Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 3124 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 3124 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/11/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a CERIGNOLA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a TORINO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/10/2022 della CORTE di APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; il procedimento si celebra con contraddittorio scritto ai sensi dell’art. 23, comma 8, del di. n. 137 del 2020, il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO che ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
L’AVV_NOTAIO, per NOME COGNOME, con conclusioni scritte insisteva per l’accoglimento del ricorso; l’AVV_NOTAIO, per NOME COGNOME, insisteva per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Torino, decidendo con le forme del giudizio abbreviato, confermava la condanna di NOME COGNOME e NOME COGNOME per il reato di rapina aggravata.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME che deduceva:
2.1. violazione di legge (art. 628 cod. pen.) e vizio di motivazione: la conferma di responsabilità sarebbe fondata sulla chiamata in correità di NOME COGNOME non assistita da adeguati riscontri; inoltre i giudici di merito non avrebbero tenuto considerazione né le dichiarazioni NOME COGNOME, che smentirebbero la credibilità di NOME COGNOME, né il mancato riconoscimento di COGNOME da parte della persona offesa; si deduceva, altresì, che era illogico il ragionamento della Corte territoriale ne parte in cui collegava la conoscenza tra NOME, NOME e NOME alla disponibilità di una autovettura smart simile a quella notata la sera prima della rapina;
2.2. violazione di legge (art. 114 cod. pen.) e vizio di motivazione: si deduceva, che sarebbe stata illegittimamente denegata l’attenuante prevista dall’art. 114 cod. pen., tenuto conto del fatto che le prove raccolte avrebbero dato conto del ruolo di “spettatore passivo” del ricorrente e, quindi, del suo contributo marginale al reato contestato.
Ricorreva per cassazione il difensore di NOME COGNOME, che deduceva:
3.1. violazione di legge: l’ordinanza di rigetto della richiesta di concordato in appel sarebbe illegittima in quanto non firmata e non motivata;
3.2. violazione di legge (art. 628, comma 3, cod. proc. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell’aggravante delle più persone riunite: si deduceva che la presenza del correo veniva “percepita” dalla persona offesa quando la rapina era già stata consumata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile.
1.1.11 primo motivo di ricorso non supera la soglia di ammissibilità in quanto si risolve nella richiesta di una valutazione alternativa della capacità dimostrativa delle prove e non individua vizi logici manifesti e decisivi del percorso motivazionale tracciato dalla Corte appello per confermare la responsabilità del ricorrente.
In materia di estensione dei poteri della Cassazione in ordine alla valutazione della legittimità della motivazione si riafferma che la Corte di legittimità non può effettua alcuna valutazione di “merito” in ordine alla capacità dimostrativa delle prove, o degli indiz raccolti, dato che il suo compito è limitato alla valutazione della tenuta logica del percors argomentativo e della sua aderenza alle fonti di prova che, ove si ritenessero travisate devono essere allegate – o indicate – in ossequio al principio di autosufficienza (tra altre: Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015,0., Rv. 262965).
Nel caso in esame, contrariamente a quanto dedotto, la Corte di appello valutava le prove in modo accurato e coerente con i parametri di valutazione prescritti dal codice di rito pervenendo alla conferma della condanna attraverso un ragionamento logico e razionale.
La Corte d’appello, confermando analoga valutazione del Tribunale, rilevava che le dichiarazioni etero-accusatorie di NOME COGNOME avevano trovato precisi elementi di conferma nelle registrazioni delle telefonate consegnate dalla dichiarante alla polizia giudiziaria; a ciò si aggiungeva che i ricorrenti avevano negato l’addebito ed accusato COGNOME di calunnia, senza fornire alibi o ricostruzioni alternative; infine veniva rilevato che il coimputato NOME aveva ammesso la propria responsabilità. La Corte, contrariamente a quanto dedotto, prendeva in considerazione anche le dichiarazioni di NOME COGNOME, ritenendole tuttavia non credibili in quanto dettate da sentimenti di acrimonia ed ostilità nei confronti della principale dichiarante, alla quale COGNOME era stat legato da una relazione sentimentale (pag. 6 della sentenza impugnata).
Si tratta di motivazione logica e coerente con le emergenze processuali, oltre che rispettosa delle indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di cassazione: la stessa non si presta ad alcuna censura in questa sede.
