Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 30548 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 30548 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME NOME
Data Udienza: 14/05/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
VIGORITO NOME
NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA nato a SANTA MARIA CAPUA VETERE il DATA_NASCITA NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
TIGLIO NOME COGNOME
LIQUORE COGNOME
avverso la sentenza del 19/09/2023 della CORTE DI APPELLO DI NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto che la Corte di cassazione dichiari inammissibili i ricorsi del COGNOME e del COGNOME e rigetti il ricorso del COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 14 marzo 2023, emessa ad esito del giudizio abbreviato, il G.i.p. del Tribunale di Novara condannava NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME alle pene ritenute di giustizia per i reati di rapina
pluriaggravata e sequestro di persona in concorso nonché – solo il terzo – per estorsione continuata.
Con sentenza del 19 settembre 2023 la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della decisione del primo giudice, in accoglirnento della richiesta formulata dalle parti ex art. 599-bis cod. proc. pen., rideterminava la pena inflitta ad NOME COGNOME e ad NOME COGNOME e confermava la sentenza del G.i.p. quanto alla posizione di NOME COGNOME.
Quanto alla rapina contestata a tutti gli imputati, secondo la tesi accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, i carabinieri COGNOME e COGNOME non in servizio ma con la pistola in vista e muniti di distintivo, supportati nell’organizzazione da RAGIONE_SOCIALE e da altri soggetti, separatamente giudicati, si erano innpossessati delle somme di 14.500 euro in contanti (detenuti da NOME COGNOME, anch’ella organizzatrice del delitto) e di 18.000 euro in assegni (detenuti da NOME COGNOME), appena prelevate da un ufficio postale, tramite le suddette persone, da NOME COGNOME, dopo avere effettuato una arbitraria perquisizione personale su quest’ultimo e sulle due donne che custodivano il denaro per suo conto.
Avverso la sentenza di appello hanno proposto distinti ricorsi gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori, chiedendone l’annullamento.
Il ricorso di COGNOME è articolato in cinque motivi.
3.1. Erronea applicazione della legge penale nella parte in cui non è stata esclusa la punibilità del ricorrente per errore sul fatto determinato anche dall’altrui inganno e là dove si è ritenuto che la nozione di dolo specifico coincida con quella di “fine personale”.
In sede di interrogatorio l’imputato aveva ammesso di avere partecipato al fatto delittuoso in quanto il collega COGNOME gli aveva chiesto di accompagnarlo all’ufficio postale del centro direzionale di Napoli affinché questi recuperasse un credito nei confronti di NOME, che avrebbe consegnato il denaro al creditore dopo averlo ricevuto da tale NOME, il quale presso detto ufficio avrebbe dovuto ritirare un assegno.
Erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto che COGNOME fosse incorso in un errore di diritto e non di fatto, determinato dall’altrui inganno (art. 48 cod. pen.) ritenendo che la versione del ricorrente, riscontrata dalle dichiarazioni di COGNOME e non smentita da alcun elemento, non fosse stata provata, con una valutazione contrastante con la presunzione d’innocenza e con la regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
Inoltre, con motivazione apparente, la sentenza non ha risposto alla deduzione difensiva secondo la quale COGNOME ignorava che il profitto cui era diretta l’azione di NOME o degli altri concorrenti nel reato fosse ingiusto.
3.2. Erronea applicazione della legge penale e mancanza della motivazione nella parte in cui si è ritenuto che la condotta ascritta al ricorrente integrasse gl estremi della fattispecie delittuosa del reato di rapina ex art. 628 cod. pen., piuttosto che quelli del reato di truffa aggravata ex artt. 640, primo comma, e 61, primo comma, n. 9, cod. pen.
La consegna dei beni da parte delle persone offese non è stata causata da una coartazione di volontà, ma è stata determinata da un errore generato da un vero e proprio artifizio consistente in una fittizia perquisizione posta in essere con abuso di potere.
