prospettate in sede di appello e con le emergenze probatorie determinanti per la formazione del convincimento dei giudici di merito con conseguente aspecificità della doglianza.
3.4. GLYPH La censura con cui viene eccepita la violazione del principio di offensività, in considerazione della mancanza di valore del pacchetto di sigarette di cui si è impossessato l’Eyoma, risulta destituita di fondamento attesa la natura plurioffensiva del delitto di rapina, il quale lede non solo il patrimonio, ma anche la libertà e l’integrità fisica e morale della persona aggredita per la realizzazione del profitto (vedi in proposito Sez. 2, n. 32234 del 16/10/2020, COGNOME, Rv. 280173-01 e Sez. U , n. 42124 del 27/06/2024, Nafi, Rv. 287095-02 in tema di riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen.).
Il terzo motivo dedotto dal COGNOME e l’unico motivo dedotto dallo COGNOME sono manifestamente infondati.
La Corte costituzionale con la sentenza n. 86 del 2024 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, secondo comma, cod. pen., «nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità».
Si tratta di un intervento funzionale a consentire la migliore individualizzazione del trattamento sanzionatorio per le condotte di rapina, tenuto conto che per le azioni “minime”, la forbice edittale prevista dal legislatore è stata ritenuta sproporzionata ed irragionevole e, di conseguenza, contraria alle indicazioni contenute nell’art. 27 della Costituzione.
Ciò premesso, deve essere ribadito che il riconoscimento dell’attenuante introdotta dalla Corte costituzionale postula necessariamente una valutazione del fatto nel suo complesso, sicché non è configurabile qualora, come nel caso in esame, la lieve entità difetti con riguardo alla natura, alla specie, ai mezzi, alle modalità e alle circostanze della condotta ovvero, ancora, in relazione all’entità del danno conseguente al reato (vedi Sez. 2, n. 9820 del 26/01/2024, COGNOME, Rv. 286092 – 01 in tema di riconoscimento dell’ipotesi di estorsione attenuata).
Tale principio consente di escludere che tale circostanza sia applicabile al caso di specie, deponendo palesemente, per l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione della fattispecie attenuata di rapina, quanto affermato dai giudici di appello, i quali hanno sottolineato, con percorso argomentativo coerente con le risultanze istruttorie ed esente da illogicità, le modalità esecutive del fatto e la significativa gravità del complessivo comportamento tenuto dai ricorrenti (vedi pag. 5 della sentenza oggetto di ricorso).
Ed invero, se la condotta giudicata nel merito manifesta, come nel caso oggetto di analisi, una sua gravità intrinseca, per il peso obiettivo della complessiva azione criminosa e la protervia manifestata dalla condotta sottrattiva e violenta, è fuor di dubbio che resta esclusa la possibilità di riconoscere la particolare lievità del fatto.
GLYPH Il quarto motivo del ricorso proposto dal Burov è aspecifico e non consentito.
Il compendio probatorio correttamente riportato e valutato nelle sentenze di primo e secondo grado, in mancanza di giustificazioni alternative valide e dotate di un minimo di ragionevolezza, ha indotto i giudici di merito ad affermare, con percorso argomentativo privo di evidente illogicità, che il COGNOME ha commesso il reato di resistenza a pubblico ufficiale.
Entrambi i giudici di merito hanno correttamente dato conto del fatto che il ricorrente, al fine di garantirsi l’impunità, ha colpito gli operanti co calci e pugni, condotta certamente inquadrabile nella fattispecie di cui all’art. 337 cod. pen., in considerazione del fatto che essi, stavano compiendo un atto del loro ufficio -arresto del Burov conseguente alla commissione del reato di rapina- (vedi pag. 5 della sentenza impugnata e pag. 13 della sentenza di primo grado).
Tale iter argomentativo appare esente da vizi logici, fondandosi su di una compiuta e logica analisi critica delle risultanze istruttorie in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della gravità, univocità e coerenza.
Le doglianze difensive in tema di sussistenza dell’elemento soggettivo si risolvono, in sostanza, in una critica di merito alla concorde ricostruzione fattuale operata dal Tribunale e dalla Corte territoriale, fondata su una rilettura alternativa del compendio probatorio che si risolve nella sollecitazione di una rivalutazione del fatto non consentita in sede di legittimità.
