Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10194 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10194 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti nell’interesse di COGNOME NOME, nato a Torino il DATA_NASCITA, COGNOME NOME, nato a Catanzaro il DATA_NASCITA, COGNOME NOME, nato a Nocera Terinese il DATA_NASCITA, COGNOME NOME, nato a Chivasso il DATA_NASCITA, contro la sentenza della Corte d’appello di Torino del 13.3.2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, che ha concluso per il rigetto del ricorso di NOME COGNOME e per la inammissibilità dei ricorsi degli altri ricorrenti;
udito l’AVV_NOTAIO, per la parte civile costituita NOME COGNOME, che si è associato alle conclusioni del PG depositando conclusioni scritte e nota spese;
udito l’AVV_NOTAIO, in difesa di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, che ha concluso riportandosi ai motivi dei rispettivi ricorsi ed insistendo per il loro accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 24.5.2018, il Tribunale di Ivrea, procedendo con rito abbreviato condizionato ad integrazione probatoria, aveva riconosciuto NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME responsabili dei reati loro rispettivamente ascritti ovvero, tutti, del delitto di estorsione pluriaggravata di cui al capo 1), ed il COGNOME anche dei fatti di bancarotta di cui al capo 2), 3), 4), 5) e 6) della rubrica; aveva riconosciuto a tutti gli imputati le circostanze attenuanti generiche e, al solo COGNOME, quella di cui all’art 62 n. 6 cod. pen., in regime di equivalenza con la contestata aggravante e la recidiva per COGNOME e COGNOME; aveva perciò, e conclusivamente, condannato NOME COGNOME alla pena di anni 3 e mesi 8 di reclusione ed euro 1.200 di multa per il reato di cui al capo 1) ed alla pena di anni 3 di reclusione per i reati di cui al cap rimanenti, con pena complessiva pari ad anni 6 e mesi 6 di reclusione ed euro 1.200 di multa; COGNOME NOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME alla pena di anni 3 e mesi 8 di reclusione ed euro 1.200 di multa ciascuno; NOME COGNOME alla pena di anni 4 di reclusione ed euro 4.000 di multa; aveva applicato le pene accessorie conseguenti alla entità di quella principale e condannato gli imputati al risarcimento dei danni patiti dalla costituita parte civile NOME COGNOME; Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
2. la Corte d’appello di Torino, in parziale riforma della sentenza di primo grado, confermata nel resto, ha dichiarato estinto per intervenuta prescrizione il reato di cui al capo 5) e, con la riconosciuta continuazione tra tutte le restanti imputazioni, ha rideterminato la pena per NOME COGNOME in anni 4 di reclusione ed euro 1.000 di multa; ha ridotto la pena inflitta a NOME COGNOME ad anni 3 e mesi 4 di reclusione ed euro 800 di multa; ha riqualificato l’imputazione elevata nei confronti di NOME NOME e NOME COGNOME (oltre che a NOME COGNOME) in quella di estorsione tentata rideterminando di conseguenza la pena ad anni 2 e mesi 2 di reclusione ed euro 500 di multa ciascuno; ha provveduto inoltre
per quanto riguarda le pene accessorie e le spese sostenute dalla costituita parte civile nel grado;
ricorrono per cassazione NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME a mezzo dei rispettivi difensori che deducono:
3.1 l’AVV_NOTAIO, in difesa di NOME COGNOME:
3.1.1 in relazione al capo 1): violazione di legge con riguardo agli artt. 43 e 629 cod. pen., mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione: rileva l’erroneità della decisione impugnata che, confermando quella di primo grado, non ha considerato che il ricorrente era legittimato ad agire nei confronti del COGNOME per il pagamento dei macchinari che non erano compresi tra i cespiti della fallita; osserva, infatti, che la Corte d’appello ha aderi all’orientamento secondo cui la distinzione tra il delitto di estorsione e quello di ragion fattasi si fonda sulla intensità della violenza o della minaccia risultando perciò ultroneo il richiamo all’arresto RAGIONE_SOCIALE SS.UU. del 2020 in concreto disatteso; sottolinea, infatti, che il ricorrente aveva agito nella ragionevole convinziongdella -legittimità della propria pretesa peraltro riconosciuta in sede civile; ribadisce che la Corte territoriale non ha dato conto della ingiustizia della pretesa e del correlativo danno per il COGNOME nonché dell’elemento psicologico in capo all’agente omettendo di considerare che le pretese fatte valere non erano esorbitanti rispetto a quanto poi riconosciuto in sede civile ed erano state indirizzate esclusivamente nei confronti del COGNOME e non di terzi estranei oltre che poste in essere dallo stesso COGNOME e dagli altri imputati nella certezza della loro liceità; richiama una serie di conversazioni intercettate sottolineando che lo stesso COGNOME aveva pacificamente ammesso i crediti vantati dal ricorrente e la proprietà dei macchinari in capo a quest’ultimo; aggiunge che la stessa persona offesa non poteva essere considerata un teste “neutro” avendo approfittato della condizione di estrema difficoltà del ricorrente per intestarsi di fatto l’azienda estromettendolo dalla gestione ed omettendo anche di retribuirlo per l’attività lavorativa prestata all’interno dell’azienda; segnala che la Corte d’appello ha finito per smarrire il criterio distintivo, tracciato dalle SS.UU., tra le due fattispecie delittuose richiama le decisioni che, in sede civile o del lavoro, hanno riconosciuto la legittimità RAGIONE_SOCIALE pretese del COGNOME su cui la sentenza impugnata ha omesso di motivare; Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