3.3. Erronea applicazione della legge penale e mancanza di motivazione nella parte in cui si è ritenuto che la condotta ascritta al ricorrente integrasse gli estremi della fattispecie delittuosa del reato di rapina piuttosto che quelli propri del reato di concussione, previsto dall’art. 317 cod. pen.
La persona offesa subì un effetto intimidatorio, cui conseguì la perdita dei beni, non già per avere notato le armi regolarmente detenute dai carabinieri, mai impugnate, ma per lo stato di soggezione nel quale si trovò, al cospetto di due pubblici ufficiali, volendo anche evitare di essere sottoposta a indagini per avere compiuto operazioni finanziarie illecite.
Ai fini della integrazione del delitto di concussione non è richiesto che il pubblico ufficiale commetta la condotta antidoverosa nell’esercizio delle funzioni e, quindi, quando è in servizio.
Viste le modalità di sottrazione del denaro, va escluso che l’elemento volitivo delle persone offese sia stato annullato, avendo le stesse potuto scegliere se consegnare il denaro o subire una denuncia per il reato di resistenza a pubblico ufficiale o per altri reati.
3.4. Mancanza della motivazione nella parte in cui si è ritenuto che il ricorrente non dovesse essere assolto dal reato di sequestro di persona nonché erronea applicazione della legge penale e mancanza di motivazione nella parte in cui si è ritenuto che la condotta ascritta al capo B), qualificata come reato ex art. 605 cod. pen., non dovesse considerarsi assorbita nel reato di rapina.
Non è emerso che il ricorrente abbia posto in essere una condotta di costrizione nei confronti di NOME né che quest’ultimo sia stato trattenuto a bordo dell’autovettura contro la sua volontà
In ogni caso una eventuale condotta di costrizione sarebbe assorbita nel delitto di rapina, poiché la privazione della libertà non si è protratta oltre tempo necessario per la consumazione del più grave reato.
3.5. Erronea applicazione e mancanza di motivazione nella parte in cui non è stata esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 628, terzo comma, n. 3quater c.p. (COGNOME, unica persona offesa, non aveva effettuato personalmente alcun prelievo dall’ufficio postale) e non sono state riconosciute le attenuanti generiche (COGNOME, con una lettera manoscritta, ha ammesso di avere tenuto le condotte contestate e ha espresso pentimento).
Il ricorso di COGNOME denuncia violazione di legge sotto due distinti profili.
4.1. In primo luogo, la Corte d’appello non ha proceduto alla verifica di una diversa qualificazione giuridica del fatto o al riconoscimento delle attenuanti in misura prevalente rispetto alle contestate aggravanti.
4.2. In secondo luogo all’imputato, incensurato e collaborativo, non sono state erroneamente riconosciute le attenuanti generiche, prevalenti o quantomeno equivalenti rispetto alle aggravanti, con una ricleterminazione della pena più favorevole al reo.
Il ricorso di COGNOME lamenta violazione della legge penale in quanto la pena pecuniaria inflitta è illegale, non essendo stata ridotta congiuntamente e in misura proporzionale alla pena detentiva.
Si è proceduto alla trattazione scritta del procedimento in cassazione, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dall’art. 94, comma 2, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dal decreto-legge 30 dicembre 2023, n. 215, convertito nella legge 23 febbraio 2024, n. 18), in mancanza di alcuna tempestiva richiesta di discussione orale, nei termini ivi previsti; il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
È stata rigettata la richiesta di discussione orale presentata dal difensore di COGNOME in data 2 maggio 2024, quindi tardivamente, alla luce del chiaro disposto del citato articolo 23 («Per la decisione sui ricorsi proposti per la trattazione a norma degli articoli 127 e 614 del codice di procedura penale la Corte di cassazione procede in Camera di consiglio senza l’intervento del procuratore generale e dei difensori delle altre parti, salvo che una delle parti private o il procuratore generale faccia richiesta di discussione orale. La richiesta di discussione orale è formulata per iscritto dal procuratore generale o dal difensore abilitato a norma dell’articolo 613 del codice di procedura penale entro il termine perentorio di venticinque giorni liberi prima dell’udienza e presentata, a mezzo di posta elettronica certificata, alla cancelleria»).
