Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 19302 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 19302 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/05/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a CUTRO il 27/07/1961
avverso l’ordinanza del 11/01/2025 del Tribunale di Bologna;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procurator generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza dell’11/01/2025 il Tribunale di Bologna ha respint l’istanza di riesame che era stata avanzata nell’interesse di NOME COGNOME il provvedimento con il quale il GIP del capoluogo emiliano aveva applicato predetto indagato la misura della custodia cautelare in carcere avendo ravvis a suo carico, gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di tentata es pluriaggravata anche ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen. e di trasferimento
fraudolento di beni o valori, nonché le relative esigenze cautelari non altrimenti fronteggiabili.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore che deduce:
2.1 violazione di legge in relazione agli artt. 416-bis.1, 56-629, commi primo e secondo, cod. pen.; mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione ed erronea applicazione della legge penale e processuale: rileva che il Tribunale ha liquidato l’eccezione difensiva circa la posizione processuale di NOME COGNOME, indagato per reato collegato ai sensi dell’art. 371, comma 2, lett. b), cod. proc. pen., sostenendo che essa è certamente cumulabile con quella di persona offesa del reato, non avendo però affrontato l’obiezione difensiva in punto di attendibilità del suo racconto e di solo parziale convergenza con quello del di lui fratello e della madre; ricorda che il COGNOME risultava iscritto presso la Procura della Repubblica di Reggio Emilia per fatti di truffa ma anche di autoriciclaggio con profili di connessione probatoria con il presente procedimento il che, unitamente alla presenza di altre denunce, avrebbe dovuto indurre il Tribunale a valutare in maniera particolarmente rigorosa le sue dichiarazioni, da saggiare anche alla luce dell’evidente interesse a conservare la somma di euro 190.000 oggetto della denunciata truffa da lui posta in essere; segnala, quindi, una serie di aspetti su cui la motivazione del Tribunale risulta a suo avviso incongrua e non esaustiva oltre che manifestamente illogica;
2.2 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla qualificazione giuridica del fatto come tentata estorsione: segnala la contraddittorietà tra la ricostruzione operata dai giudici della cautela, secondo cui il COGNOME sarebbe stato il dominus della Società RAGIONE_SOCIALE e la qualificazione in termini di estorsione della richiesta di pagamento a favore della medesima società perché, secondo i giudici del riesame, avanzata da soggetto non legittimato; evidenzia che l’ordinanza non ha considerato che il 28 febbraio 2023 NOME COGNOME, amministratore della RAGIONE_SOCIALE, aveva presentato una querela nei confronti del COGNOME proprio in relazione alle somme di cui il ricorrente avrebbe poi chiesto la restituzione da eseguire, peraltro, tramite bonifici intestati alla società, ovvero con modalità del tut distoniche rispetto all’ipotesi di una condotta estorsiva fondata su interessi personali; richiama la giurisprudenza formatasi in merito agli elementi distintivi tra il delitto di estorsione e quello di ragion fattasi evidenzianclo come proprio i tenore del provvedimento impugnato finisse per dar conto della legittimità, quantomeno putativa, della pretesa avanzata dal ricorrente considerato dai giudici della cautela come l’effettivo gestore della società;
2.3 violazione di legge in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari ex art. 275 cod. proc. pen.: rileva che il Tribunale si è limitato, sul punto, a evocare la pregressa condanna del ricorrente per associazione a delinquere di stampo mafioso senza tuttavia considerare la condotta da lui tenuta nell’arco di dieci anni nel corso dei quali era stato sottoposto a detenzione domiciliare, caratterizzata da un costante monitoraggio che non aveva fatto emergere contatti con ambienti criminali; evidenzia la insussistenza di esigenze di natura probatoria stante la natura degli elementi acquisiti e l’irrilevanza, a tal fine, della telefon tra il COGNOME e la presunta compagna dell’indagato di cui, sotto altro profilo, sono state obliterate le pur comprovate condizioni di salute.
La Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato per le ragioni che seguono.