3.1.2 in relazione ai capi 2), 3), 4) e 6): violazione di legge, mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione: richiama ampi passi della sentenza impugnata relativi alla titolarità dei beni utilizzati dal COGNOME senza tener conto degli elementi acquisiti e RAGIONE_SOCIALE deduzioni difensive, rimaste inevase a partire dalla scrittura del 29.5.2017 prodotta dalla difesa in sede di udienza preliminare e
nemmeno menzionata; aggiunge che era stato lo stesso curatore a confermare che tali beni non erano tra quelli strumentali della società invitando il COGNOME a ritirarli; sottolinea che anche il COGNOME aveva riconosciuto che i macchinari erano di proprietà del ricorrente, circostanza anch’essa di cui la sentenza impugnata non ha dato alcun conto;
3.1.3 contraddittorietà della motivazione in ordine alla contestazione dell’aggravante di cui all’art. 629, comma secondo, in relazione all’art. 628, comma terzo; segnala che, dalla motivazione della sentenza, risulta che la aggravante RAGIONE_SOCIALE “più persone riunite” era stata esclusa per tutti gli imputati laddove, tuttavia, nel calcolo della pena è stata giudicata equivalente alle attenuanti; segnala che la aggravante rileverebbe sul piano della esecuzione della pena ai sensi dell’art. 4-bis 0.P.;
3.1.4 contraddittorietà della motivazione in ordine alla quantificazione della pena ed erronea applicazione dell’art. 133 cod. pen.: rilevi] che, formulando il giudizio di valenza, la Corte d’appelro ha – rich-tamato là; récìdiva di cui all’art. 99 comma quarto cod. pen. non considerando che essa, per il COGNOME, era stata esclusa già in primo grado; aggiunge che, ai fini di un diverso esito del giudizio, non è stata considerata la offerta risarcitoria formulata al COGNOME; segnala che la Corte non ha giustificato in alcun modo l’aumento per la continuazione anche a fronte della intervenuta estinzione dei reati di cui al capo 5);
3.1.5 erronea applicazione della legge penale e contraddittorietà della motivazione in merito alla rideterminazione RAGIONE_SOCIALE pene accessorie: richiama l’arresto della Corte Costituzionale del 2018 seguito da quello RAGIONE_SOCIALE SS.UU. circa l’esigenza di determinare le pene accessorie previste dalla legge fallimentare, alla luce dei criteri dettati dall’art. 133 cod. pen. con conseguente idonea motivazione sulla loro quantificazione;
3.2 l’AVV_NOTAIO, in difesa di NOME COGNOME, la nullità della sentenza impugnata per carenza, contraddittorietà e maniresta illogicità della motivazione: rileva, infatti, che il reato di tentata estorsione, in questi termin riqualificato, doveva essere derubricato in quello di esercizio arbitrario RAGIONE_SOCIALE proprie ragioni atteso che il ricorrente aveva sempre ritenuto che il credito del COGNOME fosse giuridicamente fondato; aggiunge di non avere avuto alcun interesse diretto nella vicenda potendo soltanto aspettarsi che il COGNOME, una volta ricevuto il prezzo dei macchinari, avrebbe a sua volta onorato i propri debiti con lui:
3.3 l’AVV_NOTAIO, in difesa di NOME COGNOME: dichiararsi prescritto il reato di tentata estorsione come riqualificato nella sentenza impugnata ; in via subordinata, la nullità della sentenza impugnata per carenza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione: rileva, infatti, che il rea di tentata estorsione, in questi termini riqualificato, doveva essere derubricato in quello di esercizio arbitrario RAGIONE_SOCIALE proprie ragioni atteso che il ricorrente aveva sempre ritenuto che il credito del COGNOME fosse giuridicamente fondato; aggiunge di non avere avuto alcun interesse diretto nella vicenda potendo soltanto aspettarsi che il COGNOME, una volta ricevuto il prezzo dei macchinari, avrebbe a sua volta onorato i propri debiti con lui:
3.4 l’AVV_NOTAIO, in difesa di NOME COGNOME:
3.4.1 con riferimento al capo 1): erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione: rileva l’erroneità della decisione impugnata che, pur avendo evocato l’arresto RAGIONE_SOCIALE SS.UU. del 2020, ne ha in concreto disatteso l’insegnamento secondo cui il terzo può concorrere nel delitto di esercizio arbitrario RAGIONE_SOCIALE proprie ragioni laddove il suo contributo sia offerto o reso senza alcuna ulteriore finalità che quella di aiutare il creditore; ribadito che, per le SS.UU., il delitto di cui all’a 393 cod. pen. deve qualificarsi come reato proprio (ma) non esclusivo, ribadisce che il COGNOME aveva agito nel solo ed esclusivo interesse del COGNOME, dal quale aveva ricevuto l’incarico di attivarsi;
3.4.2 contraddittorietà della motivazione in ordine alla quantificazione della pena ed erronea applicazione dell’art. 133 cod. pen.: rileva che, contravvenendo ad un preciso obbligo, la Corte d’appello non ha dato conto dei criteri e RAGIONE_SOCIALE ragioni che hanno portato alla quantificazione della pena nei confronti dell’odierno ricorrente;
3.4.3 erronea applicazione della legge penale e contraddittorietà della motivazione in merito alla rideterminazione RAGIONE_SOCIALE pene accessorie: rileva che la Corte d’appello non si è espressa in punto di durata RAGIONE_SOCIALE pene accessorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Prima di esaminare i singoli ricorsi occorre dar conto della originaria imputazione di estorsione in concorso e della sua successiva evoluzione nella sentenza di secondo grado.