1.2. Anche il secondo motivo di ricorso non supera la soglia di ammissibilità in quanto manifestamente infondato.
Il collegio riafferma che per l’integrazione dell’attenuante della minima partecipazione di cui all’art. 114 cod. pen., non è sufficiente una minore efficacia causale dell’attività prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri, in quan necessario che il contributo si sia concretizzato nell’assunzione di un ruolo del tutto marginale, ossia di efficacia causale così lieve, rispetto all’evento, da risultare trascurabi nell’economia AVV_NOTAIO del crimine commesso (Sez. 4, n. 26525 del 07/06/2023, COGNOME, Rv. 284771 – 01; Sez. 4, n. 49364 del 19/07/2018, P., Rv. 274037; Sez. 2, n. 835 del 18/12/2012, dep. 2013, Modafferi, Rv. 254051)
Nel caso in esame, in coerenza con tali indicazioni ermeneutiche, la Corte d’appello rilevava che il ricorrente non aveva avuto un ruolo marginale e che lo stesso aveva inciso in modo decisivo sul risultato dell’impresa criminosa, in quanto aveva accompagnato il correo sul luogo del delitto, seguito l’azione esecutiva ed atteso il suo termine per consentire la fuga a NOME.
Si tratta di un’azione causale indispensabile per la consumazione del reato che, secondo il razionale percorso argomentativo tracciato dalla Corte territoriale, ostava alla concessione del beneficio sanzionatorio invocato.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile.
2.1. Il ricorrente deduceva la mancanza di “firma” sull’ordinanza di rigetto del concordato preventivo e, deduceva, altresì, la assenza della motivazione del provvedimento.
Il motivo è inammissibile.
2.1.1. Il collegio intende GLYPH dare continuità, con le precisazioni che si faranno, all’orientamento secondo cui l’ordinanza di rigetto della proposta di concordato in appello non è impugnabile (Sez. 1, n. 41553 del 13/06/2023, Andone, Rv. 285393 – OSez. 6, n. 17875 del 22/04/2022, M., Rv. 283464 e Sez. 7, n. 20085 del 0210212021, Gliaschera, Rv. 28151), pur essendo consapevole della esistenza di un indirizzo contrario che ritiene che l’ordinanza di rigetto sia impugnabile unitamente alla sentenza ai sensi dell’art. 586 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 30624 del 07/06/2023, Suma, Rv. 284869; Sez. 6, n. 31556 del 13/07/2022, Eze, Rv. 283610 e Sez. 3, n. 28018 del 14/02/2023, Sentina, Rv. 28480)
Secondo la sentenza pronunciata nel caso “Andone”, il cui percorso argomentativo si condivide, «la sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen. è una sentenza di merito, pronunciata all’esito di una procedura a carattere deflattivo, sia i relazione al giudizio di appello che in ordine alla impugnabilità, che non comporta effetti sostanziali diversi, e più favorevoli per la parte privata, rispetto alla sentenza d’appel pronunciata ai sensi dell’art. 605 cod. proc. pen. Ne discende che la parte privata non ha interesse all’impugnazione dell’ordinanza pronunciata dalla Corte di appello ai sensi dell’art. 599-bis, comma 3-bis, cod. proc. pen.» (Sez. 1, n. 41553 del 13/06/2023, cit.)
Invero la proposta di concordato sulla pena si risolve (a) nella rinuncia ai motivi sulla responsabilità, (b) nella proposta di una sanzione concordata che “assorbe” i motivi sulla pena: si tratta di un evento processuale che si propone di “chiudere” il giudizio di appello con un accordo sulla pena e che ha un intento chiaramente deflattivo.
Quando la Corte di appello rigetta la proposta di pena concordata, di fatto “riapre” il processo, che prosegue secondo le forme ordinarie e si conclude con una sentenza che esamina tutti i motivi, sia quelli relativi responsabilità, sui quali il ricorrente manifestato la disponibilità alla rinuncia, che quelli relativi al trattamento sanzionato “assorbiti” dalla proposta di concordato.