L’imputazione provvisoria elevata a carico del COGNOME e posta a fondamento della misura custodiale di massimo rigore si artico, al capo 1), nel delitto di cui agli artt. 416-bis.1, 56-629 cod. pen.: secondo l’impostazione della pubblica accusa, NOME COGNOME aveva ricevuto, dalla società RAGIONE_SOCIALE tra le altre, la somma di euro 190.000 che gli era stata consegnata da utilizzare “in investimenti immobiliari di dubbia liceità” ma che, in violazione degli accordi intercorsi tra le parti, non aveva restituito quando gli era stata richiesta indietr il COGNOME avrebbe usato minaccia (anche nei confronti della madre di COGNOME, NOME, e del fratello NOME COGNOME) e violenza nei confronti del COGNOME per tentare (non riuscendo nell’intento) di ottenere la restituzione del denaro; l’imputazione provvisoria, a tal proposito, descrive le singole niziative in cui sarebbe articolata la condotta minatoria e violenta dell’odierno ricorrente nelle giornate alle date dell’08/11/2024, del 10/11/2024, dell11/11/2324, del 20/11/2024 e del 26/11/2024; al capo 2), inoltre, si contesta al COGNOME il delitt di cui agli artt. 81, 110, 512-bis, 416-bis.1, 61 n. 11-quater cod. pen. per avere fittiziamente intestato fittizia la RAGIONE_SOCIALE a COGNOME e COGNOME Rosario infine, al capo 3), la contestazione provvisoria riguarda gli artt. 30 e 31 I. 646 de 1982, 416-bis.1 cod. pen., con l’aggravante, anche in tal caso, di cui a l’art. 11quater cod. pen.
Il primo motivo del ricorso è infondato.
La difesa censura il provvedimento del Tribunale del Riesame laddove i giudici bolognesi avrebbero omesso di considerare la posizione processuale di NOME COGNOME quale indagato di reato connesso, con ogni conseguenza in termini di utilizzabilità delle sue dichiarazioni e, in secondo luogo, di necessità di acquisirne un idoneo riscontro.
Il provvedimento impugnato non ha affatto trascurato la doglianza difensiva avendo puntualmente segnalato che il COGNOME doveva essere considerato persona offesa vuoi del delitto di tentata estorsione vuoi, anche, secondo la tesi difensiva, del delitto di ragion fattasi; tanto premesso, il Tribunal ha inoltre evidenziato che il collegamento probatoro con il procedimento 5012/21 RGNR del PM Reggio Emilia si era palesato il 09/12/2024 e che, ad ogni modo, al COGNOME erano stati dati gli avvisi di cui all’art. 64 cod. proc. pen.; dopo di ch il predetto aveva confermato le dichiarazioni del 24/11/2024, del 27/11/2024 e del 03/12/2024.
Sotto altro profilo, il Tribunale ha ritenuto che le dichiarazio. -ii del COGNOME fossero confortate da idonei riscontri che ha ravvisato nel contenuto dalle dichiarazioni di NOME COGNOME, di quelle di NOME COGNOME alla madre, nelle sommarie informazioni testimoniali di NOME COGNOME e COGNOME NOME e negli esiti del monitoraggio dell’incontro del 26/11/2024 tra il COGNOME e lo stesso COGNOME.
3. Il secondo motivo del ricorso è fondato.
I giudici del riesame, come evidenziato dalla difesa, hanno considerato assolutamente pacifica e fuor di dubbio l’esistenza del debito maturato da NOME COGNOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE ancorché escludendo, allo stato, la ravvisabilità degli estremi del delitto di truffa in danno della società (cfr., pag dell’ordinanza).
Hanno, nel contempo, ritenuto corretta la qualificazione, in termini di tentata estorsione, della condotta ascritta ad NOME COGNOME consistente nel tentativo di costui, attraverso minacce dirette (anche per interposta persona) ad NOME COGNOME per ottenere la restituzione di quanto costui (come accennato) pacificamente doveva alla società e che, va pur detto, avrebbe dovuto essere ritrasferita mediante bonifici da effettuare sul conto della stessa.
Secondo il Tribunale, infatti, il COGNOME non era “legittimato” a rivendicare il denaro in quanto di pertinenza della RAGIONE_SOCIALE “… rispetto alla quale egli er formalmente estraneo dato che era il fratello NOME a figurare come amministratore della società” (cfr., pag. 15 dell’ordinanza).
Fatta questa premessa, i giudici del riesame hanno osservato che il delitto di ragion fattasi rientra “… tra i cosiddetti reati propri esclusivi o di mano propria, perciò configurabili solo se la condotta tipica è posta in essere da colui che ha la titolarità del preteso diritto” (cfr., ivi, pag. 15) e rispetto ai quali il conco terzo è configurabile soltanto se la condotta tipica sia posta in essere dal titolare del diritto mentre se ad agire, sia pure nell’interesse del creditore, è il terzo, cost si rende responsabile e commette il delitto di estorsione (cfr., ancora, pagg. 1516 del provvedimento impugnato).