Gli odierni ricorrenti, infatti (unitamente a NOME COGNOME, non impugnante in questa sede) erano stati tratti a giudizio per rispondere, al capo 1) dell’imputazione, del delitto di estorsione consumata, pluriaggravata (anche ai sensi dell’art. 112 comma primo, n. 1 e 2, cod. pen. 629, comma secondo, cod. pen. in relazione all’art. 628, comma terzo n. 1, cod. pen.) in concorso (tra loro e
con altro soggetto non identificato) in danno di NOME COGNOME, avendo messo in atto, secondo l’accusa, le condotte dettagliatamente descritte nell’imputazione ed avendo così costretto la persona offesa a versare nelle mani di NOME COGNOME, quale acconto RAGIONE_SOCIALE maggiori somme richieste, un assegno di euro 3.000, conseguendo in tal modo un profitto ingiusto in quanto preteso dal COGNOME a fronte dell’utilizzo di macchinari in uso al COGNOME ma in realtà provento di distrazione dal fallimento della ditta “RAGIONE_SOCIALE“.
La Corte d’appello, prescindendo da quanto si dovrà più compiutamente approfondire vagliando il ricorso del COGNOME (e, di riflesso, quello del COGNOME), dopo aver disatteso i rilievi articolati dalle difese del COGNOME e del COGNOME, che avevano sollecitato la riqualificazione del fatto nella diversa ipotesi disciplinata dall’art. 3 cod. pen., ha tuttavia sostenuto che le condotte da costoro tenute dovevano essere più correttamente qualificate in termini di tentativo di estorsione “… considerato che, in realtà, il COGNOME è soggetto del tutto avulso ed autonomo dai primi correi e, dunque, perpetra la condotta estorsiva in un secondo momento, con fasi e metodi nuovi, che non integrano o si collegano alle attività dei primi, che si sono rivelate brutali ed intimidatorie, ma di fatto inconcludenti …” (cfr., pag 11 della sentenza impugnata).
L’approdo decisorio cui è pervenuta la Corte d’appello è stato perciò ed inequivocabilmente quello di “spezzare” il legame esistente tra le condotte del COGNOME e del COGNOME rispetto alla iniziativa del COGNOME portata a termine e, perciò, “consumata”, sia pure con la ricezione di un importo ben inferiore a quello preteso dal COGNOME, ad opera di NOME COGNOME.
Ed è proprio la circostanza della considerazione “separata” ed autonoma RAGIONE_SOCIALE condotte del COGNOME e del COGNOME ad avere indotto i giudici di secondo grado ad escludere, in primo luogo, la aggravante RAGIONE_SOCIALE “più persone riunite” di cui all’art. 629, comma secondo, cod. pen. in relazione all’art. 628, comma terzo, n. 1, cod. pen.: la sentenza impugnata, infatti, ha osservato, per un verso, che “… la condotta non è stata attuata dalle più persone riunite perché è carente la simultanea presenza, in ogni condotta, da parte di due o più persone, che piuttosto si alternano nelle concrete modalità esecutive” (cfr., pag. 11 della sentenza impugnata); in secondo luogo, però, la Corte territoriale ha significativamente fatto presente che “… non è stato considerato che i gruppi di soggetti supportanti il COGNOME erano del tutto distinti e differenziabili tra loro, con interessi intreccia ragioni di debito credito col COGNOME“.
Altrettanto pacificamente, dunque, non potrebbe essere ritenuta la aggravante di cui all’art. 112 cod. pen. su cui, invero, si dovrà sia pur brevemente tornare esaminando la posizione del COGNOME e del COGNOME.
I ricorsi del COGNOME e del COGNOME
1.1 Una volta considerata la posizione del COGNOME e del COGNOME separatamente rispetto alle altre, non si può che prendere atto della fondatezza del rilievo preliminare sollevato dalla difesa del secondo in ordine alla intervenuta prescrizione del reato di tentata estorsione.
Esclusa, infatti, già in primo grado, la pur contestata recidiva e considerata la riduzione per il tentativo (nella misura minima sulla pena cletentiva massima di anni 10 di reclusione) nonché, inoltre, l’aumento (di 1 /4) per gli atti interruttivi, il termine massimo di prescrizione del reato ritenuto a carico del ricorrente era spirato il 26.1.2023 e, perciò, in data antecedente la adozione della sentenza di secondo grado.
Nessun dubbio, d’altra parte, sull’ammissibilità del ricorso per cassazione con il quale sia dedotta, anche quale unico motivo, l’intervenuta estinzione del reato per prescrizione maturata prima della sentenza impugnata ed erroneamente non dichiarata dal giudice di merito, integrando tale doglianza un motivo consentito ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. b) cod. proc. pen. (cfr., Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015 Ud. (dep. 25/03/2016), Ricci, Rv. 266819 01).
Con la declaratoria di estinzione del reato, peraltro, vanno tuttavia confermate le statuizioni civili non essendo controversa la responsabilità del ricorrente dal punto di vista “materiale” e, pertanto, il pregiudizio lamentato dalla costituita parte civile in favore della quale il ricorrente va infine condannato alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese liquidate come in dispositivo.
