Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 24519 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 24519 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/06/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da NOME nato a Siderno il 28/7/1978 avverso la sentenza resa 1’11/3/2025 dalla Corte di appello di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale lette le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza resa dal Tribunale di Locri il 7 dicembre 2020, che ha affermato la responsabilità del COGNOME per i reati di tentata truffa e sostituzione di persona.
Si addebita all’imputato di avere posto in essere atti diretti in modo non equivoco a procurarsi la proprietà di un motocoltivatore, presentandosi con false generalità e impegnandosi a pagare il corrispettivo dopo averlo visionato.
Avverso detta pronunzia ha proposto ricorso l’imputato tramite il suo difensore di fiducia deducendo quanto segue.
2.1. Violazione degli artt. 56, 640 e 494 cod. pen. e vizio di motivazione in quanto la Corte non ha adeguatamente motivato in merito all’idoneità degli atti posti in essere dal ricorrente a realizzare la truffa e cioè ad indurre la persona offesa a porre in essere un atto dispositivo (primo motivo). Osserva il ricorrente che la persona offesa aveva formulato un’offerta al pubblico e pertanto si era obbligata a vendere il veicolo al prezzo indicato, con la conseguenza che il suo consenso alla vendita non avrebbe potuto essere condizionato da eventuali artifizi e raggiri. Nel momento in cui COGNOME ha accettato la proposta, il contratto si è perfezionato e l’eventuale artifizio non ha in alcun modo condizionato e manipolato la volontà della persona offesa. La circostanza che l’imputato non avesse l’intenzione di adempiere alla propria obbligazione non ha inciso sulla formazione della volontà negoziale e, non risultando funzionale alla realizzazione dell’atto dispositivo da parte della persona offesa, risulta penalmente irrilevante e comporta un mero inadempimento civile.
2.2. Violazione dell’art. 191 cod. proc. pen. in relazione al contenuto dei tabulati telefonici che risultano inutilizzabili (secondo motivo). La Corte territoriale, p riconoscendo la nullità del decreto autorizzativo per l’assenza di motivazione, riteneva comunque utilizzabili i tabulati.
2.3. Violazione dell’art. 133 cod. pen. in quanto il motivo di censura formulato in ordine alla determinazione della pena con l’appello non ha costituito oggetto di effettiva valutazione e il giudice di secondo grado ha omesso di indicare le ragioni per le quali ha ritenuto che il percorso logico giuridico seguito dal primo giudice per la quantificazione della pena sarebbe coerente, razionale e congruente (terzo motivo).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché propone motivi non consentiti e manifestamente infondati.
1.1. La prima censura è manifestamente infondata poiché nel caso in esame non ricorre alcuna ipotesi di offerta al pubblico vincolante, ma una mera proposta di vendita on line, che si perfeziona solo in seguito alle trattative telefoniche intercorse anche sul prezzo, indicato dal venditore come trattabile; lo stesso COGNOME aveva subordinato il pagamento del prezzo all’esame de visu del veicolo e in questo modo induceva il venditore a spedirgli il motocoltivatore tramite corriere, adottando false generalità.
Dalla ricostruzione della vicenda riportata in sentenza emerge che la vendita si era perfezionata in seguito a contatti telefonici e pertanto l’artifizio e il raggiro posto essere dall’imputato, che aveva indotto la persona offesa a consegnargli il veicolo prima di ricevere il pagamento del bonifico, utilizzando l’identità di un soggetto ignaro, risultava funzionale alla truffa e integrava il raggiro diretto a consentirgli di entrare
possesso dell’attrezzo sottraendosi al pagamento del corrispettivo, e non integra un mero inadempimento contrattuale. L’imputato si è avvantaggiato della distanza rispetto al venditore per potersi sostituire alla persona del COGNOME e realizzare la truffa in dann della persona offesa che, convinto di avere trattato con tale COGNOME, non avrebbe ricevuto il corrispettivo e avrebbe denunziato costui e non il vero responsabile della frode.
1.2. Il secondo motivo è generico perché non si confronta con la motivazione della sentenza, che ha riconosciuto l’utilizzabilità dei tabulati in ragione del decreto autorizzativo, seppure succintamente motivato (v. pag. 8); il ricorso inoltre non effettua la prescritta prova di resistenza, omettendo di esporre la refluenza che l’eventuale inutilizzabilità dei tabulati acquisiti potrebbe avere sul giudizio di colpevolezza.
Nel caso in esame, la responsabilità dell’imputato è stata argomentata dalla sentenza impugnata non in base ai dati esteriori del traffico telefonico, ma a numerosi altri elementi indizianti, dotati di autonoma forza probatoria e che avrebbero potuto condurre “ex se” all’affermazione di responsabilità.
La seconda censura è anche priva di concreto interesse ai fini dell’affermazione di responsabilità, poiché la sentenza di primo grado non fa uso dei tabulati telefonici come elemento necessario a sostegno della colpevolezza dell’imputato, che si desume in maniera evidente dalla circostanza che questi si sia presentato in occasione della consegna del veicolo venduto dalla persona offesa e sia stato infatti tratto in arresto nella flagranza del reato. La circostanza che sia stato lui ad utilizzare l’identità d presunto compratore risulta dall’utilizzo della Sim rinvenuta in suo possesso e dal tenore dei messaggi Whatsapp pervenuti sull’utenza della persona offesa e del corriere e non dal contenuto dei tabulati.
1.3. La terza censura è manifestamente infondata.
La pena complessiva per i due reati addebitati all’imputato e unificati per continuazione è stata determinata dal Tribunale in sei mesi di reclusione e 100 euro di multa, e quindi in misura inferiore al minimo di legge considerato che per la sola truffa la pena edittale è di sei mesi di reclusione e 50 euro di multa, che non sono state riconosciute le circostanze attenuanti generiche e che l’imputato è gravato da numerosi precedenti che hanno comportato la contestazione della recidiva reiterata.
Per le ragioni sin qui esposte si impone la dichiarazione di inammissibilità del ricorso con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento di un’ammenda, che si ritiene congruo liquidare in euro 3000 in ragione del grado di colpa nella presentazione della impugnazione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Roma 3 giugno 2025
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Il Consigliere estensore
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NOME COGNOME
Il Presidente
NOME COGNOME