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Raccolta scommesse illegale: la decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un gestore di un centro scommesse, condannato per raccolta scommesse illegale. La Corte ha stabilito che l’attività non era una mera trasmissione di dati, ma un’intermediazione diretta, con incasso di denaro e uso di conti gioco personali. Tale condotta integra il reato, a prescindere da eventuali discriminazioni subite dal bookmaker estero nelle gare per le concessioni italiane.

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Pubblicato il 23 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Raccolta scommesse per conto estero: quando è reato?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37230 del 2024, ha affrontato un caso di raccolta scommesse illegale, delineando con precisione i confini tra la lecita attività di trasmissione dati per conto di un bookmaker estero e l’illecita attività di intermediazione. Questa pronuncia chiarisce che la gestione di un centro scommesse affiliato a un operatore straniero non è esente da responsabilità penale se si configura come una vera e propria attività di raccolta diretta sul territorio italiano, svolta in assenza delle necessarie concessioni e autorizzazioni.

I Fatti di Causa: Da centro trasmissione dati a intermediario

Il caso ha origine dalla condanna in appello del gestore di un punto scommesse affiliato a un noto bookmaker con sede a Malta. In primo grado, l’imputato era stato assolto con la motivazione che il fatto non sussistesse. La Corte di Appello, tuttavia, ha ribaltato la decisione, condannandolo per il reato previsto dall’art. 4, commi 1 e 4-bis della legge n. 401/1989. Secondo i giudici di secondo grado, l’imputato non si limitava a una mera trasmissione telematica dei dati delle giocate, ma svolgeva un’attività di intermediazione e raccolta diretta. Le prove decisive sono state la ricezione di denaro contante da un cliente e il rilascio di una ricevuta di gioco che riportava il codice fiscale dello stesso gestore, dimostrando l’uso fraudolento di conti gioco personali per mascherare l’attività.

L’imputato ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo di essere un semplice centro elaborazione dati, che il bookmaker estero era stato discriminato nelle gare pubbliche italiane e di essere in buona fede, avendo ottenuto in passato pronunce favorevoli.

La Decisione della Corte: La distinzione cruciale nella raccolta scommesse

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e quindi inammissibile. Gli Ermellini hanno confermato in toto l’impostazione della Corte d’Appello, ribadendo un principio consolidato in giurisprudenza: quando l’agente sul territorio nazionale non si limita alla trasmissione delle scommesse ma pone in essere un’attività di intermediazione e raccolta scommesse diretta, viene meno qualsiasi profilo di servizio transfrontaliero “puro”. Di conseguenza, l’attività ricade pienamente sotto la normativa penale italiana che richiede specifici titoli autorizzativi.

Le Motivazioni della Sentenza

La Suprema Corte ha basato la sua decisione su alcuni punti cardine che meritano un’analisi approfondita.

Oltre la Mera Trasmissione Dati

Il punto centrale della motivazione risiede nella natura dell’attività svolta dall’imputato. La Corte ha evidenziato come l’accertamento dei fatti avesse dimostrato inequivocabilmente che l’operatore non era un semplice “connettore” tra il cliente e il bookmaker estero. Al contrario, agiva come un vero e proprio intermediario: riceveva denaro, gestiva la scommessa tramite conti gioco intestati a sé o a soggetti di comodo e rilasciava una ricevuta. Questa modalità operativa, secondo la Corte, costituisce l’essenza dell’attività di raccolta scommesse e non può essere mascherata dietro la facciata di un centro di trasmissione dati.

L’irrilevanza della Discriminazione del Bookmaker Estero

Uno degli argomenti difensivi più comuni in questi casi è l’appello alla normativa comunitaria e la presunta discriminazione subita dagli operatori esteri nell’accesso al mercato italiano delle concessioni. La Cassazione ha smontato questa tesi, specificando che la questione della discriminazione non era stata provata nel caso di specie. Ma, soprattutto, ha affermato un principio ancora più forte: anche qualora vi fosse stata una discriminazione, questa non potrebbe mai giustificare un’attività di intermediazione e raccolta fisica sul territorio italiano senza licenza. La tutela della libera prestazione di servizi si applica ai servizi “puri” offerti a distanza dall’operatore estero, non all’apertura di punti fisici di raccolta gestiti da intermediari locali.

Requisiti di Legge per l’Operatore Italiano

Infine, la Corte ha chiarito che i titoli autorizzativi, come la licenza ex art. 88 T.U.L.P.S., devono essere posseduti direttamente dall’operatore che svolge l’attività in Italia. Una semplice comunicazione alla Questura, come quella effettuata dall’imputato, non è sufficiente a legittimare l’operatività. È necessaria una richiesta formale di licenza, con la dimostrazione del possesso di tutti i requisiti di legge, cosa che nel caso in esame non era avvenuta.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per gli Operatori del Settore

La sentenza ribadisce con fermezza che l’ordinamento italiano non tollera zone grigie nel settore della raccolta scommesse. Gli operatori che intendono affiliarsi a bookmaker esteri devono prestare la massima attenzione a non superare il confine della mera trasmissione dati. Qualsiasi attività che implichi la gestione diretta del denaro, l’uso di conti gioco non riconducibili direttamente al cliente finale o, in generale, un ruolo attivo di intermediazione nella scommessa, fa scattare l’applicazione della normativa penale. La decisione serve da monito: la presunta discriminazione del partner estero non costituisce uno scudo legale per chi opera illegalmente sul territorio nazionale.

Quando l’attività di un centro collegato a un bookmaker estero diventa reato di raccolta scommesse abusiva?
L’attività diventa reato quando il gestore non si limita a trasmettere telematicamente i dati, ma svolge un’attività di intermediazione diretta. Questo accade, ad esempio, quando riceve denaro contante dagli scommettitori e utilizza conti gioco personali o di comodo per piazzare le giocate, mascherando la reale identità del cliente.

La presunta discriminazione di un bookmaker estero nelle gare per le concessioni italiane giustifica l’attività di raccolta scommesse senza licenza?
No. Secondo la Corte di Cassazione, anche se fosse provata una discriminazione, questa non giustificherebbe mai un’attività di intermediazione e raccolta fisica sul territorio italiano in assenza dei titoli autorizzativi richiesti dalla legge italiana.

È sufficiente una comunicazione alla Questura per operare legalmente nella raccolta scommesse per conto di un operatore estero?
No, non è sufficiente. La legge richiede una specifica licenza ai sensi dell’art. 88 del T.U.L.P.S. (Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza). Per ottenerla, l’operatore deve presentare un’apposita richiesta e dimostrare di possedere tutti i requisiti previsti dalla normativa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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