1.2 Il ricorso del COGNOME è, invece, inammissibile perché totalmente generico.
Il Tribunale, infatti (cfr., pagg. 37-38 della sentenza di primo grado), aveva puntualmente ricostruito gli episodi in cui era rimasto coinvolto il ricorrente evidenziando come fosse del tutto inverosimile che egli avesse accompagnato il COGNOME dal COGNOME per recuperare un credito vantato nei confronti del coimputato e di cui, oltre ad esserne stata fornita una quantificazione “oscillante”, non era stata addotta alcuna prova tanto che lo stesso COGNOME, nel primo interrogatorio, non ne aveva fatto menzione alcuna.
Dal canto suo, la Corte distrettuale, a fronte dell’atto di appello, ha sinteticamente ma puntualmente replicato nel senso che “… le intercettazioni, il contenuto e le modalità, danno conto di interessi perseguiti anche dagli altri coimputati che, per le modalità oggettive con cui sono state attuate, per le statuizioni verbali che non si prestano a fraintendimenti, sono state correttamente
sussunte nella condotta estorsiva, giacché nel caso concreto i tre si sono organizzati ad operare in modo sistematico nella illecita forma di coartazione, al fine del conseguimento di un proprio profitto e nell’ambito di crediti non esercitabili legalmente …”.
Il ricorso, dal canto suo, risulta meramente reiterativo (anche dal punto di vista grafico) dell’atto di appello essendosi la difesa limitata a ribadire, in termin del tutto laconici e senza alcun confronto con la sentenza impugnata, la assenza di un interesse diretto del COGNOME nella vicenda che lo aveva visto protagonista (e sulla quale era comunque confesso dal punto di vista materiale) di condotte minatorie in danno del COGNOME e convinto, per contro, della bontà RAGIONE_SOCIALE ragioni del COGNOME.
È appena il caso di ricordare che le SS.UU. “Filardo”, nel concludere nel senso della qualificazione del delitto di cui all’art. 393 cod. pen. come “reato proprio” ma non “di mano propria”, ha esplicitamente affermato (cfr.’ pag. 29 della sentenza) di condividere la giurisprudenza di questa Corte laddove ha tradizionalmente affermato che, per configurare il reato di esercizio arbitrario RAGIONE_SOCIALE proprie ragioni in luogo di quello di estorsione, nel caso in cui la condotta tipica sia posta in essere da un terzo a tutela di un diritto altrui, occorre che il terzo abbia commesso il fatto al solo fine di esercitare il preteso diritto per conto del suo effettivo titolare, dal quale abbia ricevuto incarico di attivarsi, e non perché spinto anche da un fine di profitto proprio, ravvisabile ad esempio nella promessa o nel conseguimento di un compenso per sé, anche se di natura non patrimoniale (…); qualora il terzo agente – seppure inizialmente inserito in un rapporto inquadrabile ex art. 110 cod. pen. nella previsione dell’art. 393 stesso codice – inizi ad agire in piena autonomia per il perseguimento dei propri interessi, deve ritenersi che tale condotta integri gli estremi del concorso nel reato di estorsione ex artt. 110 e 629 cod. pen. (…)”.
Ed è proprio su tale corretta premessa in diritto che i giudici di merito hanno confermato l’imputazione a carico del COGNOME sorreggendo la propria decisione con argomentazioni rispetto alle quali il ricorso è, come detto, assolutamente generico.
2. Il ricorso di NOME COGNOME
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è fondato con riguardo ai primi due motivi e per le ragioni di séguito esposte; inammissibile, invece, nel resto.
2.1 La vicenda, da cui erano originate tutte le imputazioni per le quali il ricorrente era stato tratto a giudizio e riconosciuto responsabile nei due gradi di merito (salvo il riconoscimento della prescrizione maturata in secondo grado per il delitto di cui al capo 5 della rubrica) è stata ricostruita dal Tribunale nel sentenza di primo grado partendo dal contenuto della denunzia sporta da NOME COGNOME: costui aveva riferito che NOME COGNOME, già suo collaboratore, il giorno 19 giugno del 2014 si era presentato nel panificio da lui gestito accompagnato di due soggetti calabresi, a lui sconosciuti, i quali, affermandosi creditori di quello, gl avevano chiesto la somma di 50.000 euro per l’uso dei macchinari perché di proprietà del medesimo COGNOME.
Il COGNOME – come si evince dalla lettura della sentenza di primo grado aveva riferito che, nel gennaio del 2013, era stato contattato dal RAGIONE_SOCIALE per collaborare con la RAGIONE_SOCIALE dove aveva lavorato sino al febbraio percependo un compenso di 3.000 euro mensili; se non ché, nel luglio del 2013, era stata presentata un’istanza di (auto)fallimento e, in data 29.10.2013, la RAGIONE_SOCIALE era stata dichiarata fallita.
Il COGNOME aveva nel frattempo costituito una nuova società, la RAGIONE_SOCIALE, di cui erano soci il figlio e la moglie del coimputato e, anche, il COGNOME, che aveva acquisito il ramo d’azienda continuando a lavorare con la diretta collaborazione del medesimo COGNOME a fronte di un compenso mensile pari ad euro 3.000.