Il quinto motivo di impugnazione dedotto dal COGNOME è dedotto in carenza di interesse.
La Corte territoriale, pur investita della doglianza in punto di mancata esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen., non ha invero provveduto, non risultando dalla sentenza alcuna motivazione al riguardo; questa constatazione, tuttavia, deve esser letta in relazione al contenuto della doglianza oggi proposta, dovendosi apprezzare se la stessa risponda ai richiesti canoni di ammissibilità.
Ebbene, la risposta a tale verifica risulta certamente negativa in considerazione del fatto che i giudici di appello hanno ritenuto l’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. prevalente sulle aggravanti contestate al Burov.
Ne consegue che l’annullamento della sentenza per carenza di motivazione in ordine alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61, n. 2, cod. pen. non comporterebbe alcun concreto vantaggio processuale per il ricorrente.
Deve essere, in proposito, ricordato che l’art. 568, comma quarto, cod. proc. pen. pone, come condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione, la sussistenza di un interesse diretto a rimuovere un effettivo pregiudizio derivato alla parte dal provvedimento impugnato.
Le Sezioni Unite hanno chiarito che, nel sistema processuale penale, la nozione di interesse ad impugnare va individuata in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità negativa perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale
derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un’utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 17/02/2012, COGNOME, Rv. 251693; Sez. 1, n. 8763 del 25/11/2016, COGNOME, Rv. 269199 – 01).
Deve trattarsi, pertanto, di interesse pratico, concreto ed attuale del soggetto impugnante (sul quale, peraltro, grava l’onere di indicare l’eventuale pregiudizio subito a seguito dell’eccepita violazione di legge, onere non rispettato dall’odierno ricorrente). Né tale interesse può risolversi in una mera ed astratta pretesa alla esattezza teorica del provvedimento impugnato, priva cioè di incidenza pratica sull’economia del procedimento.
GLYPH Il sesto motivo del ricorso proposto dal COGNOME è al contempo aspecifico e manifestamente infondato.
I giudici di appello hanno indicato gli elementi probatori da cui desumere la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di lesioni (vedi pag. 5 della sentenza di appello), con percorso motivazionale -privo di vizi logici e giuridici- con cui il ricorrente non si è adeguatamente confrontato con conseguente aspecificità della censura.
7.1. La censura con cui è stato eccepito il mancato assorbimento del reato di lesioni nel reato di resistenza a pubblico ufficiale è manifestamente infondata.
Il Collegio intende ribadire il principio di diritto secondo cui il delitto di cu all’art. 337 cod. pen. assorbe soltanto quel minimo di violenza che si concretizza nella resistenza opposta al pubblico ufficiale, ma non gli ulteriori atti violenti che, esorbitando da tali limiti, cagionino al medesimo lesioni, sicché sono in tal caso configurabili anche il reato di lesioni personali e la circostanza aggravante del nesso teleologico (Sez. 6, n. 24554 del 22/05/2013, COGNOME, Rv. 255734 – 01; Sez. 5, n. 3117 del 29/11/2023, D., Rv. 285846 – 02).
Nel caso di specie, il ricorrente, colpendo con calci e pugni gli operanti, ha cagionato all’Ass.te Capo COGNOME ed all’Agente COGNOME lesioni personali giudicate guaribili rispettivamente in 3 e 7 giorni con conseguente
correttezza della motivazione con cui i giudici di merito hanno ritenuto perfezionati gli elementi costitutivi del reato di cui agli artt. 582 e 585 cod. pen.
7.2. L’ulteriore doglianza con cui è stato apoditticamente affermata l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato di lesioni in considerazione dello stato di ebbrezza in cui versava il ricorrente al momento della commissione del fatto è destituita di fondamento.
Quanto affermato in ricorso si pone in contrasto con in consolidato principio di diritto secondo cui l’azione esercitata sulla psiche dall’alcool volontariamente assunto dall’imputato non impedisce di accertare il dolo diretto, per la cui esistenza non è richiesta affatto un’analisi lucida della realtà, essendo necessario soltanto che l’agente -come nel caso di speciesia stato in grado di attivarsi in modo razionalmente concatenato per realizzare l’evento voluto (Sez. 6, n. 31749 del 09/06/2015, COGNOME, 21/07/2015, Rv. 264428 – 01; da ultimo Sez. 3, n. 20194 del 13/05/2025, COGNOME, non massimata).
