Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 20670 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 20670 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/05/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da
NOME (CUI CODICE_FISCALE nato in Albania il 2/1/2005
NOME COGNOMECUI CODICE_FISCALE) nato in Albania il 9/6/1990
avverso la sentenza resa il 10 ottobre 2024 dalla Corte di appello di Ancona
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi.
Nessuno è presente per gli imputati.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Ancona ha confermato la sentenza resa il 7 Febbraio 2024 dal GIP del Tribunale di Pesaro che ha dichiarato la responsabilità di NOME COGNOME e di NOME COGNOME per concorso nel reato di rapina pluriaggravata e li ha condannati alla pena ritenuta di giustizia.
Si addebita ai due imputati di avere aggredito il titolare di un panificio, bloccandolo contro il muro del corridoio interno al locale che portava al laboratorio, GLYPH e di averlo costretto, approfittando dell’orario notturno, a consegnare loro quanto in suo possesso.
2.Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso i due imputati, con atti distinti ma dal contenuto sovrapponibile, deducendo:
2.1 Vizio di motivazione e violazione di legge in ordine alla mancata assoluzione dal reato di rapina contestato, in quanto la sentenza impugnata si limita a richiamare fedelmente la sentenza di primo grado, senza fornire motivazioni in ordine alle censure sollevate con i motivi di appello del tutto ignorati.
In particolare, non sono stati presi in considerazione i comportamenti posti in essere dalla persona offesa, che chiacchierava tranquillamente con il COGNOME poco prima dell’aggressione, a riprova della diversa natura e finalità della condotta realizzata dagli imputati; la Corte si è limitata a respingere la versione dei fatti fornita dall’imputa COGNOME ritenendola generica e priva di qualsiasi motivazione, nonché non supportata dal coimputato COGNOME che si è avvalso della facoltà di non rispondere. Questo passaggio motivazionale, a giudizio dei ricorrenti, sarebbe illogico, poiché il silenzio serbato dal COGNOME non può costituire smentita dell’assunto difensivo offerto dal COGNOME, considerato che il primo, nel corso dell’interrogatorio di garanzia, aveva reso una versione dei fatti sovrapponibile a quella offerta dal coimputato.
Altrettanto illogico deve ritenersi il rigetto della richiesta di ascoltare la persona offe in ragione dell’acquisizione della denuncia e dei riscontri per la scelta del rito abbreviato. 2.2 Vizio di motivazione in ordine alla mancata esclusione delle circostanze aggravanti previste dall’art. 61 n. 5 cod.pen. e dall’art. 628 comma 3 1n. 3 bis cod.pen. e al mancato riconoscimento della prevalenza delle concesse attenuanti generiche sulle ritenute aggravanti.
I ricorrenti lamentano che la Corte, con motivazione illogica e carente, ha escluso l’assorbimento dell’aggravante comune prevista dall’articolo 61 n. 5 cod.pen. in speciali prevista dall’art. 628 comma 3 3-bis cod.pen., osservando che l’aggravante speciale è stata contestata perché il fatto è stato commesso nei luoghi di privata dimora, di cui all’art. 624-bis cod.pen., mentre l’aggravante ordinaria si riferisce al fatto che reato è stato commesso in orario notturno, approfittando di condizioni di tempo tali da ostacolare la privata difesa, anche in ragione dell’assenza di avventori. Tale motivazione non si confronterebbe con l’argomentazione difensiva secondo cui il reato si era svolto in un esercizio commerciale regolarmente aperto al pubblico, con posti a sedere per la consumazione, sicchè l’orario notturno non rendeva più grave la condotta.
2.3 Vizio di motivazione per l’eccessiva onerosità della pena e per la mancata concessione della pena sostitutiva, poiché la Corte si è limitata a condividere la motivazione del primo giudice, senza alcuna valutazione circa la sussistenza dei presupposti di legge.
Con nota trasmessa in data 21 maggio 2025 l’avv. NOME COGNOME difensore di Celpica, ha comunicato di essere impossibilitato a partecipare all’odierna udienza per contestuale impegno professionale e si è riportato ai motivi di ricorso, chiedendone l’accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 ricorsi sono inammissibili.
1.1La prima censura è manifestamente infondata e generica.
Occorre preliminarmente ricordare che nell’appello celebrato avverso la sentenza pronunziata all’esito di giudizio abbreviato, l’istanza di assunzione delle prove deve essere considerata come una sollecitazione al giudice per l’esercizio del potere di ufficio di assumere gli elementi di prova assolutamente necessari per l’accertamento dei fatti s:. che formano oggetto della decisione (Sez. 1, n. 44325 del 19/06/2013, La(Rv. 257799 – 01).
Nel caso in esame la Corte d’appello, richiamando e condividendo le argomentazioni articolate ed esaustive espresse nella sentenza di primo grado, ha respinto l’istanza istruttoria proposta dalla difesa di riN . e la persona offesa, osservando che tale atto istruttorio non era necessario in quanto il teste aveva fornito un racconto puntuale della vicenda, che aveva trovato significativo riscontro nelle immagini videoregistrate e nelle informazioni rese dalla sua collaboratrice, da lui stesso immediatamente avvisata tramite telefono dell’accaduto.