Sempre seguendo la denuncia del COGNOME, la sentenza di primo grado aveva spiegato che i macchinari per l’uso dei quali gli era stato chiesto il pagamento di un indennizzo erano, in realtà, due confezionatrici verticali vecchie di 25 anni del valore commerciale di circa 2.000 euro ciascuna non inventariate dal curatore perché oggetto di un contratto di comodato gratuito (simulato) intercorso con tale COGNOME e di cui mai il COGNOME aveva in precedenza chiesto conto salvo, per l’appunto, quanto sarebbe accaduto con le “visite” del COGNOME, del COGNOME e del COGNOME oltre che, da ultimo, del COGNOME.
Il Tribunale aveva anche spiegato che il COGNOME, in sede di interrogatorio di garanzia, aveva ammesso i metodi minatori e violenti adottati nei confronti ed in danno del COGNOME ma, soprattutto, aveva ammesso di aver sottratto, d’accordo con il COGNOME, i cespiti aziendali consistenti nei macchinari e nelle attrezzature tra cui quelli elencati nel documento allegato alla bolla di accompagnamento emessa dal COGNOME in favore di RAGIONE_SOCIALE per evitare che fossero inventariati dal curatore (cfr., pag. 31 della sentenza di primo grado); nel corso del processo, svoltosi con rito abbreviato, il COGNOME aveva successivamente sostenuto di avere in passato personalmente acquistato i macchinari e di essere pertanto creditore di
una somma per il loro utilizzo da parte del COGNOME oltre che RAGIONE_SOCIALE retribuzioni per il lavoro svolto per conto della nuova società.
Il Tribunale, dal canto suo, aveva ritenuto di non poter seguire la tesi difensiva avendo richiamato, a tal fine, le stesse dichiarazioni dell’imputato circa la distrazione dei beni e dei macchinari dalla massa fallimentare onde evitare che essi fossero inventariati dal curatore e consentendo poi il riacquisto dell’azienda ad un prezzo favorevole (cfr., ivi, pag. 32 e la conversazione intercorsa tra il COGNOME e tale NOME).
I giudici di primo grado avevano inoltre fatto riferimento alla deposizione resa dal curatore del fallimento, AVV_NOTAIO COGNOME, il quale aveva riferito sulla lacunosa tenuta RAGIONE_SOCIALE scritture contabili, traendone argomento per contrastare la tesi difensiva circa la mancata acquisizione dei beni strumentali alla massa fallimentare; quanto ai crediti di lavoro, il Tribunale aveva spiegato che dalla stessa documentazione prodotta dalla difesa risultava l’avvenuto riconoscimento di una pretesa relativa a retribuzioni per il periodo compreso tra l’agosto 2013 ed il dicembre del 2013 per un ammontare complessivo lordo d-i 14.076,92 (oltre accessori), di molto inferiore a quella oggetto della richiesta avanzata dal COGNOME nei confronti del COGNOME.
In definitiva, il Tribunale aveva qualificato la condotta del COGNOME in termini di estorsione disattendendo la pur prospettata riconducibilità RAGIONE_SOCIALE condotte nella ipotesi del delitto di ragion fattasi sull’assorbente rilievo secondo cui le richiest minatorie avevano ad oggetto il pagamento di una somma per l’utilizzo di macchinari su cui il ricorrente non poteva vantare alcun diritto in quanto egli stesso li avrebbe distratti sottraendoli alla massa fallimentare e per il quale, perciò, non era in alcun modo ipotizzabile si potesse parlare di una pretesa tutelabile in giudizio.
Con l’atto di appello, la difesa del COGNOME aveva posto una serie di questioni in fatto con cui, va detto, i giudici di secondo grado non si sono confrontati e che hanno in realtà eluso.
In particolare, aveva spiegato che i macchinari di cui era stata “confessata” la sottrazione al fallimento erano soltanto quelli oggetto della bolla di accompagnamento emessa dal COGNOME in favore della RAGIONE_SOCIALE ma che, in realtà, i beni strumentali utilizzati dalla società di nuova costituzione non appartenevano affatto alla massa fallimentare.
Ed a tal proposito, la difesa aveva segnalato che era stato proprio il curatore ad invitare il COGNOME a ritirare i beni rinvenuti all’interno dell’azienda propri quanto non rientranti tra i beni riconducibili al fallimento; aveva, sul punto, richiamato la corrispondenza intercorsa tra il COGNOME ed dr. COGNOME, puntualmente allegata all’atto di appello (cfr., all. sub 4).
La difesa dell’imputato aveva inoltre richiamato l’accordo intercorso tra il medesimo COGNOME e la curatela fallimentare, consacrato nella scrittura del 29.5.2017, con cui l’odierno ricorrente aveva rinunciato definitivamente, in favore del fallimento, ai beni rinvenuti nella disponibilità del COGNOME “… e megli identificati al capo 2) dell’imputazione della richiesta di rinvio a giudizio …” (c ivi), sottolineando che proprio la “rinuncia” supponeva la titolarità del diritt vantato sugli stessi.
L’atto di appello, inoltre, aveva richiamato il contenuto RAGIONE_SOCIALE conversazioni intercettate in cui sarebbe stato lo stesso COGNOME ad ammettere la proprietà del COGNOME sui macchinari in questione (cfr., pag. 7 dell’atto di appello) finendo per concordare la corresponsione di 30.000 euro da versare ratealmente (cfr., ivi, pagg. e ssgg.).