L’avviso di fissazione della celebrazione dell’udienza (in udienza pubblica e non in camera di consiglio) non era ovviamente riferibile alle modalità di trattazione del processo (cartolare o con discussione orale, per la quale la suddetta norma prevede una espressa richiesta di parte).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di COGNOME è inammissibile perché sorretto da motivi manifestamente infondati, mentre i ricorsi di COGNOME e COGNOME sono inammissibili perché proposti con motivi non consentiti.
2. Ricorso COGNOME.
Il ricorrente ha reiterato i medesimi motivi, supportati in sostanza dalle stesse argomentazioni, già proposti nell’atto di appello, disattesi tutti dalla Corte territoriale con corrette valutazioni in diritto, in assenza di violazioni di legge con motivazione immune dai vizi denunciati.
In ordine alle censure mosse alla struttura motivazionale della pronuncia impugnata, va evidenziato che dalla stessa si evince chiaramente come la Corte di merito abbia puntualmente esaminato le doglianze difensive proposte con gli appelli, con una motivazione solo in parte per relationern, peraltro legittima quando – come nel caso di specie – risulta che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le ha ritenute coerenti con la propria decisione (Sez. U, n. 21/06/2000, COGNOME, Rv. 216664; Sez. 1, n. 11168 del 18/02/2019, COGNOME, Rv. 274996; Sez. 2, n. 55199 del 29/05/2018, COGNOME, Rv. 27425:2; Sez. 6, n. 53420 del 04/11/2014, COGNOME, Rv. 261839; Sez. 6, n. 48428 del 08/10/2014, COGNOME, Rv. 261248).
2.1. È privo di ogni fondamento il motivo con il quale la difesa ha nuovamente invocato la sussistenza dell’errore di fatto, sollecitando una rilettura delle risultanze probatorie, preclusa in questa sede.
Con puntuale motivazione entrambi i giudici di merito hanno osservato che la versione dei fatti secondo cui COGNOME si sarebbe limitato ad accompagnare NOME per recuperare un credito insoluto che vantava nei confronti di COGNOME è stata smentita dalle dichiarazioni rese da quest’ultimo coimputato e dal tenore delle conversazioni intercettate ed è priva del benché minimo riscontro anche in ordine al presunto credito vantato da COGNOME nei confronti dello stesso COGNOME, oltre a risultare del tutto inverosimile e illogica.
La pregressa conoscenza dei due carabinieri con COGNOME, le dichiarazioni di quest’ultimo e l’incontro avvenuto presso la sua pizzeria la mattina del fatto, nel corso del quale fu pianificata la rapina, sono elementi logicamente posti a
fondamento della ritenuta piena consapevolezza in capo a COGNOME dell’azione delittuosa ideata e realizzata.
Peraltro, gli stessi giudici hanno correttamente evidenziato che anche COGNOME era pienamente conscio di stare eseguendo un controllo di polizia e una perquisizione in modo del tutto arbitrario, al solo fine di impossessarsi del denaro della persona offesa, in ciò venendo integrato anche il dolo specifico del reato di rapina.
Condivide il Collegio quanto osservato dal Procuratore generale nelle proprie conclusioni scritte là dove sostiene che “l’espressione usata dalla pronuncia di primo grado, ribadita da quella di secondo grado, alludente ai ‘fini personali’, intende meramente rimarcare che l’imputato tendeva, con la sua azione, ad acquisire un vantaggio di natura materiale, quale appunto il denaro”.