Le ragioni dell’impugnante e le sue possibilità di difesa sia sulla sussistenza della responsabilità, che sulla determinazione del trattamento sanzionatorio restano, dunque intatte, sicché non si rinviene una violazione del diritto di difesa idoneo ad integrare u concreto interesse ad impugnare il rigetto della proposta di concordato: sul punto si conviene integralmente con quanto ritenuto dalla Cassazione nella sentenza “Andone”.
Tanto ribadito, si rileva comunque che la ratio deflattìva dell’istituto non esclude la sussistenza di un interesse individuale dell’imputato a concludere il processo in tempi brevi che giustifica la possibilità di procedere alla rinnovazione della richiesta, in mod
che la nuova proposta, emendati eventuali vizi rilevati, possa essere nuovamente valutata dalla Corte di appello ed eventualmente accolta.
2.1.2. In sintesi: il collegio ritiene che il concordato in appello abbia una ratio defiattiva e non premiale e sia un istituto funzionale alla rapida definizione del processo, attuativo del diritto costituzionale alla conclusione dell’accertamento processuale in tempi ragionevoli (art. 111, comma 2 Cost., art. 6 comma 1 Convenzione Edu).
Tanto premesso, fermo restando che, a seguito del rigetto, le parti possono presentare una nuova proposta, non si rinviene alcun interesse ad impugnare l’ordinanza di rigetto unitamente alla sentenza, tenuto conto che al rigetto consegue l’esame “integrale” dell’atto di appello sia in punto di accertamento della responsabilità, che d inflizione della sanzione, sicché l’imputato ha l’opportunità di difendersi sia sui motiv relativi alla responsabilità (rinunciati all’atto della proposta), che su quelli relat trattamento sanzionatorio.
2.1.3. Nel caso in esame, in seguito al rigetto della proposta di pena concordata, l’imputato non ha proposto nuova istanza, si è difeso nel processo di appello sia in ordine alla responsabilità che alla definizione della pena e, in seguito alla condanna ha impugnato l’ordinanza di rigetto della proposta di pena concordata unitamente alla sentenza.
Tale impugnazione, tenuto conto dei principi sopra enunciati deve ritersi inammissibile per carenza di interesse.
2.1.4. Si rileva, comunque, con riguardo alla mancanza di firma che la Cassazione ha reiteratamente affermato che ai fini della validità formale dell’ordinanza emessa in udienza non rileva l’illeggibilità della sottoscrizione, poiché è sufficiente l’identificazi dei componenti dell’organo giurisdizionale che ha emesso il provvedimento, attraverso il verbale d’udienza sottoscritto dall’ausiliario che assiste il giudice e garantisce la veridici di quanto in esso attestato (Sez. 1, n. 11873 del 19/12/2014, dep. 2015, Rv. 262884 01; Sez. 1, n. 11873 del 19/12/2014, dep. 2015, Coruzzolo, Rv. 262884, Sez. 3, n. 7476 del 18/01/2008, COGNOME, Rv. 239009). E che il verbale di udienza, peraltro, fa piena prova fino a querela di falso di quanto in esso attestato, trattandosi di atto pubblico redatto da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni, il cui regime di efficaci disciplinato dall’art. 2700 cod. civ. (Sez. 4, n. 5627 del 24/01/2023, Testa, Rv. 284098; Sez. 1, n. 1553 del 19/11/2018 dep. 2019, Marino, Rv. 274796; Sez. 3, n. 7785 del 1996, Rv. 206056-01).
2.1.5. A ciò si aggiunge che la conclusiva irrogazione di una pena superiore rispetto a quella che il ricorrente aveva concordato ai sensi dell’art. 599- bis cod. proc. pen., evidenzia di per sé le ragioni del mancato accoglimento della richiesta di concordato.
2.2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
2.2.1.11 collegio intende dare continuità al condiviso orientamento secondo cui in tema di rapina, la circostanza aggravante speciale delle più persone riunite richiede la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza o della minaccia, nulla rilevando che la persona offesa non abbia percepito la presenza anche di un secondo soggetto (Sez. 2, n. 33210 del 15/06/2021, COGNOME, Rv. 281916 – 01; Sez. 2, n. 36926 del 04/07/2018, COGNOME, Rv. 273520 – 01 Sez. 2, n. 50696 del 19/11/2014 – dep. 2014, Coccimiglio, Rv. 261324).