E, ancora, la difesa aveva specificamente contestato il passo della motivazione con cui il Tribunale, come si è accennato, aveva escluso di poter prendere in considerazione, al fine di ricondurre la vicenda nell’alveo del delitto di ragion fattasi, le pretese creditorie del COGNOME legate alla attività lavorativa da costu svolta per conto della RAGIONE_SOCIALE; l’atto di appello aveva infatti richiamato la conversazione intercorsa tra il COGNOME, il COGNOME ed il COGNOME in data 23.10.2014 in cui l’odierno ricorrente avrebbe fatto espresso riferimento alle sue ben maggiori pretese (cfr., ivi, pagg. 30-31).
Su tutti questi aspetti, evidentemente rilevanti ai fini della qualificazione giuridica della condotta, va detto che la sentenza di appello è sostanzialmente silente ed elusiva RAGIONE_SOCIALE pur puntuali osservazioni difensive.
Dopo aver richiamato l’arresto RAGIONE_SOCIALE SS.UU. “Filardo”, a Corte d’appello di Torino ha lapidariamente affermato che “… era a tutti noto che i beni trattenuti dal COGNOME erano frutto RAGIONE_SOCIALE condotte dissipative a carico dell’azienda” (cfr., pag. 10 della sentenza impugnata), aggiungendo che “… la tesi alternativa sulla differente origine dei beni rispetto al compendio fallimentare e del credito da lavoro del COGNOME nei confronti del COGNOME non consentono di superare questa ricostruzione in quanto, da un lato non vi è data anteriore e certa di destinazione di tali beni in epoca precedente l’affermazione dello stato di insolvenza e, da!l’altro lato, l’attività lavorativa del COGNOME presso il COGNOME costituirebbe piuttosto la volontà di lavorare con una nuova compagine societaria tramite una testa di legno, per proseguire nei propri commerci” (cfr., ivi).
La Corte d’appello, pertanto, ha dato per scontato proprio ciò su cui la difesa aveva insistito e su cui avrebbe dovuto prendere posizione argomentando sulle allegazioni contenute nell’atto di gravame.
Non si può, perciò, ignorare il carattere sostanzialmente autoreferenziale della motivazione della sentenza impugnata che ha eluso le questioni poste dalla
difesa e che non potevano nemmeno essere superate con un generico richiamo alla sentenza di primo grado.
Il giudizio di appello, infatti, possiede connotati diversi da quelli che, invece, sono propri del giudizio di legittimità dove, davanti alla Corte di RAGIONE_SOCIALEzione, si instaura un giudizio a critica vincolata e limitata entro i confini rigorosamente delineati dal “catalogo” predisposto dall’art. 606 comma 1 cod. proc. pen.. L’appello, al contrario, è un giudizio “a critica libera” nel quale, cioè, i motivi impugnazione non sono predeterminati o tipizzati dal legislatore ed al di fuori dei quali non è consentito rivolgersi al giudice superiore che sarà tenuto, in mancanza, a dichiarare il gravame inammissibile; il giudice di appello, infatti, pur nell’ambito del principio di devoluzione, possiede una cognizione piena con incondizionato accesso agli atti della istruttoria ed agli elementi acquisiti al processo cui può e deve attingere per confrontarsi con le argomentazioni della difesa condividendole o dissentendo da esse.
Come correttamente ed ampiamente sottolineato da questa Corte in un precedente che il collegio condivide pienamente (cfr., Sez. 2 -, n. 52617 del 13/11/2018, Di Schiena, Rv. 274719), la Corte di Appello, a fronte di un atto di impugnazione, ha due soluzioni: dichiarare l’appello inammissibile ai sensi del combinato disposto degli artt. 581 e 591 cod. proc. pen. o prenderne cognizione a norma dell’art. 597 cod. proc. pen..
In particolare, la inammissibilità dell’appello – oltre che per cause “formali” (quali la tardività del gravame o l’irritualità del mezzo utilizzato) – può conseguire alla mancanza di specificità dei motivi di gravame che, come pure è noto, ben può essere rilevata anche dalla Corte di RAGIONE_SOCIALEzione in quanto rilevabile in ogni stato e grado del procedimento (cfr., in tal senso, Cass. Pen., 6, 6.10.2015 n. 47.722, COGNOME; Cass. Pen., 2, 16.12.2014 n. 10.173, COGNOME).
Sulla specificità dell’atto di appello sono intervenute, come è noto, le SS.UU. di questa Corte che, con la sentenza “RAGIONE_SOCIALE“, hanno affermato il principio secondo cui “l’appello (al pari del ricorso per cassazione) è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto po fondamento della sentenza impugnata” (cfr., Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 268822). In quella occasione, le SS.UU., dopo avere chiarito che per “specificità estrinseca”, deve intendersi “la esplicita correlazione dei motivi di impugnazione con le ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata”, hanno spiegato che “l’impugnazione deve esplicarsi attraverso una critica specifica, mirata e necessariamente puntuale della decisione impugnata e da essa deve trarre gli spazi argomentativi della domanda di una decisione corretta in diritto ed in fatto” sottolineando che “le esigenze di specificità dei motivi non
sono, dunque, attenuate in appello, pur essendo l’oggetto del giudizio esteso alla rivalutazione del fatto”.
Poiché, hanno ancora segnalato le SS.UU., “… l’appello è un’impugnazione devolutiva, tale rivalutazione può e deve avvenire nei rigorosi limiti di quanto la parte appellante ha legittimamente sottoposto al giudice d appello con i motivi d’impugnazione, che servono sia a circoscrivere l’ambito dei poteri del giudice stesso sia a evitare le iniziative meramente dilatorie che pregiudicano il corretto utilizzo RAGIONE_SOCIALE risorse giudiziarie, limitate e preziose, e la realizzazione del principi della ragionevole durata del processo, sancito dall’art. 111 Cost., comma 2″.
Tanto premesso in punto di “metodo”, e con particolare riferimento alla ipotesi, non certo infrequente, in cui, con l’atto di appello, siano riproposte questioni già di fatto dedotte e vagliate in primo grado, le SS.UU. hanno spiegato che “… la diversità strutturale tra i due giudizi deve indurre ad escludere che la riproposizione di questioni già esaminate .e disattese in primo grado sia di per sé causa di inammissibilità dell’appello” poiché “… il giudizio di appello ha infatti per oggetto la rivisitazi integrale del punto di sentenza oggetto di doglianza, con i medesimi poteri del primo giudice ed anche a prescindere dalle ragioni dedotte nel relativo motivo” mentre “… il giudizio di cassazione può avere per oggetto i soli vizi di mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione, tassativamente indicati nell’art. 606 c.p.p., lett. E); con la conseguenza che il motivo di ricorso non può, per definizione, risolversi in una mera riproposizione del motivo di appello, perché deve avere come punto di riferimento non già il fatto in sé, ma il costrutto logicoargomentativo della sentenza d’appello che ha valutato il fatto”; ben diversamente, al contrario, “… nel giudizio d’appello sono certamente deducibili questioni già prospettate e disattese dal primo giudice” ancorché “l’appello, in quanto soggetto alla disciplina generale RAGIONE_SOCIALE impugnazioni, deve essere connotato da motivi caratterizzati da specificità, cioè basati su argomenti che siano strettamente collegati agli accertamenti della sentenza di primo grado”. Ed ancora, le SS.UU. “RAGIONE_SOCIALE” hanno sottolineato che “… il sindacato sull’ammissibilità dell’appello, condotto ai sensi degli artt. 581 e 591 c.p.p., non può riconnprendere .- a differenza di quanto avviene per il ricorso per cassazione (art. 606 c.p.p., comma 3) o per l’appello civile – la valutazione della manifesta infondatezza dei motivi di appello” dal momento che “… la manifesta infondatezza non è … espressamente menzionata da tali disposizioni quale causa di inammissibilità dell’impugnazione”; di conseguenza “… il giudice d’appello non potrà fare ricorso alla speciale procedura prevista dall’art. 591 c.p.p., comma 2, in presenza di motivi che siano manifestamente infondati e però caratterizzati da specificità intrinseca ed estrinseca”. Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
In definitiva, la sentenza “Di Schiena” ha concluso, in termini che il collegio condivide integralmente e che intende in questa occasione ribadire, nel senso che in presenza di un atto di appello che non sia da ritenere inammissibile per carenza di specificità, il giudice d’appello non può limitarsi al mero e tralaticio rinvio al motivazione della sentenza di primo grado in quanto, anche laddove l’atto di gravame riproponga questioni già di fatto dedotte e decise in primo grado, egli ha l’obbligo di motivare, onde non incorrere nel vizio di motivazione apparente, in modo puntuale e analitico su ogni punto a lui devoluto.
Si tratta di conclusioni del tutto condivisibili e su cui è ormai attestata la giurisprudenza di questa Corte che le ha anche di recente e più volte ribadite (cfr., tra le non massimate che hanno fatto proprio il principio del carattere “apparente” della motivazione del giudice di appello che, pur non avendo ritenuto inammissibile, in quanto generico, il motivo di gravame, si sia tuttavia limitata a condividere la soluzione cui era approdato il primo giudice senza dar conto RAGIONE_SOCIALE ragioni per le quali ritenga infondati i rilievi difensivi, Sez. 2, n. 43496 de 17.9.2021, COGNOME; Sez. 2, n. 20451 del 4.2.2020, COGNOME; Sez. 2, n. 39486 del 7.5.2020, COGNOME ed altri,; Sez. 2, n. 254 del 12.7.2019, COGNOME ed altri; Sez. 2, n. 35485 del 23.5.2019, COGNOME; conf., anche, su questa linea, Sez. 2, n. 56395 del 23/11/2017, COGNOME ed altro, Rv. 271700, secondo cui è affetta da nullità per difetto di motivazione la sentenza di appello che, a fronte di motivi specifici di impugnazione con cui si propongono argomentate critiche alla ricostruzione del giudice di primo grado, si limiti a “ripetere” la motivazione di condanna senza rispondere a ciascuna RAGIONE_SOCIALE contestazioni adeguatamente mosse dalla difesa con l’atto di appello; Sez. 4, n. 6779 del 18/12/2013, COGNOME ed altri, Rv. 259316 in cui la Corte ha affermato che incorre nella violazione dell’obbligo di motivazione dettato dagli artt. 125, comma terzo, cod. proc. pen. e 111, comma sesto, Cost. il giudice d’appello che, nell’ipotesi in cui le soluzioni adottate dal giudice di primo grado siano state censurate dall’appellante con specifiche argomentazioni, confermi la decisione del primo giudice, dichiarando di aderirvi, senza però dare compiutamente conto degli specifici motivi d’impugnazione, così sostanzialmente eludendo le questioni poste dall’appellante; Sez. 3, n. 27416 del 01/04/2014, M., Rv. 259666). Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
In definitiva, rileva il collegio che la Corte di appello ha di fatto omesso di confrontarsi con le specifiche allegazioni difensive che avrebbe dovuto prendere in esame, anche al fine di disattenderle motivatamente ma che, come emerge dalla lettura della sentenza, non sono state affatto considerate, il che finisce per viziare irrimediabilmente la decisione impugnata (cfr., Sez. 6, n. 12540 del 12/10/2000, Brescia, Rv. 218172 – 01) che va perciò annullata con rinvio ad altra Sezione della
stessa Corte di appello di Torino per nuovo esame quanto ai capi 1) e 2) della rubrica.