Va comunque ribadito che nel delitto di rapina il profitto può concretarsi in ogni utilità, anche solo morale, nonché in qualsiasi soddisfazione o godimento che l’agente si riprometta di ritrarre, anche non immediatamente, dalla propria azione, purché questa sia attuata impossessandosi con violenza o minaccia della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene (Sez. 2, n. 23177 del 16/04/2019, Gelik, Rv. 276104; Sez. 2, n. 11467 del 10/03/2015, Carbone Rv. 263163; Sez. 2, n. 49265 del 07/12/2012, Iudice, Rv. 253448; Sez. 2, n. 12800 del 06/03/2009, NOME, Rv. 243953), principio che è stato avvalorato dalla recente pronunzia delle Sezioni Unite, secondo la quale nel delitto di furto il fine di profitto che integra il dolo specifico del reato va inteso come qualunque vantaggio anche di natura non patrimoniale perseguito dall’autore (Sez. U, n. 41570 del 25/05/2023, C., Rv. 285145).
2.2. Sono manifestamente infondati anche i motivi con i quali la difesa ha nuovamente sostenuto che il fatto andrebbe correttamenl:e qualificato come truffa aggravata o come concussione.
I giudici di merito si sono attenuti ai principi sovente espressi dalla giurisprudenza di legittimità trattando di situazioni analoghe a quella in esame.
Va premesso che nel reato di rapina integra il requisito della violenza non soltanto l’esplicazione di energia fisica, in senso costrittivo, direttamente sulla persona del soggetto passivo, ma anche qualsiasi atto o fatto posto in essere dall’agente (cosiddetta violenza impropria) che si risolva comunque in una coartazione della libertà fisica, o anche solo psichica, del medesimo, conseguentemente indotto, contro la sua volontà, a fare, tollerare od omettere qualche cosa (cfr., ad es., Sez. 2, n. 29215 del 08/09/2020, COGNOME, Rv. 279813; Sez. 2, n. 23888 del 06/07/2020, COGNOME, Rv. 279587; Sez. 2, n. 14901 del 19/03/2015, COGNOME, Rv. 263307).
In applicazione di questo principio, questa Corte ha ritenuto che correttamente i giudici di merito avessero qualificato come rapina la condotta degli imputati i quali, travisati con uniformi della Guardia di finanza, si erano introdotti in una banca e, con il pretesto di eseguire un controllo, si erano fatti consegnare dagli impiegati il denaro disponibile (Sez. 2, n. 28389 del 27/04/2017, De Muzio, Rv. 270180).
Pertinente al caso di specie è la pronuncia richiamata nella sentenza impugnata (Sez. 2, n. 20216 del 06/05/2016, Rezaei, Rv. 266751), conforme a una risalente e consolidata giurisprudenza di legittimità, ivi indicata, secondo la quale commette rapina e non truffa chi, qualificandosi falsamente per agente di polizia, proceda a una arbitraria perquisizione e s’impossessi della cosa altrui senza reazione del possessore costretto a subire l’imposizione: la sottrazione della cosa altrui avviene, infatti, per effetto di costrizione mediante violenza alla persona, che consiste nell’esplicazione di una energia fisica idonea a produrre coazione personale e nell’assoggettamento della persona offesa a perquisizione.
Anche da ultimo la Corte di cassazione ha ribadito che integra il reato di rapina la condotta di coloro che, fingendosi agenti di polizia o finanzieri, abbiano sottratto beni alla persona offesa a seguito di una illegittima perquisizione (v. Sez. 2, n. 47920 del 05/10/2023, Veneziano, nonché Sei. 2, n. 35131 del 25/03/2022, COGNOME, non massimate).
I giudici di merito hanno correttamente applicato questi principi alla fattispecie concreta, pacificamente connotata da una perquisizione arbitraria, eseguita al solo fine di impossessarsi del denaro della persona offesa, coartata nella propria volontà, posta di fronte all’esercizio dell’imperio correlato alla funzione pubblica falsamente rappresentata e alle conseguenze dannose che esse evocano in caso di opposizione.
