Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 15955 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 15955 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti nell’interesse di COGNOME NOMECOGNOME nato in Albania il 19/04/1981 COGNOME NOMECOGNOME nato in Albania il 10/03/1953
avverso la sentenza del 20/11/2023 della Corte di appello di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Catanzaro, per quanto qui rileva, ha confermato la pronuncia di condanna emessa in data 10 febbraio 2019 dal Tribunale di Castrovillari nei confronti di NOME COGNOME ed NOME COGNOME in relazione ai reati di cui agli artt. 56-110-629 e 110-582 cod. pen. (capi 9-10).
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione entrambi i suddetti imputati, a mezzo del proprio comune difensore, con due atti di impugnazione distinti ma dal contenuto testualmente sovrapponibile, formulando i motivi di censura di seguito sinteticamente esposti.
2.1. Con il primo motivo di ambedue i ricorsi, si deduce violazione dell’art. 629 cod. pen. e correlati vizi di motivazione, in relazione al capo 9.
La vicenda oggetto di contestazione sarebbe stata erroneamente sussunta nella fattispecie di estorsione tentata, laddove, al contrario, i fatti avrebber dovuto essere qualificati ai sensi dell’art. 610 cod. pen. (poiché la richiesta di riassunzione non sarebbe tale da cagionare un danno ingiusto al datore di lavoro) ovvero dell’art. 393 cod. pen. (avuto riguardo alla chiara finalità di protestare contro le mancate retribuzioni, invocando altresì una nuova rituale assunzione). I giudici di appello, inoltre, non avrebbero offerto risposta alle censure articolate nell’atto di gravame in merito all’effettivo apporto causale ipoteticamente fornito dai ricorrenti rispetto all’aggressione ai danni di NOME COGNOME
2.2. Con il secondo motivo di ambedue i ricorsi, si deduce violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e correlati vizi di motivazione, in relazione al capo 10. La sentenza impugnata avrebbe valorizzato soltanto il tentativo del teste COGNOME di edulcorare le condotte dei COGNOME e degli altri concorrenti e la contraddittoriet delle dichiarazioni della teste COGNOME rispetto a quanto riferito durante le indagini, trascurando che NOME COGNOME avrebbe malmenato uno dei lavoratori e che in ogni caso Et’hem e NOME COGNOME non si sarebbero uniti alla zuffa.
Si è proceduto con trattazione cartolare, ai sensi dell’art. 611, comma 1, cod. proc. pen., previa fissazione dell’udienza camerale, ritualmente comunicata al difensore (espressamente ivi indicato quale destinatario per le parti associate NOME COGNOME e NOME COGNOME per via telematica alle 14:02 del 12 febbraio 2025.
I ricorsi sono inammissibili.
4.1. L’invocata derubricazione come ragion fattasi riposa su una ricostruzione del fatto alternativa rispetto a quella fatta propria dai giudici di merito e dunque non consentita nel giudizio di cassazione (cfr. sentenza di appello, pp. 18-20, ove si sottolinea come «l’intimidazione non fosse in alcun modo giustificata da comportamenti irregolari nella gestione del rapporto di lavoro»; sentenza di primo grado, pp. 14-15: «La compiuta istruttoria non ha fornito prova alcuna del diritto asseritamente sotteso alle condotte poste in essere e l’affermazione in chiave difensiva (circa la necessità di considerare quelle stesse condotte quali vere e proprie ‘proteste’ finalizzate a ottenere migliori condizioni di lavoro ed una retribuzione dignitosa e puntualmente corrisposta) è rimasta una labiale affermazione, inidonea a superare il dato certo della reiterata violenza, carente di consistenza argomentativa e logica necessaria per riconoscere alla circostanza valenza probatoria. Insomma, l’ipotetico esercizio del diritto di protestare è rimasto privo di qualsiasi dimostrazione e, dunque, adesso non può attribuirsi efficacia ‘scriminante’»).
Ciò premesso, neppure appare in termini la giurisprudenza richiamata dal ricorrente a sostegno della riconducibilità del fatto al delitto di violenza privata
dal momento che, per come chiarito in entrambe le sentenze di merito, l’obiettivo era quello di imporre all’impresa COGNOME scelte in materia di gestione del personale
che l’ordinamento riserva alla sfera datoriale (sentenza di appello, pp. 18-19;
sentenza di primo grado, pp. 2-5, 13-15, ove si chiarisce che non di “riassunzione”
si controverteva, ma soltanto del ritiro del provvedimento, avente anche contenuto disciplinare e finalità di tutela della sicurezza sul lavoro, che aveva imposto a
NOME COGNOME di non presentarsi in azienda, essendo stato assente nei giorni precedenti per abuso di sostanze alcoliche o stupefacenti). Così adeguatamente
contestualizzata la vicenda, emergono nitidamente i profili di danno (lesione dell’autonomia imprenditoriale del datore di lavoro e obbligo di corrispondere una
retribuzione per una prestazione lavorativa non richiesta).
4.2. Le doglianze in tema di contributo dei due ricorrenti alla tentata estorsione in concorso e alle lesioni possono essere opportunamente trattate con
esame congiunto, posto che le seconde costituiscono la violenza con cui – unitamente alle ulteriori condotte di minaccia, di sequestro di persona e di boicottaggio – è stata posta in essere l’intimidazione della persona offesa.
Le censure dei ricorrenti non si confrontano con l’ampio e solido apparato argomentativo dei giudici catanzaresi, risultando così insuperabilmente generici. Lungi dal fondare l’affermazione di responsabilità per i due delitti sulle deposizioni di NOME e COGNOME, la doppia conforme pronuncia di condanna prende le mosse dal racconto di NOME COGNOME adeguatamente vagliato nella sua attendibilità, e nella conforme narrazione di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali tutti attestano la coralità dell’aggressione da parte dei sei imputati mentre gli unici loro connazionali a restare in disparte furono COGNOME e COGNOME. Resta poi ininfluente rispetto al successivo pestaggio, strumentale al conseguimento dell’ingiusto profitto perseguito, il diverbio iniziale tra COGNOME e COGNOME.
5. I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con condanna dei ricorrenti, per legge, al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, da liquidarsi equitativamente come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 4 aprile 2025.