Si tratta di un’affermazione errata in diritto.
Le Sezioni Unite penali di questa Corte, con la sentenza “COGNOME” del 2020, hanno chiarito che i reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni hanno natura di reato proprio non esclusivo o “di mano propria” (cfr., Sez. U, n. 2954 del 16/07/2020, Rv. 280027 – 01, in cui si è affermato che “l’orientamento che considera i reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni come reati propr esclusivi, o di mano propria, non può essere condiviso” insistendo sul carattere meramente descrittivo ovvero pleonastico del riferimento, contenuto ne la norma incriminatrice del delitto di ragion fattasi, alla necessità che, nel delitto di rag fattasi, il soggetto che vanti la pretesa si faccia ragione da sé medesimo).
Sulla base di questa premessa, pertanto, le Sezioni Unite hanno affrontato e risolto il problema della qualificazione del concorso del terzo nel reato “proprio” di ragion fattasi, sostenendo che esso è certamente configurabile con la precisazione secondo cui tale ipotesi va riferita ai soli casi il terzo, si limiti ad of un contributo alla pretesa del titolare del diritto, senza perseguire alcuna diversa, soggettiva ed ulteriore finalità (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Rv. 280027 03).
Nel caso di specie, dunque, dalla stessa ricostruzione operata nel provvedimento impugnato risulta in termini assolutamente chiari che il COGNOME si era attivato nei confronti del COGNOME per esigere il credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE senza perseguire un interesse proprio “ulteriore” e diverso da quello di consentire alla società di rientrare nella disponibilità di quella somma.
Non è poi priva di qualche fondatezza, d’altro canto, la considerazione difensiva con cui è stata evidenziata la contraddittorietà tra la affermazione della carenza di legittimazione a ripetere il credito da parte dell’odierno ricorrente, i quanto formalmente estraneo alla società, rispetto alla contestale imputazione di averne fittiziamente intestato la titolarità in capo a NOME e NOME COGNOME considerati meri prestanome.
Proprio questa impostazione della pubblica accusa impedirebbe persino di qualificare l’odierno indagato come vero e proprio “terzo”, ovvero come soggetto intervenuto con il solo intento di coadiuvare il titolare del diritto nel perseguir sia pure con modalità non consentite, il diritto di quest’ultimo.
Per altro verso, sono state ancora una volta le citate Sezioni Unite “COGNOME” a chiarire che la qualificazione della condotta in termini di estorsione non può essere la diretta ed ineluttabile conseguenza del fatto che essa sia stata caratterizzata dall’uso del metodo mafioso, come contestato nel caso di specie (cfr., dalla motivazione delle SS.UU.: “un orientamento ha ritenuto che integra sempre gli estremi dell’estorsione aggravata dal c.d. metodo mafioso … e non dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone ugualmente aggravato, la condotta consistente in minacce di morte o gravi lesioni personali formulate dal presunto creditore e da un terzo estraneo al rapporto obbligatorio in danno della persona offesa, estrinsecatesi nell’evocazione dell’appartenenza di entrambi ad una organizzazione malavitosa di tipo mafioso, per l’estrema incisività della forza intimidatoria esercitata, costituente indice de fine di procurarsi un profitto ingiusto, esorbitante rispetto al fine di recupero somme di denaro sulla base di un preteso diritto”; “l’orientamento non può essere condiviso, poiché la formulazione dell’art. 416-bis.1 cod. pen. non consente di affermare che la circostanza aggravante in oggetto sia assolutamente incompatibile con il reato di cui all’art. 392 cod. pen.; residua al più la possibilità di valorizzare l’impiego del c.d. metodo mafioso, unitamente ad altri elementi, quale elemento sintomatico del dolo di estorsione”).
E’ vero, inoltre, che è configurabile il delitto di estorsione – e non già quell di ragion fattasi – laddove la pretesa sia stata esercitata con violenza e/o minaccia in danno di un terzo assolutamente estraneo al rapporto obbligatorio esistente tra le parti in quanto, come ancora una volta chiarito dalle SS.UU., “… essa non sarebbe tutelabile dinanzi all’Autorità giudiziaria, risultando in concreto diretta procurarsi un profitto ingiusto, consistente nell’ottenere il pagamento del debito da un soggetto estraneo al sottostante rapporto contrattuale”. E, tuttavia, come emerge dalla lettura del provvedimento impugnato, nel caso di specie, non risultano condotte violente e/o minatorie del COGNOME in danno, ad esempio, della madre o del fratello del COGNOME, essendosi l’indagato rivolto a costoro non già quali diretti destinatari delle minacce ma perché le riportassero a quello quale unico e finale destinatario della pretesa.
