Rapina aggravata lieve entità: quando la violenza esclude l’attenuante
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema di grande attualità: l’applicabilità dell’attenuante per rapina aggravata lieve entità. Introdotta da una storica sentenza della Corte Costituzionale, questa circostanza non è automatica e la sua concessione dipende da una valutazione complessiva della condotta criminale. Il caso in esame offre un chiaro esempio di come la particolare violenza e spregiudicatezza possano precludere il riconoscimento di questo beneficio, anche a fronte di un bottino di scarso valore.
I Fatti del Processo
Il caso trae origine dalla condanna di un’imputata per il reato di rapina aggravata, confermata dalla Corte di Appello di Bologna. L’imputata ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, basando la sua difesa su un unico motivo: il mancato riconoscimento dell’attenuante della lieve entità del fatto. La difesa sosteneva che tale attenuante, introdotta dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 86 del 2024, dovesse essere applicata al suo caso di concorso in rapina impropria aggravata. La richiesta mirava a ottenere una riduzione della pena inflitta nei gradi di merito.
L’importanza della valutazione della condotta nella rapina aggravata lieve entità
Il nucleo della questione giuridica ruota attorno ai criteri per l’applicazione dell’attenuante della lieve entità. Sebbene la Corte Costituzionale ne abbia esteso l’ambito di applicazione, la sua concessione non è un diritto automatico ma il risultato di un’attenta analisi da parte del giudice. Quest’ultimo deve valutare tutti gli elementi del caso concreto, non solo il valore economico del bene sottratto, ma anche e soprattutto le modalità della condotta, il grado di violenza o minaccia esercitato e l’impatto sulla vittima. L’obiettivo è verificare se il fatto, nel suo complesso, presenti un ‘ridotto disvalore’ tale da giustificare una pena più mite.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso ‘manifestamente infondato’ e, di conseguenza, inammissibile. La motivazione del rigetto si fonda sulla correttezza della decisione della Corte d’Appello, che aveva negato l’attenuante con un ragionamento immune da vizi logici o giuridici.
I giudici di legittimità hanno evidenziato come la Corte territoriale avesse giustamente sottolineato la ‘particolare spregiudicatezza della condotta violenta e minacciosa’ tenuta dall’imputata e dal suo complice. Secondo la Cassazione, tale modalità di esecuzione del reato è in palese conflitto con il ‘ridotto disvalore del fatto’, che costituisce il presupposto indispensabile per l’applicazione dell’attenuante della lieve entità. In altre parole, un comportamento particolarmente aggressivo e intimidatorio dimostra una gravità intrinseca che non può essere considerata ‘lieve’, indipendentemente dall’esiguità del bottino.
Le Conclusioni
La decisione stabilisce un principio chiaro: la violenza e la spregiudicatezza della condotta criminale sono elementi determinanti che possono impedire il riconoscimento dell’attenuante per rapina aggravata lieve entità. L’ordinanza ribadisce che la valutazione del giudice non può limitarsi al solo danno patrimoniale, ma deve estendersi a un’analisi completa delle modalità dell’azione. Per l’imputata, la dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna definitiva e l’obbligo di pagare le spese processuali e una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
È possibile ottenere l’attenuante della lieve entità per il reato di rapina aggravata?
Sì, in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale n. 86 del 2024 è possibile, ma la sua applicazione non è automatica e richiede una valutazione complessiva del fatto da parte del giudice.
Perché in questo caso specifico l’attenuante non è stata concessa?
L’attenuante è stata negata perché la condotta dell’imputata e del suo complice è stata giudicata particolarmente violenta, minacciosa e spregiudicata, caratteristiche che sono state ritenute incompatibili con il ‘ridotto disvalore’ del fatto richiesto dalla norma.
Quali sono le conseguenze per la ricorrente dopo la decisione della Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso rende la sentenza di condanna definitiva. Inoltre, la ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 36833 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 36833 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME natcz il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/11/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna che ha confermato la penale responsabilità dell’imputata e il trattamento sanzionatorio irrogato per il delitto di rapina aggravata;
considerato che l’unico motivo di ricorso, con cui si denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell’attenuante della lieve entità del fatto, introdotta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 86 del 2024, con riferimento al delitto di concorso in rapina impropria aggravata ascritto all’odierna ricorrente, è manifestamente infondato;
che, infatti, la Corte territoriale ha posto a base del diniego una motivazione esente da vizi censurabili in questa sede, evidenziando come la vicenda delittuosa per cui si procede, per la particolare spregiudicatezza della condotta violenta e minacciosa tenuta dalla ricorrente e dal correo, confligge con il ridotto disvalore del fatto giustificante l’ipotesi di lieve entità;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il giorno 10 ottobre 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente