Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 1039 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 1039 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a NAPOLI il 07/08/1979
avverso la sentenza del 26/03/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso e dell’avv.to NOME COGNOME difensore di NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 26/3/2024 la Corte d’appello di Napoli, in parziale , riforma della sentenza del Tribunale di Napoli Nord, che aveva ritenuto COGNOME responsabile dei reati di cui agli artt. 718, 719 cod. pen. e 4 comma 4 bis I. 410/1989, per aver, in assenza della concessione di cui all’art. 88 Tulps, svolto “un’attività organizzata di brokeraggio provvedendo ‘alla raccolta di denaro, all’accreditamento delle relative vincite/perdite ed alla liquidazione delle stesse in denaro per conto della società estera RAGIONE_SOCIALE con sede legale in Malta, con l’aggravante della sorpresa in una casa da gioco”, e l’aveva condannato alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione, ha dichiarato prescritte le contravvenzioni rideterminando la pena in anni uno e mesi due di reclusione.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato, a mezzo del difensore, che, con il primo motivo, denunzia la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine “agli artt. 49 e 56 TFUE, come interpretati dalla Corte di giustizia nelle sentenze Placanica (…), Costa Cifone (…) e Laezza (…) con riferimento agli artt. 530, 546 e 606 cod. proc. pen.”. Si assume che la Corte di Giustizia dell’Unione europea con più pronunciamenti, relativi proprio alla Stanleybet, aveva riconosciuto “l’incompatibilità tra il diritto europeo e, nello specifico, le libertà di stabilimento e di prestazioni di servizi riconosciute dai trattati, e la vigente disciplina italiana in materia di scommesse ( CGCE, Grande Sezione, 6/3/2007, COGNOME et al.; CGUE, 4 Sez., sent. COGNOME e COGNOME, 16/2/2012)” e tali pronunce erano state recepite dalla giurisprudenza nazionale che “aveva quindi creato in via giurisprudenziale una sorta di sanatoria per cui la posizione di Stanleybet si poneva quale eccezione alla regola… per cui, accanto agli operatori nazionali dotati di concessione e di autorizzazione, opererebbero in base alla libertà di stabilimento garantita dall’art. 49 Trattato sul funzionamento dell’unione – TFUE anche i soggetti i quali, autorizzati alla raccolta delle scommesse in base alle norme di altro stato dell’Unione, eserciterebbero dall’attività in Italia senza concessione o autorizzazione alcuna”. Tali principi, secondo il ricorrente, avrebbero imposto la disapplicazione della normativa interna non potendo gravare sull’imputato l’onere di provare che la decisione di Stanleybet di non partecipare al bando rispondeva a ragioni discriminatorie, non potendo addossarsi a COGNOME di provare scelte gestionali imputabili a RAGIONE_SOCIALE. In ogni caso, si assume, che già la CGUE ( nella causa Laezza del 28/1/2016) e la Corte di cassazione ( Sez. 3, n. 45488 ud. Del 15/9/2016) avevano riconosciuto che la legge 220/2010, all’art. 1 comma 78 lett. b) punto 26, conteneva previsioni discriminatorie rispetto ai principi posti dagli artt. 49 e 56 TFUE: “ciò nella parte in cui imponeva al concessionario, alla scadenza della concessione, l’obbligo di cedere a titolo non oneroso all’AAMS e a richiesta di quest’ultima i beni strumentali, materiali e immateriali, impiegati per la raccolta delle scommesse”. I pronunciamenti richiamati, quindi, rendevano ormai giudizialmente accertato che il mancato ottenimento della concessione da parte di Stanleybet era da imputare alla “previsione discriminatoria del legislatore nazionale” e, in ogni caso, come riconosciuto da Corte di cassazione (n. 3975 del 19/10/2021), l’onere dell’antieconomicità della partecipazione al bando per Stanleybet andava addossato alla pubblica accusa. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Con il secondo motivo, si denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione “in ordine alla prova del fatto e all’insussistenza dell’elemento psicologico del reato contestato”. Si assume che all’epoca dei fatti era pacifico l’orientamento giurisprudenziale che riteneva lecita la condotta incriminata per
cui legittimamente l’imputato aveva confidato nella irrilevanza penale dell’attività imprenditoriale intrapresa.
