Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 21871 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 21871 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 20/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a PALERMO il 11/06/1970 avverso la sentenza del 13/09/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO in cui è PARTE CIVILE NOME COGNOME nata il 29/08/1960 a Palermo visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la memoria inviata dal Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza limitatamente agli effetti civ con rinvio alla Corte d’appello di Palermo; di consiglio senza la presenza delle parti, in mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini, secondo quanto dispo ricorso trattato in camera dagli articoli 610 co. 5 e 611 co. 1 bis e ss. c.p.p.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnato provvedimento, la Corte d’appello di Palermo, in parzial riforma della sentenza del Tribunale di Palermo del 26 settembre 2022, appella da NOME COGNOME ha condannato NOME COGNOME al pagamento nei confronti della predetta parte civile di un importo, a titolo di risarcimento dei danni a seguito della truffa posta in essere dall’imputato nei confronti della p offesa.
Secondo la prospettazione rappresentata nel capo di imputazione, NOME COGNOME dopo aver instaurato una relazione amicale con NOME COGNOME approfittando di un momento di fragilità psichica di quest’ultima, con artifici e raggiri ed in particolare rappresentandole la possibilità di investire somme di denaro in una società finanziaria, induceva la persona offesa ad effettuare versamenti di danaro a proprio favore e profitto, con corrispondente definitiva perdita dell’importo complessivo di C 50.000,00.
Presentando ricorso per cassazione, la difesa di NOME COGNOME deduce:
vizio di motivazione (art. 606 lett. e, cod. proc. pen.), per carenza della stessa, alla luce del fatto che, pur a fronte di un overturning di condanna, la Corte di appello nulla ha motivato in relazione al nesso eziologico tra la prospettazione della vita in comune e la necessità di effettuare l’investimento, limitandosi a formulare una mera ricostruzione antagonista ed astrattamente ipotizzabile in rerum natura, senza tuttavia chiarire quali fossero le ragioni fondanti della diversa decisione assunta;
violazione di legge (art. 606 lett. b, cod. proc. pen.) in relazione al reato truffa, nella duplice declinazione di elemento oggettivo e soggettivo.
In particolare, non è emersa dall’istruttoria procedimentale la prova dell’avvenuta coartazione psicologica della vittima ad opera dell’imputato, né si è raggiunta la prova, oltre ogni ragionevole dubbio, dello stringente nesso di causalità tra gli asseriti artifici e la prestazione compiuta dalla donna.
La Difesa della parte civile ha inviato una memoria di replica alla memoria del Sostituto Procuratore generale, chiedendo il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi addotti.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
Pur partendo da una corretta premessa concettuale (quella per cui, in caso di overturning di condanna, anche ai soli effetti civili, il giudice d’appello debba fornire una motivazione ‘rafforzata’), esso non considera che nel caso concreto la sentenza di primo e di secondo grado condividono sostanzialmente, come si legge nell’esordio della seconda motivazione, la ricostruzione dei fatti.
Ed in effetti, le due sentenze iniziano a divergere solo quando si affronta il tema della applicazione (contestata dalla sentenza d’appello) del principio
affermato dal primo giudice, secondo cui la mera menzogna sui propri sentimenti non potrebbe essere qualificata quale raggiro idoneo ad integrare il reato di truffa.
Nel procedere in tal senso, la Corte palermitana evoca correttamente i principi che definiscono la materia e che possono essere in questa sede richiamati aggiungendo al precedente citato in motivazione (Sez. 2, n. 25165 del 11/04/2019, COGNOME, Rv. 276656 – 01) ulteriori arresti di un orientamento consolidato (cfr., ex multis, Sez. F, n. 42719 del 02/09/2010, COGNOME, Rv. 248662 – 01) che parte dalla premessa, opposta all’assunto posto a base della assoluzione, che anche la mera menzogna possa integrare l’elemento decettivo della truffa, costituendo essa, anzi, una tipica, paradigmatica per quanto elementare, forma di raggiro.
La Corte poi evidenzia (pg. 3) la fallacia concettuale dell’argomento utilizzato dal primo giudice per confutare l’ipotesi truffaldina, essendosi sostenuto che la donna avrebbe potuto procedere autonomamente ad effettuare l’investimento, ed avrebbe potuto altresì verificare la destinazione degli investimenti effettuati dal COGNOME per suo conto nella società finanziaria. Correttamente la Corte sul punto ribadisce, con opportuno richiamo giurisprudenziale, che è errata la valutazione in astratto dei mezzi truffaldini utilizzati, quando essi in concreto si siano rivel idonei a trarre in inganno la vittima della truffa.
In conclusione, il ragionamento esposto in motivazione sulla responsabilità dell’imputato è consistito in una rilettura di dati incontroversi e non contestati nell loro materialità, sì che la formulazione di una nuova prospettiva di lettura degli stessi appare idonea ed adeguata al superamento del ragionevole dubbio espresso dal primo giudice.
3. Il secondo motivo non è consentito in questa sede.
Seppure formulato nel prisma della violazione di legge (nella rubrica del motivo si indica l’art. 606, comma 1, lett. b, cod. proc. pen.), esso mira alla contestazione della ricostruzione del fatto effettuata dal giudice d’appello, che ha portato alla affermazione di responsabilità del COGNOME.
Si contestano carenze valutative ed erronea valorizzazione di elementi il cui peso probatorio sarebbe, invece, tutto da dimostrare.
Occorre tuttavia ricordare uno dei principi cardine del sistema processuale italiano, tanto in materia civile che penale, secondo il quale esula dai poteri della Corte di Cassazione, l’esame delle critiche al giudizio di fatto operato dai giudici di merito, salvo che l’esercizio del relativo potere discrezionale risulti in un motivazione che presenti profili di assenza, contraddittorietà o manifesta illogicità (art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.). Altrimenti, inevitabilmente, i
ragionamento sulla motivazione è destinato a ridursi, proprio come accade nel caso di specie, nella formulazione di ipotesi alternative o nella proposizione di
chiavi di lettura dei fatti che, per quanto teoricamente logiche, non hanno tuttavia
la valenza di ‘sradicare’ il ragionamento motivazionale adottato dalla Corte.
Nella motivazione, la Corte ha adeguatamente spiegato le ragioni che conducono alla responsabilità dell’imputato, determinando la condanna solo agli
effetti civili. È stato evidenziato che il comportamento del COGNOME, dall’iniziale, occasionale conoscenza, è poi passato all’interessamento nei confronti della
donna, persona offesa e poi parte civile, con frequentazioni ed intimità sempre più
assidue e con un atteggiamento improntato alla prospettazione di un percorso di vita in comune. A ciò ha fatto seguito l’intestazione, a suo nome e con la promessa
di una sicura redditività, di importi assai rilevanti (un assegno per C 22.500,00 ed un bonifico per un importo ancora superiore su un conto aperto a proprio nome e
favore), e quindi la irreperibilità personale e la pratica irrecuperabilità dei fon erogati dalla donna con
la specifica destinazione di investimento.
La motivazione così formulata risulta immune da manifeste illogicità, nemmeno enucleate chiaramente nel ricorso, sì da meritare integrale conferma.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata. Consegue altresì la condanna alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che ha presentato nota spese, liquidate nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME NOME che liquida in complessivi C 3.686,00 oltre accessori di legge.