Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 2860 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 2860 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/09/2022 della CORTE APPELLO di TRIESTE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo i L GLYPH F-71- c g7
udito il difensore procedimento a trattazione scritta.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Trieste del 20 settembre 2022 che, in sede di rinvio, ha confermato la sentenza resa il 18 dicembre 2017 dal G.u.p. del Tribunale di Trieste all’esito di giudizio abbreviato, con la quale era stato condannato alla pena di anni uno, mesi otto e giorni venti di reclusione, in ordine ai seguenti reati, riuniti tra loro dal vinc della continuazione e commessi il 30 aprile 2016 in Azzano Decimo e Motta di Livenza:
violazione di domicilio, ai sensi dell’art. 614 cod. pen., perché si era introdotto nell’abitazione di NOME COGNOME, sita in Azzano Decimo, INDIRIZZO;
lesioni personali aggravate, ai sensi degli artt. 582 e 585 cod. pen., perché, con l’utilizzo di mazze, bastoni e una palla di metallo, oltre che con pugni e calci, aveva cagionato a NOME COGNOME e NOME NOMElagta una frattura chiusa delle ossa nasali, trauma cranico facciale con prognosi di venti giorni e ferite della testa con prognosi di sette giorni; successivamente, aveva cagionato ulteriori lesioni anche a NOME COGNOME e a NOME COGNOME;
sequestro di persona, ai sensi dell’art. 605 cod. pen., perché, dopo essersi introdotto nell’abitazione di cui sopra e aver posto in essere le sopra citate lesioni, aveva caricato con forza NOME COGNOME su un’autovettura, privandolo in tal modo della sua libertà personale, per condurlo presso l’abitazione di NOME COGNOME, luogo in cui aveva continuato a picchiare la vittima;
porto di armi e oggetti atti ad offendere, ai sensi dell’art. 4 legge 18 aprile 1975, n. 110, perché, senza giustificato motivo, aveva portato fuori dalla propria abitazione, strumenti utilizzabili per l’offesa alla persona.
2. Il ricorrente articola due motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo, denuncia vizio di motivazione della sentenza impugnata, perché la Corte di appello avrebbe omesso di considerare che, dalla lettura degli atti del procedimento (in particolare, dal documento estratto da “Google Maps”), si evinceva che non vi era prova in forza della quale poter affermare che l’imputato per compiere l’azione delittuosa avesse potuto percorrere la distanza tra Azzano Decimo e Pasiano di Pordenone in quattro minuti.
Secondo la Corte di appello, infatti, il fatto che il telefono in uso all’imputato il 30 aprile 2016 non avesse mai agganciato la cella telefonica in Azzano Decimo (luogo di commissione del fatto, avvenuto alle 14:30) non era elemento idoneo a provare che lo stesso non si trovasse là, posto che alle 14:34 del medesimo
giorno il suo telefono aveva agganciato una cella in Pasiano di Pordenone e che la macchina nella quale si trovava lo stesso aveva potuto percorrere il tratto di strada tra le due località in pochi minuti, considerando che l’aggressione era stata caratterizzata da una velocità e da una tempistica molto accelerata.
Il ragionamento offerto nella sentenza impugnata, in realtà, sarebbe del tutto assertivo e congetturale, anche considerando che gli imputati non avrebbero avuto alcun interesse a guidare con velocità elevata (circa 150 km/h) l’autovettura se non attirando l’attenzione delle Forze dell’ordine, anche considerando che, secondo il documento di “Google Maps”, il tempo dì percorrenza media tra le due località è di quattordici minuti.
Secondo il ricorrente, poi, la Corte di appello avrebbe in maniera errata affermato che la riconduzione della telefonata Che l’imputato avrebbe ricevuto dai Carabinieri, pur essendo stata formulata dalla parte offesa nel suo atto di denuncia-querela, poteva non corrispondere alla realtà, posto che la stessa parte offesa non aveva avuto un colloquio diretto con i soggetti che avevano chiamato l’imputato e che, dunque, la loro identificazione era stata il frutto di una sua ricostruzione logica. In realtà, il ricorrente rileva che, dalla lettura della querel si evinceva che la parte offesa aveva dichiarato di essersi trovato vicino all’imputato quando questi aveva ricevuto la telefonata e di aver sentito che i Carabinieri avevano chiesto all’imputato se si trovasse al suo domicilio.