2.2 Il ricorso del COGNOME è invece, come anticipato, inammissibile quanto ai capi 3), 4) e 6) della rubrica su cui, di fatto, manca ogni specifica censura avendo la difesa insistito, ancora, sulla medesima questione relativa alla titolarità dei beni strumentali così sostanzialmente disinteressandosi RAGIONE_SOCIALE imputazioni relativa alla distrazione di somme di denaro e RAGIONE_SOCIALE scritture contabili come, anche, RAGIONE_SOCIALE condotte giudicate tali da integrare il delitto di bancarotta impropria contestati ai capi 4) e 6) ella rubrica.
2.3 Come pure già anticipato, era stato già il Tribunale ad escludere la aggravante RAGIONE_SOCIALE “più persone riunite” che, perciò, pur dovendo rilevare che il motivo di ricorso è evidentemente assorbito dall’annullamento della sentenza impugnata con riguardo ai capi 1) e 3), in sede di eventuale rideterminazione della pena la Corte dovrà tener conto di tale indicazione; allo stesso modo dovrà considerare che nel giudizio di valenza non potrà essere considerata, per il COGNOME, la recidiva che per il ricorrente (come per il COGNOME) era stata infatti anche in ta caso esclusa dal giudice di prime cure.
E, ancora, per effetto della “separazione” RAGIONE_SOCIALE condotte ascritte ai COGNOME ed al COGNOME, dovrà verificare la persistente applicabilità della aggravante di cui all’art. 112 cod. pen..
Da ultimo, e pur ribadendo come l’esame del motivo sia preluso, la Corte, in sede di eventuale rideterminazione della pena, ed in applicazione del principio stabilito da Sez. U , n. 28910 del 28/02/2019, Suraci, Rv. 276286 – 01.
Va detto, a tal proposito, che le direttive stabilite dalle SS.UU. “Pizzone” in punto di impegno motivazionale sulle pene principali e sugli aumenti per la continuazione sono stati in quella stessa sede ribaditi anche con riguardo alle pene accessorie per le quali è previsto un minimo ed un massimo, ricorrendo un obbligo di motivazione specifica e dovendo essere esclusa una necessaria correlazione con quella della pena principale (cfr., Sez. 3, n. 41061 del 20/06/2019, Paternò, Rv. 277972, in relazione alle pene accessorie di cui all’art. 12 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74).
Si è chiarito che se la durata della pena accessoria è determinata in misura superiore alla media edittale è necessaria, allora, una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi di cui all’art. 133 cod. pen., tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena, ed ancor più ove sussista divaricazione nel trattamento sanzionatorio complessivo tra pena principale, irrogata nel minimo, e pene accessorie fissate nel massimo (cfr., Sez. 5, n. 1947 del 03/11/2020, dep. 2021, Maddem, Rv. 280668, in tema di pene accessorie fallimentari).
3. Il ricorso di NOME COGNOME
3.1 Il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse del COGNOME è fondato su argomentazioni di fatto sovrapponibili a quelle sviluppate nell’interesse del COGNOME.
Si impone, pertanto, anche per il COGNOME, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Torino che, nel riesaminare la vicenda quanto al profilo dell’esistenza di una pretesa ragionevolmente tutelabile in capo al COGNOME dovrà anche vagliare – alla luce dei principi affermati dalle SS.UU. “Filardo” in punto di partecipazione del terzo – le ragioni sottese al concorso del ricorrente e, in particolare, se costui avesse o meno operato nell’esclusivo interesse del primo ovvero versando nella vicenda un interesse proprio ed autonomo.
3.2 Anche per quanto concerne il COGNOME, gli altri motivi, articolati sul trattamento sanzionatorio, sono assorbiti ma, in sede di eventuale rideterminazione della pena, il giudice di rinvio dovrà tener conto RAGIONE_SOCIALE considerazioni spese dal collegio al precedente punto 2.3 nell’esaminare la posizione del COGNOME.
L’inammissibilità del ricorso del COGNOME comporta la condanna del predetto ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro 3.000 in favore della RAGIONE_SOCIALE, non ravvisandosi ragione alcuna d’esonero.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME, limitatamente ai reati di cui ai capi 1) e 2), e nei confronti di NOME COGNOME, limitatamente al r reato di cui al capo 1), con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d’appello di Torino.
ti
Dichiara inammissibile il ricorso di NOME COGNOME limitatamente alle affermazioni di responsabilità in ordine ai reati di cui ai capi 3, 4, e 6.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME, perché il reato ascrittogli è estinto per prescrizione, con conferma RAGIONE_SOCIALE statuizioni civili.
Condanna l’imputato COGNOME NOME alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME NOME, che liquida in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME che condanna al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Così deciso in Roma, il 13.2.2024