Correttamente il primo giudice, con ampia motivazione richiamata e condivisa nella sentenza impugnata, ha osservato che i richiamati principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità sono applicabili anche qualora – come nel caso di specie – gli operanti siano effettivamente pubblici ufficiali ma pongano in essere una condotta illecita del tutto priva di ogni collegamento con il loro servizio, per scopi (delittuosi) pacificamente privati e personali.
Inoltre, come osservato dal Procuratore generale, nel reato di concussione la condotta è di natura qualificata “perché non ogni comportamento minatorio tenuto dal pubblico ufficiale può essere sussunto nel paradigma dell’art. 317 cod. pen. ma solo quello sinallagmaticamente riconducibile ad un atto o comportamento formalmente validi dell’ufficio pubblico in cui l’agente esercita la sua funzione; nella concussione, la qualità di pubblico ufficiale costituisce un requisito essenziale della fattispecie e vi dev’essere un rapporto oggettivo di
causalità (rectius: nesso di strumentalità) fra la suddetta qualifica e il comportamento abusivo; l’aggravante di cui all’art. 61 n. 9 cod. pen., invece, contempla anche l’ipotesi di un mero nesso di occasionalità fra la funzione di pubblico ufficiale e il comportamento abusivo”: in questo senso è costante la giurisprudenza di legittimità là dove richiede, per la integrazione del reato ex art. 317 cod. pen., una necessaria connessione tra la qualità di pubblico ufficiale, che agisce «abusando della sua qualità o dei suoi poteri», e la pretesa rivolta ai soggetti passivi (Sez. 6, n. 11477 del 28/11/2018, deo. 2319, COGNOME, Rv. 275165; Sez. 2, n. 12736 del 26/02/2014, COGNOME, Rv. 258623; Sez. 6, n. 24272 del 24/04/2009, COGNOME, Rv. 244364; Sez. 6, n. 23801 del 02/02/2004, COGNOME, Rv. 229641; da ultimo cfr. Sez. 2, n. 40312 del 03/05/2023, COGNOME, non mass.).
2.3. È privo di ogni fondamento anche il motivo inerente alla condanna per il reato di sequestro di persona.
Nella ricostruzione in fatto dei giudici di merito, COGNOME fu fatto salire da COGNOME COGNOME COGNOME a bordo del loro veicolo, asseritamente per recarsi presso il Commissariato. Una volta salito sulla macchina, uno dei due coimputati prese posto accanto alla persona offesa al fine di impedirle un’eventuale fuga. Come correttamente ritenuto dal primo giudice, con incensu -abile motivazione, condivisa dalla Corte d’appello, vi fu una “coartazione della volontà della persona offesa rispetto all’ingresso e alla permanenza nel veicolo, attraverso l’intimidazione implicita ad assecondare la volontà degli aggressori, derivante, in parte, dalla pregressa condotta (violenta e minacciosa) ed in altra parte dalla perdurante detenzione dell’arma, nonché dalla circostanza dell’essersi, uno dei due, seduto proprio accanto alla p.o. costringendo, pertanto, l’COGNOME ad entrare nell’autovettura in uso agli imputati e a permanervi per un lasso di tempo apprezzabile”, circostanza che integra il reato previsto dall’art. 605 cod. pen. (cfr. Sez. 5, n. 34504 del 12/10/2020, H., Rv. 280122; Sez., n. 4634 del 01/10/2020, dep. 2021, S., Rv. 280240; Sez. 3, n. 55302 del 22/09/2016, D., Rv. 268534; Sez. 5, n. 458 del 12/06/2014, dep. 2015, Perego, Rv. 263215), a nulla rilevando la circostanza che il sequestrato non faccia alcun tentativo per riacquistare la propria libertà di movimento’ non recuperabile con immediatezza, agevolmente e senza rischi (Sez. 3, n. 15443 del 26/11/2014, dep. 2015, M., Rv. 263340).