Con il terzo motivo, si denuncia la violazione di legge e il deficit motivazionale in relazione all’omesso riconoscimento delle attenuanti generiche e alla misura della pena irrogata. Si deduce che il trattamento sanzionatorio era stato giustificato dalla Corte territoriale richiamando le “circostanze e le modalità dell’azione” e la personalità dell’imputato “gravato già da precedenti penali”. Assume la difesa che le circostanze dell’azione erano consistite nella “gestione di un negozio” e che non vi era riscontro in ordine ai precedenti penali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile risultando le censure in cui si articola manifestamente infondate o non proponibili in sede di legittimità.
La ricostruzione dei fatti cui è pervenuto il Tribunale, richiamata dalla Corte territoriale, non stata contestata dal ricorrente per cui può ritenersi accertato che:
la richiesta d’autorizzazione ex art. 88 TULP a firma dell’imputato riportava la stessa data del sequestro (31/7/2017);
Dello COGNOME non si era limitato alla mera elaborazione dei dati ma aveva posto in essere la condotta di cui all’art. 4, comma 4 bis, L. 401/1989 attraverso un’attività di intermediazione e raccolta diretta delle scommesse.
La Corte territoriale, quindi, dopo aver ricostruito la disciplina di riferimento, perviene alla conclusione, non contestata dalla difesa, secondo cui non integra il delitto contestato la raccolta di scommesse, in assenza di licenza,, da parte di un soggetto che opera in Italia per conto dell’operatore straniero, cui la concessione sia stata negata per illegittima esclusione dai bandi di gara e/o mancata partecipazione (c.d. discriminazione indiretta) a causa della non conformità, nell’interpretazione della Corte di Giustizia, del regime concessorio interno con gli articoli 43 e 49 del trattato CE. Tale principio trova ampio riconoscimento nel panorama giurisprudenziale di legittimità (Sez. 3, n. 14991 del 25/03/2015, Arcieri, Rv 263115; Sez. 3, n. 12335 del 7/0172014, COGNOME, Rv 259293; Sez. 3, n. 37851 del 04/06/2014, COGNOME, Rv 260944; Sez. 3, n. 28413 del 10/07/2012, COGNOME, Rv 253241).
A questo passaggio della motivazione si lega il primo motivo di ricorso che , assume che la sentenza Laezza della CGUE avrebbe riconosciuto la natura discriminatoria della gara indetta con il d.l. n. 16 del 2012 (cd. Bando Monti) per effetto della contrarietà della clausola n. 25 dello schema della convenzione, prevista dall’art. 1, comma 78, lett. b) punto 26, della legge di stabilità 2011,
agli artt. 49 e 56 del TFUE in quanto impositiva al concessionario dell’obbligo cedere a titolo non oneroso, all’atto della cessazione dell’attività anche so scadenza del termine della concessione, l’uso dei beni materiali e immateriali proprietà che costituiscono la rete di gestione e di raccolta del gioco.
Secondo la difesa, quindi, la mancata partecipazione al bando, cui addebita l’indisponibilità dell’autorizzazione in capo a NOME COGNOME era dipesa d accertata natura discriminatoria e antieconomica della gara, tale disincentivare la Stanleybet dal parteciparvi.