La Corte ha ribadito il giudizio di positiva attendibilità formulato nei confronti dell persona offesa e ha confermato la sostanziale inverosimiglianza della versione offerta dall’imputato, che ha tentato di giustificare la propria condotta, allegando un preteso e non provato pregresso prestito effettuato in favore della persona offesa, di cui avrebbe preteso la restituzione; il collegio inoltre non si è sottratto all’esame delle circostanze d fatto allegate dalla difesa per desumerne l’inattendibilità della persona offesa; ha spiegato le ragioni per cui l’imputato si era intrattenuto a parlare con la vittima, e ha valorizzato i numerosi riscontri emersi a sostegno della ricostruzione offerta da quest’ultimo, che palesano la piena credibilità del suo racconto.
2. La seconda censura è manifestamente infondata e generica.
Giova ricordare in questa sede che, rientrano nella nozione di privata dimora ,anche i luoghi di lavoro in cui si compiano atti della vita privata in modo riservato e precludendo l’accesso a terzi (Sez. 4, n. 37795 del 21/09/2021, COGNOME, Rv. 281952 – 01). In applicazione del principio questa Corte di legittimità ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva ravvisato l’ipotesi prevista dall’art. 624-bis cod. pen. in relazione ad un furto commesso all’interno di una stanza adibita a spogliatoio riservato agli operai che stavano effettuando lavori di ristrutturazione di un edificio(v. a vi, Le, S,iZ. (); 3i 4 5 de( 230 -31zu-ef GLYPH P-v. 27 Do /6-, ,,4) .
Nel caso in esame la Corte territoriale, a pagina 8 della sentenza impugnata, rende motivazione corretta, evidenziando che l’aggravante prevista dal terzo comma n. 3-bis dell’art. 628 cod.pen. fa riferimento al luogo in cui la rapina è stata commessa, che coincide con la parte del locale non aperta al pubblico e in cui gli avventori non avevano accesso, se non previa autorizzazione per fruire del bagno.
La sentenza ha precisato che l’aggravante della minorata difesa si riferisce, invece, alla constatazione che i due rapinatori avevano approfittato, per porre in essere il loro intento criminoso, dell’orario notturno e avevano atteso l’assenza temporanea di avventori nel locale, come si evince anche dalle immagini videoregistrate. E,di certmon può dubitarsi che l’assenza di altri clienti nel locale aperto al pubblico, in ragione dell’orario notturno, le tre del mattino, abbia agevolato la consumazione dell’aggressione, che si è consumata nella zona in cui l’accesso non era consentito ai clienti.
Non va peraltro trascurato che il primo giudice ha determinato la pena partendo dal minimo edittale della fattispecie aggravata, in ragione dell’aggravante non bilanciabile di cui all’art.628 terzo comma , n.3-bis cod.pen. , e, pur avendo ritenuto le concesse circostanze attenuanti generiche equivalenti alle circostanze aggravanti bilanciabili, ha comunque operato una riduzione per dette attenuanti generiche, applicandole come se fossero state riconosciute prevalenti, in consapevole contrasto con l’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità.
Ne consegue che la doglianza formulata al riguardo dai ricorrenti non sembra sostenuta dal prescritto interesse ad impugnare, posto che residua comunque un’aggravante bilanciabile e che di fatto i ricorrenti hanno fruito della riduzione per le attenuant generiche che hanno neutralizzato la seconda aggravante.
3.La terza censura è manifestamente infondata .
L’art. 58 della legge 24 novembre 1981, n. 689, anche dopo le modifiche apportate dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, è rimasto invariato nella parte in cui preclude la sostituzione della pena detentiva nei casi in cui «sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non siano adempiute dal condannato».
La sentenza impugnata ha specificamente indicato le ragioni per le quali ha espresso un giudizio prognostico negativo circa l’adempimento delle prescrizioni comuni previste dall’art. 56-ter della legge 24 novembre 1981, n. 689 per la semilibertà, la detenzione domiciliare e il lavoro di pubblica utilità.
La Corte, condividendo le valutazioni del primo giudice in ordine all’assenza dei presupposti per l’applicazione della pena sostitutiva, ha valorizzato la spiccata pericolosità sociale degli imputati, la carenza di consapevolezza del disvalore della propria condotta e la loro conseguente incapacità di autocontrollo e di garantire, in assenza di controlli esterni, il rispetto delle prescrizioni che caratterizzano la misura sostitutiva invocata.
La difesa non si è adeguatamente confrontata con detta motivazione che peraltro, in quanto specifica e adeguata, sfugge al sindacato di legittimità (cfr., da ultimo, Sez. 3,
n. 9708 del 16/02/2024, COGNOME, Rv. 286031 – 01, secondo la quale il diniego della sostituzione sarebbe legittimo anche solo considerando il parametro della condotta
precedente al reato quale valutata alla luce dei precedenti penali «se, per la indiscutibile pregnanza e forza persuasiva, l’elemento addotto fosse idoneo ad esaurire in modo non
illogico il giudizio prognostico di che trattasi»).
4. L’inammissibilità dei ricorsi comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma che si ritiene congruo liquidare in euro tremila in
favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Roma 22 maggio 2025