Quando COGNOME fu fatto salire in auto, COGNOME e COGNOME si erano già impossessati del denaro e degli assegni e la rapina, pertanto, era già stata consumata, il che rende priva di ogni fondamento la tesi dell’assorbimento del reato di sequestro di persona in quello più grave.
2.4. Sono manifestamente infondati anche i motivi relativi alle circostanze.
Quanto all’aggravante prevista dall’art. 628, terzo comrna, n. 3 -quater, cod. pen., correttamente la Corte d’appello ha osservato che ai fini della esclusione della circostanza, non rileva “che l’COGNOME non abbia personalmente effettuato i prelievi di cui sopra, ma li abbia fatti fare da altri soggetti (la COGNOME e COGNOME), poiché egli si è recato unitamente a tali soggetti all’interno dell’Ufficio Postale, il denaro era a lui riferibile, anche se per interposta persona (NOME COGNOME), e i citati soggetti hanno agito per suo conto”.
La sentenza impugnata, poi, ha ampiamente motivato il diniego delle attenuanti generiche, evidenziando la mancanza di elementi di segno favorevole, l’assenza di resipiscenza (tale, evidentemente, non essendo stata ritenuta la sola sottoscrizione di una lettera con una manifestazione di pentimento) e, quanto all’entità della pena, l’intensità del dolo e le particolari modalità dei fa delittuosi commessi da un carabiniere unitamente anche a un pregiudicato conosciuto per ragioni di servizio.
Va ribadito in proposito che l’omesso riconoscimento delle suddette attenuanti può essere legittimamente giustificato in assenza di elementi o circostanze di segno positivo (Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, COGNOME, Rv. 281590; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, COGNOME, Rv. 260610); inoltre, il giudice di merito non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli riten decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549; Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275509; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826).
3. Ricorsi COGNOME e COGNOME.
I ricorsi sono inammissibili perché proposti con motivi non consentiti.
Il ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. è ammissibile soltanto quando deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta e al contenuto cilifforme della pronuncia del giudice ovvero – come da ultimo statuito dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 19415 del 27/10/2022, dep. 2023, Fazio, Rv. 284481) – alla omessa dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione maturata anteriormente alla pronuncia di tale sentenza.
Sono inammissibili, invece, le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. e ai vizi attinenti al diniego di attenuanti e alla determinazione della pena
che non si siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa da quella prevista dalla legge (v., ad es., Sez. 2, n. 50062 del 16/11/2023, COGNOME, Rv. 285619; Sez. 5, n. 46850 del 11/11/2022, COGNOME, Rv. 283878; Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 278170; Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, COGNOME, Rv. 276102; Sez. 2, n. 30990 del 01/06/2018, Gueli, Rv. 272969).
3.1. Sono inammissibili, dunque, le doglianze di COGNOME relative al diniego delle attenuanti generiche e alla omessa valutazione circa la corretta qualificazione giuridica dei fatti che il ricorrente neppure ha indicato.
3.2. Quanto al ricorso di COGNOME, non solo la pena non è affatto illegale ma non è neppure ipotizzabile alcuna violazione di legge, considerato che nel caso in cui per il reato ascritto all’imputato sia prevista una pena congiunta, «non vi è alcun obbligo per il giudice di merito di seguire il medesimo criterio nella determinazione della pena base detentiva e di quella pecuniaria» (Sez. 4, n. 20228 del 15/03/2012, Lucky, Rv. 252682; in senso conforme v. Sez. 3, n. 37849 del 19/05/2015, D.G., Rv. 265184).
Peraltro, nel caso di specie, la pena pecuniaria è stata ridotta nella medesima misura di quella detentiva (di un terzo) sia per la riduzione per il riconoscimento delle attenuanti generiche sia (necessariamente) per il rito, cosicché la doglianza è anche priva di ogni fondamento.
Alla inammissibilità delle impugnazioni proposte segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle favore della cassa delle spese processuali e della somma di euro tremila in ammende.
Così deciso il 14/05/2024.