Sulla ripartizione del relativo onere probatorio, l’orientamento orma consolidato ritiene che “spetta a colui che invoca la discriminazione operat suo carico, per effetto dell’illegittimo diniego di autorizzazione per mancanza concessione in capo all’operatore straniero, l’onere di dimostrare gli eleme costitutivi della discriminazione che, se accertata dal giudice nazionale, compo la disapplicazione della norma interna in contrasto con il diritto dell’unione c interpretato dalla Corte di Giustizia. L’onere probatorio in capo all’accu esaurisce con la prova della condotta materiale e dell’assenza dell’autorizzazi ex art. 88 Tulps in capo a cui che esercita l’attività di raccolta e scommes onere della difesa, invece, dimostrare che l’assenza della licenza in re
dipende dall’assenza in capo all’operatore straniero della concessione determinata dalla mancata partecipazione al bando a sua volta dovuta alla antiecononnicità delle clausole in esso contenute (in senso conforme, da ultimo, Sez. 3, n. 15243 del 02/03/2023, COGNOME, Rv. 284326; Sez. 4, n. 3975 del 19/01/2021, non massimata, nella quale si è so stenuto che, dopo che il ricorrente attraverso tre consulenze aveva portato elementi di valutazione in concreto della proporzionalità o meno della clausola di cessione a titolo non oneroso dei beni allo scadere della concessione ed aveva in tal modo assolto all’onere della prova, l’ufficio requirente non aveva, invece, assolto all’onere di controdedurre rispetto a tali elementi) ” ( Sez. 4, n. 31835 del 11/5/203, COGNOME; conf. Sez. 3, n. 35316 del 3175/2024, COGNOME; Sez 3, n. 13657 del 16/2/2024, Strongone).
A ciò consegue, non essendo stato fornito alcun elemento utile al fine di consentire la verifica dell’antieconomicità prospettata, la manifesta insussistenza dei vizi motivazionali e della violazione di legge denunciati con il primo motivo.
Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di impugnazione.
È insegnamento costante della Corte di Cassazione quello per cui il “dovere di informazione”, attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia, è particolarmente rigoroso per coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali dunque rispondono dell’illecito anche in virtù di una culpa levis nello svolgimento dell’indagine giuridica. Per l’affermazione della scusabilità dell’ignoranza occorre, dunque, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto (per tutte: S.U., n.854 del 10/06/1994, COGNOME, Rv.197885).
Gravava, quindi, su COGNOME come osservato dalla Corte territoriale, l’obbligo di accertare la normativa applicabile quel settore, sicché, non può limitarsi a richiamare i contrasti giurisprudenziali esistenti in materia per dimostrare la sua buona fede, imponendo al contrario, il dubbio sulla liceità dell’attività l’astensione dall’azione ( in tal senso Corte costituzionale sent. n.364 del 1988).
Inammissibili risultano, infine, anche le doglianze relative al trattamento sanzionatorio.
Il motivo di gravame, infatti, si limitava a chiedere la riduzione della pena inflitta e la conversione della pena in pena pecuniaria senza fornire alcun argomento a supporto della richiesta avanzata.
La genericità del motivo di gravame consente di sottrarre al sindacato della Corte la risposta data a quel motivo dalla Corte territoriale. Questa Corte ha precisato, infatti, che “il difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici, proposti in concorso con altri motivi specifici, non può formare oggetto di ricorso per cassazione, poiché i motivi generici restano viziati da inammissibilità originaria, quand’anche il giudice dell’impugnazione non abbia pronunciato in concreto tale sanzione (Sez. 5, n. 44201 del 29/09/2022, Testa, Rv. 283808 – 01).
Inammissibile risulta anche il motivo che censura il diniego delle attenuanti generiche, non essendo stato richiesto il riconoscimento della circostanza con il gravame. Il giudice d’appello, infatti, può legittimamente riconoscere le attenuanti generiche anche “ex officio”, ma il mancato esercizio di tale potere, eccezionalmente riconosciuto dall’art. 597, comma quinto, cod. proc. pen., non è censurabile in Cassazione, nè è configurabile in proposito un obbligo di motivazione, in assenza di specifica richiesta nei motivi di appello, o nel corso del giudizio di secondo grado (Sez. U, n. 12872 del 19/01/2017, COGNOME, Rv. 269125 -01; Sez. 1, n. 46780 del 5/11/2024, Candente; Sez. 5, n. 37569 dell’ 8/7/2015, COGNOME, Rv. 264552 – 01).
In ogni caso, inoltre, il giudizio di gravità della condotta sotteso all’irrogazione di una pena sensibilmente superiore al minimo edittale risulta incompatibile con il riconoscimento dell’attenuante.
9. Il ricorso è, pertanto, inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 16/12/2024