Al riguardo sulla scia di un filone giurisprudenziale secondo il quale “ricorre l circostanza aggravante della violenza o minaccia commessa da più persone riunite di cui all’art. 628, terzo comma, n. 1, terza ipotesi, cod. pen., anche se la vittima non abbi avvertito la presenza delle più persone nel luogo e al momento della commissione del fatto, e non abbia, quindi, subito una maggiore intimidazione” (Sez. 2, n. 36474 del 22/09/2011, Rv. 251163; Sez. 2, n. 4284 del 25/01/1988, dep. 1989, Rv. 180861) si è registrato un intervento delle Sezioni Unite di questa Corte Suprema che, seppure concernente un caso di estorsione e non di rapina, ha chiarito che “la circostanza aggravante speciale delle più persone riunite richiede la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza o della minaccia”, cosa che nel caso di specie risulta avvenuta, a nulla rilevando, come detto, che la persona offesa dalla rapina non abbia percepito la presenza anche di un secondo soggetto. Se si esamina poi la struttura delle due norme in discussione -articoli 628 e 629 cod. pen.- si può notare come il legislatore abbia voluto precisare che ricorre l’aggravante «se la violenza o minaccia è commessa da più persone riunite»; sicché il termine “riunione” risulta direttamente collegato alla modalità commissiva della condotta violenta o minacciosa, che è connotata da una evidente maggiore gravità quando venga esercitata simultaneamente da più persone; si vuol dire cioè che, come è stato osservato da una parte della dottrina, il legislatore ha conferito alla compresenza dei concorrenti nel /ocus commissi delicti un maggior disvalore penale in virtù dell’apporto causale fornito nella esecuzione del reato e della rafforzata vis compulsiva esercitata sulla vittima. In tal modo il legislatore ha delineato una fattispecie plurisoggettiva necessaria, che si distingue in modo netto dalla ipotesi del concorso di persone nel reato perché la fattispecie circostanziale contiene l’elemento specializzante (Sez. U, n. 21837 del 29/03/2012, Alberti e altro, Rv. 252518). Si ritiene cioè che la ratio dell’aggravamento correlato alla circostanza della presenza nello stesso luogo di più persone non derivi necessariamente dalla maggiore costrizione esercitata simultaneamente sulla vittima, ma piuttosto dalla maggiore potenzialità criminosa correlata alla “oggettiva compresenza” sul luogo del delitto di più persone; la maggiore potenzialità criminale generata dalla riunione si giustifica, infatti, in ragione de predisposizione di una organizzazione pluripersonale che, da un lato, genera nei correi l’affidamento reciproco sull’ausilio disponibile e, dall’altro, si risolve in una ogge Corte di Cassazione – copia non ufficiale
garanzia di successo della attività illecita connessa all’impegno contestuale di più persone. Si ribadisce inoltre che l’aggravante delle più persone riunite è oggettiva concernendo le modalità dell’azione e dunque riguarda anche ai correi non presenti sul luogo della consumazione del reato, essendo sufficiente che sia rispettato il criterio di attribuzione psicologica indicato dall’art. 59 cod. pen. Pertanto l’aggravante in questione è attribuibile anche ai correi non presenti sul luogo del reato se gli stessi erano a conoscenza del fatto che la rapina sarebbe stata consumata da più persone riunite o se ignoravano per colpa tale circostanza (Sez. 2, n. 31199 del 19/06/2014, Posteraro, Rv. 259987).
2.2.3. Nel caso in esame dalla ricostruzione dell’azione criminosa effettuata dai giudici di entrambi i gradi di merito emerge che sia NOME che NOME erano presenti sul luogo del delitto, nulla rilevando il fatto che la vittima ne avesse “percepito” – prima o dopo l consumazione – la contemporanea presenza. La percezione della vittima è stata erroneamente valorizzata dalla Corte di appello, nonostante la sua irrilevanza e malgrado dalla ricostruzione della condotta emergente dalle due sentenze di merito emergesse chiaramente la compresenza dei due correi.
3.Alla dichiarata inammissibilità del ricorso di NOME COGNOME consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in euro tremila.
Al rigetto del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME segue invece la sua condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso di NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibile il ricorso di NOME COGNOME, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il giorno 23 novembre 2023
L’estensore
Il Presicente