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Raccolta scommesse illegale: onere della prova

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un operatore condannato per raccolta scommesse illegale per conto di una società estera. La Corte ha stabilito che spetta all’imputato l’onere di provare la presunta natura discriminatoria della normativa nazionale rispetto al diritto UE, che avrebbe impedito alla società estera di ottenere la concessione. In assenza di tale prova, la condanna è legittima.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Raccolta scommesse illegale: l’onere di provare la discriminazione spetta all’imputato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1039/2025, è intervenuta nuovamente sul tema della raccolta scommesse illegale per conto di operatori esteri privi di concessione italiana. La pronuncia chiarisce un punto fondamentale: spetta all’imputato, e non all’accusa, l’onere di dimostrare che la mancata partecipazione dell’operatore estero ai bandi di gara sia stata causata da clausole discriminatorie o anti-economiche. In assenza di tale prova, la condotta resta penalmente rilevante.

I fatti del caso

Il caso riguarda un soggetto condannato in primo e secondo grado per aver svolto un’attività organizzata di intermediazione e raccolta di scommesse per conto di una nota società estera con sede a Malta, senza essere in possesso della necessaria autorizzazione prevista dall’art. 88 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS). La Corte d’Appello aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado, dichiarando prescritte alcune contravvenzioni e rideterminando la pena in un anno e due mesi di reclusione.

L’imputato ha proposto ricorso per Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. La violazione del diritto dell’Unione Europea, in particolare degli articoli 49 e 56 del TFUE, sostenendo che la normativa italiana sulle concessioni fosse discriminatoria nei confronti degli operatori stranieri.
2. L’assenza dell’elemento psicologico del reato, avendo agito nella convinzione della liceità della sua condotta, data l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali favorevoli.
3. Il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.

La questione giuridica: raccolta scommesse illegale e diritto UE

Il fulcro del ricorso si basava sulla tesi, già esplorata in passato dalla giurisprudenza nazionale ed europea (sentenze Placanica, Costa e Cifone, Laezza), secondo cui il sistema concessorio italiano avrebbe creato ostacoli ingiustificati alla libertà di stabilimento e di prestazione di servizi. In particolare, il ricorrente sosteneva che la mancata partecipazione della società estera al bando di gara fosse giustificata dalla natura anti-economica di alcune clausole, come quella che imponeva la cessione gratuita allo Stato dei beni strumentali alla scadenza della concessione.

Secondo la difesa, questa presunta discriminazione avrebbe dovuto comportare la disapplicazione della norma penale incriminatrice. La questione chiave sottoposta alla Corte era, quindi, stabilire su chi gravasse l’onere di provare la natura discriminatoria di tali clausole.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le argomentazioni della difesa con motivazioni chiare e consolidate.

Sull’onere della prova della discriminazione

Il primo motivo è stato ritenuto infondato. La Corte ha ribadito il suo orientamento consolidato: l’onere probatorio in capo all’accusa si esaurisce nella dimostrazione della condotta materiale (la raccolta delle scommesse) e dell’assenza del titolo autorizzativo. Spetta invece alla difesa, che invoca la discriminazione come causa di giustificazione, dimostrare che l’assenza della concessione è dovuta a un’illegittima esclusione dell’operatore straniero dai bandi di gara.

Nel caso specifico, il ricorrente non ha fornito alcun elemento concreto per provare l’effettiva anti-economicità delle clausole del bando. Citare precedenti giurisprudenziali non è sufficiente; è necessaria una dimostrazione specifica e fattuale che la partecipazione al bando fosse insostenibile. Mancando tale prova, il motivo di ricorso è risultato privo di fondamento.

Sull’elemento psicologico del reato

Anche il secondo motivo è stato rigettato. La Corte ha sottolineato che chi svolge professionalmente una determinata attività ha un dovere di informazione particolarmente rigoroso sulla legislazione vigente. L’esistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti non può fondare un’ignoranza scusabile della legge. Al contrario, proprio l’incertezza del quadro normativo avrebbe dovuto indurre l’agente a un comportamento prudente e, quindi, all’astensione dall’attività illecita.

Sulla richiesta delle attenuanti generiche

Infine, la Corte ha dichiarato inammissibile anche il terzo motivo. La richiesta di riduzione della pena e di concessione delle attenuanti generiche era stata formulata in appello in modo generico, senza argomenti a supporto. La Cassazione ha ricordato che il mancato esercizio del potere del giudice d’appello di concedere le attenuanti ex officio non è sindacabile in sede di legittimità, soprattutto in assenza di una specifica e motivata richiesta nei motivi d’appello.

Le conclusioni

La sentenza consolida un principio cruciale in materia di raccolta scommesse illegale: la scriminante basata sulla violazione del diritto dell’Unione Europea non opera automaticamente. L’imputato che intende avvalersene deve assumersi l’onere di provare, in concreto, gli elementi costitutivi della discriminazione. Questa pronuncia ribadisce la necessità di una difesa tecnica e argomentata, che non può limitarsi a un generico richiamo a principi generali, ma deve fornire elementi fattuali specifici a sostegno delle proprie tesi.

Chi deve provare la natura discriminatoria di un bando di gara per le concessioni di scommesse secondo la legge italiana?
Secondo la sentenza, l’onere di provare che le clausole di un bando di gara sono discriminatorie o anti-economiche, e che quindi hanno giustificato la mancata partecipazione di un operatore estero, spetta alla difesa dell’imputato e non all’accusa.

L’esistenza di sentenze diverse e contrastanti sulla legalità di una certa attività può giustificare chi la compie?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che, specialmente per chi opera professionalmente in un settore, l’esistenza di un dibattito giurisprudenziale non scusa l’ignoranza della legge. Anzi, l’incertezza dovrebbe indurre a una maggiore prudenza e all’astensione dall’attività potenzialmente illecita.

È possibile contestare in Cassazione il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche?
È possibile solo se la richiesta era stata specificamente formulata e motivata nei motivi di appello. Se la richiesta in appello era generica o assente, il mancato riconoscimento delle attenuanti da parte del giudice d’appello non è censurabile in sede di Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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