Peraltro, nell’accertare l’estremo della colpevolezza nella condotta dell’ubriaco, il dolo o la colpa non possono essere esclusi dallo stato di ebbrezza alcolica quando le modalità del comportamento depongano, secondo i criteri ordinari, per la intenzionalità dell’evento. Trattandosi di delitto doloso, infatti, la responsabilità dell’imputato deve essere esclusa soltanto se risulti, diversamente dal caso oggetto di giudizio, che il fatto è stato commesso per colpa o comunque non è stato voluto dall’agente.
La conclusione cui è pervenuta la sentenza impugnata riposa, in definitiva, su un quadro probatorio linearmente rappresentato come completo ed univoco, e come tale in nessun modo censurabile sotto il profilo della congruità e della correttezza logico-argomentativa.
GLYPH Il settimo motivo con cui il ricorrente lamenta violazione degli artt. 62-bis e 133 cod. pen. nonché vizio di motivazione in ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio ed alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche non è consentito in sede di legittimità.
La Corte territoriale, con argomentazioni coerenti con le risultanze processuali ed immuni da illogicità manifeste, ha ritenuto congrua la pena
determinata dal primo giudice in misura di poco superiore al minimo edittale e rigettato la richiesta di concessione delle attenuanti generiche in ragione del ruolo primario svolto dal COGNOME nella commissione dei reati, della gravità dei fatti, dell’intensa capacità criminale del ricorrente desumibile dal “pessimo comportamento processuale” e dalle reiterate violazioni della misura cautelare applicatagli nonché della mancanza di elementi favorevoli alla mitigazione della pena (vedi pag. 5 della sentenza impugnata e pag. 15 della sentenza di primo grado) elementi con i quali il ricorso ha omesso di confrontarsi adeguatamente.
Il Collegio intende ribadire, in proposito, il principio di diritto secondo cui la determinazione della pena costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicché l’obbligo di una motivazione rafforzata sussiste solo allorché la pena si discosti significativamente dal minimo edittale, mentre, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media, è sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288 – 01; Sez. 5, n. 47783 del 27/10/2022, COGNOME, non nnassimata).
Deve essere, inoltre, ribadito il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che, come nel caso di specie, la motivazione faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 3, n. 2233 del 17/06/2021, COGNOME, Rv. 282693 – 01; Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02).
GLYPH Il terzo motivo dedotto da NOME NOME COGNOME è aspecifico e non consentito.
Entrambe le motivazioni di merito ricostruiscono in modo ineccepibile dal punto di vista logico-giuridico gli elementi da cui dedurre la penale responsabilità del ricorrente in relazione al reato di lesioni.
La Corte distrettuale, con percorso argomentativo sintetico ma coerente con le risultanze istruttorie, che peraltro richiama le argomentazioni dal
Giudice di primo grado come è fisiologico in presenza di una doppia conforme, ha rimarcato come l’Eyoma abbia preso attivamente parte
all’aggressione, colpendo NOME COGNOME alla schiena con una catena di metallo con violenza tale da cagionargli delle ecchimosi (vedi pag. 12
della sentenza di primo grado e pag. 5 della sentenza oggetto di ricorso).
La difformità evidenziata dal ricorrente tra la descrizione dell’oggetto utilizzato per colpire la schiena della persona fornita dal primo giudice
(una collana in metallo) e quella prospettata dalla Corte di merito (una catena in metallo) è sicuramente inidonea ad escludere la penale
responsabilità dell’Eyoma per il reato di lesioni.
Deve essere, in proposito, affermato che, a prescindere dalla precisa individuazione dell’oggetto utilizzato per colpire la persona offesa, ciò che
conta ai fini della realizzazione del reato è che la condotta violenta del ricorrente descritta nel capo di imputazione abbia effettivamente
contribuito a provocare le lesioni subite da NOME COGNOME
10. All’inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativannente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
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La Presidente
Così deciso il 10 yiugno 2025