Nel ricorso, poi, si contesta la sentenza impugnata, nella parte in cui la Corte di appello ha affermato che, dalla lettura delle risultanze dei tabulati telefonici e dalle dichiarazioni rese dalla parte offesa, si evinceva che l’imputato fosse stato presente all’interno della cantina di Motta di Livenza.
La Corte di appello, inoltre, avrebbe erroneamente affermato che era presente un’autovettura Mercedes SW sul luogo del rapimento, quando alcuni testimoni non avevano confermato tale circostanza, sicché l’irrisolvibile incertezza del dato dimostrativo avrebbe dovuto portare alla conclusione dell’assenza di prova di quella circostanza (anche considerando la mancata inquadratura di tale vettura ad opera delle telecamere); sul punto, peraltro, la Corte di appello non sarebbe convincente laddove ha affermato che l’imputato era presente all’interno dell’autovettura BMW scura sulla quale era stata trasportata la parte offesa e che la predetta Mercedes, di conseguenza, non si sarebbe spostata da Azzano Decimo, poiché i Carabinieri, recatisi sul luogo del sequestro, non avevano riscontrato la presenza di tale autovettura.
Il giudice di secondo grado, infine, avrebbe affermato che il movente dell’azione delinquenziale era collegato ad attività legate allo spaccio di sostanza stupefacente, quando da nessun elemento probatorio era possibile trarre tale conclusione.
2.2. Con il secondo motivo, denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 533 cod. proc. pen., e vizio di motivazione della sentenza impugnata, perché la Corte di appello avrebbe violato il criterio di giudizio del ragionevole dubbio, conseguente alla manifesta illogicità della motivazione.
Secondo il ricorrente, infatti, il giudice di secondo grado avrebbe erroneamente confermato la sentenza del G.u.p. nonostante non vi fossero elementi rassicuranti sulla responsabilità dell’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Entrambi i motivi di ricorso sono infondati.
La Corte di appello, con riferimento ai due principali profili di contraddizione rilevati in sede rescindente, ha fornito una motivazione ineccepibile, che non si è discostata dalle obiettive risultanze probatorie, spiegando in modo convincente le ragioni per le quali ha ritenuto che i tempi degli spostamenti dell’imputato e della vittima si fossero svolti in modo più rapido di quanto indicato come tempo medio da google maps.
In particolare, la Corte territoriale ha evidenziato che dagli atti non risultava che la parte offesa avesse dichiarato nella sua denuncia che all’interno dell’autovettura fosse stato presente anche NOME COGNOME, circostanza confermata dal fatto che quest’ultimo e l’imputato avevano comunicato per telefono in vista del successivo ricongiungimento presso l’abitazione di Motta di Livienza.
Così facendo, il giudice di merito ha, dunque, fornito una motivazione ampiamente plausibile che non si pone in modo contraddittorio con le dichiarazioni rese da COGNOME.
La Corte di appello, inoltre, fornendo anche su tale punto un’ampia motivazione, ha evidenziato che l’affermazione secondo la quale COGNOME avesse udito squillare il telefono dell’imputato e, per la vicinanza, avesse sentito che la telefonata proveniva dai Carabinieri, poteva essere frutto di un’errata percezione della parte offesa, collegata con il comportamento immediatamente successivo dello stesso imputato, il quale si era dovuto allontanare al fine di rientrare presso il suo domicilio.
In ogni caso, la Corte di appello ha rilevato che il querelante non aveva riferito che l’imputato si era trattenuto nella cantina sino alle 17:30, avendo egli affermato che dopo le ore 18:00 era stato condotto in altro luogo dagli aggressori, tra i quali non aveva indicato l’imputato.
I giudici di merito, pertanto, hanno adeguatamente argomentato sulle risposte a tutti gli aspetti sottoposti alla sua valutazione, tra i quali il movent del pestaggio indicato da NOME e NOME, in modo esplicito, nell’attività di spaccio di sostanza stupefacente (pag. 5 della sentenza impugnata), sicché è infondata anche la censura per la quale la Corte non avrebbe indicato la fonte di detto movente.
In forza di quanto sopra, il ricorso deve essere rigettato. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso 1’8/11/2023