L’indubbia erroneità della decisione in punto di qualificazione della condotta descritta nel capo 1) della provvisoria incolpazione, comporta l’annullamento dell’ordinanza con rinvio al Tribunale che, alla luce del corretto inquadramento
giuridico della vicenda descritta al capo 1) della rubrica, dovrà riconsiderare complessivamente la gravità e la consistenza delle ravvisate esigenze cautelari che avevano portato all’adozione – anche alla luce della aggravante contestata anche sui capi 2) e 3) della provvisoria incolpazione – della più grave delle misure personali.
Nell’occasione, peraltro, i giudici del riesame dovranno, ancora, ripercorrere e riesaminare criticamente i rilievi difensivi articolati sulla congru della motivazione in ordine a plurimi aspetti fattuali della vicenda: a partir dall’evidenziata contraddizione tra le dichiarazioni rese dal COGNOME in data 24/11/2024 ed il tenore della conversazione con il COGNOME registrata in data 26/11/2024, non avendo il Tribunale (cfr., pagg. 7-8 dell’ordinanza) fornito una spiegazione esaustiva circa l’atteggiamento della persona offesa che, proprio per il fatto di essere l’autore della registrazione, avrebbe semmai dovuto mostrarsi anche più intimorito di quanto realmente fosse; sostanzialmente apodittica, inoltre, risulta la motivazione relativa alla pure evidenziata contraddizione tra l diverse versioni fornite dal COGNOME in merito alla cessione della vettura in garanzia, spiegata con la presunta “stratificazione” delle dichiarazioni delle vittime di reati di mafia (cfr., ivi, pag. 9); altrettanto inappagante e, conseguentemente, oggetto di nuova valutazione, appare, inoltre, l’argomentazione con cui il Tribunale ha cercato di risolvere l’apparente contrasto tra l’atteggiamento tenuto da NOME COGNOMEintento a mangiare ed a guardare la tv) con le minacce che, proprio in quel momento, il COGNOME avrebbe indirizzato al COGNOME tramite la madre, sostenendo che “… in sede cautelare non è necessaria la concordanza delle dichiarazioni” (cfr., pag. 12 dell’ordinanza) e che il COGNOME, proprio in quanto consapevole della caratura criminale del ricorrente, non intendeva essere coinvolto nella vicenda; i giudici del riesame hanno, altresì, sostanzialmente omesso di affrontare il rilievo difensivo quanto al diverso significato attribuito dalla Girolamo e dal Guida al gesto del COGNOME di passarsi la mano sulla gola affermando che “… saranno le fasi successive del processo a consentire una piena cognizione dell’effettivo significato dei gesti che NOME COGNOME ha ripetutamente mimato mentre parlava con NOME COGNOME” (cfr., ancora, pag. 12); congetturale risulta poi la spiegazione fornita dal Tribunale quanto al tenore della conversazione del 25/11/2024 avendo i giudici bolognesi meramente ipotizzato un sentimento di gelosia tra i due fratelli e, in particolare, di NOME nei confronti di NOME (cfr. pag. 13); altrettanto congetturale appare, infine, la motivazione concernente la riflessione della difesa (che pure ha stimato “giusta”) quanto alla mancanza di un effettivo atteggiamento minaccioso da parte del COGNOME nei confronti del COGNOME assumendo, in maniera del tutto ipotetica e sganciata da ogni riferimento fattuale, che il ricorrente potesse avere immaginato che il suo interlocutore stesse Corte di Cassazione – copia non ufficiale
registrando le loro conversazioni ovvero che fosse più “sicuro” – e, nel contempo, efficace – minacciare la madre per fare pressioni sul figlio (cfr., ivi, pag. 14).
Si tratta, per quanto riguarda questi aspetti, di profili di criticità de
motivazione che andranno affrontati e risolti in termini e con motivazione appagante ed agganciata ad elementi fattuali oggettivi piuttosto che a mere
congetture e soggettive considerazioni.
P.Q.M.
annulla l’ordinanza impugnata in relazione alla qualificazione giuridica del capo 1) e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Bologna.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 06/05/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente