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Raccolta abusiva scommesse: il ruolo non è marginale

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un titolare di un centro scommesse, condannato per raccolta abusiva di scommesse. La Corte ha stabilito che il suo ruolo non era marginale, nonostante fosse detenuto, poiché aveva delegato la gestione illecita a un’altra persona, assicurandone la continuità. La sentenza ribadisce che la responsabilità penale sussiste pienamente quando vi è un contributo causale significativo al reato.

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Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Raccolta abusiva scommesse: la Cassazione chiarisce il ruolo del titolare detenuto

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 35316 del 2024, affronta un caso significativo di raccolta abusiva di scommesse, stabilendo principi importanti sulla responsabilità penale del titolare di un’attività illecita, anche quando questi si trovi in stato di detenzione. La decisione sottolinea come la delega della gestione a terzi non diminuisca il contributo causale al reato, negando così l’applicazione di attenuanti.

I Fatti: La Gestione di un Centro Scommesse Illegale

Il caso riguarda il titolare di un esercizio commerciale, qualificato come ‘internet point’, che in realtà operava come centro di raccolta scommesse per conto di un noto bookmaker straniero. L’attività veniva svolta in assenza della necessaria licenza di pubblica sicurezza, la quale era stata negata all’imputato a causa dei suoi carichi pendenti. Un elemento cruciale della vicenda è che, al momento dell’accertamento dei fatti, il titolare si trovava in stato di detenzione e l’attività era gestita materialmente da un coimputato, su sua indicazione.

L’Iter Giudiziario: Dalla Condanna all’Appello

Sia il Giudice dell’udienza preliminare che la Corte di Appello avevano condannato l’imputato, ritenendolo pienamente responsabile del reato. Le corti di merito hanno stabilito che, nonostante la detenzione, egli non avesse mai interrotto il suo legame con l’attività illecita. Anzi, aveva deliberatamente affidato la gestione a un’altra persona per assicurarne la prosecuzione, dimostrando un ruolo tutt’altro che passivo.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali, contestando la valutazione del suo ruolo e l’applicazione della legge.

Primo Motivo: Il Ruolo Attivo e la Motivazione

La difesa sosteneva che la Corte di Appello non avesse motivato adeguatamente sulla sussistenza del contributo attivo del ricorrente, specialmente considerando il suo stato di detenzione. Si affermava che la sola titolarità formale dell’esercizio non fosse sufficiente a fondare un giudizio di colpevolezza.

Secondo Motivo: Discriminazione e Inutilizzabilità delle Prove

Il secondo motivo si appellava alla giurisprudenza europea (cd. sentenza Placanica), sostenendo che il reato non dovesse sussistere a causa della discriminazione subita dal bookmaker straniero nell’accesso al mercato italiano delle concessioni. Inoltre, veniva contestata l’utilizzabilità delle dichiarazioni rese da un cliente trovato in possesso di ricevute di gioco, ritenute inammissibili.

Terzo Motivo: La Richiesta dell’Attenuante per Minima Partecipazione

Infine, la difesa chiedeva il riconoscimento dell’attenuante della minima partecipazione al reato (art. 114 c.p.), argomentando che il contributo del proprio assistito, in quanto mero titolare di un internet point e non di una licenza per le scommesse, dovesse considerarsi assolutamente marginale.

La Decisione della Cassazione sulla raccolta abusiva di scommesse

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile in ogni sua parte. I giudici hanno ritenuto i motivi del ricorso generici, contraddittori e volti a ottenere una nuova valutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità. La sentenza ha confermato l’impianto accusatorio delle due sentenze di merito, consolidando la cosiddetta ‘doppia conforme’.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha smontato punto per punto le argomentazioni difensive. In primo luogo, ha affermato che il ruolo del ricorrente era stato tutt’altro che marginale. Essere il proprietario, il gestore di fatto (anche se tramite un delegato) e il destinatario del diniego di licenza sono elementi che dimostrano un contributo causale pieno e consapevole alla commissione del reato. La decisione di affidare l’attività a un terzo durante la detenzione è stata interpretata come una prova ulteriore del suo intenso dolo e della sua volontà di proseguire nell’illegalità.

In merito alla presunta discriminazione, la Corte ha ribadito che è onere della difesa dimostrare concretamente la discriminazione subita, cosa che non è avvenuta. Peraltro, il diniego della licenza era basato sui carichi pendenti personali del richiedente, non su un’esclusione del bookmaker straniero.

Riguardo all’inutilizzabilità delle dichiarazioni del cliente, la Cassazione ha applicato il principio della ‘prova di resistenza’, evidenziando che la condanna si fondava su prove autonome e schiaccianti, come gli accertamenti della polizia giudiziaria sulla struttura del locale, la presenza di insegne, monitor con palinsesti e ricevute di gioco.

Infine, è stata negata l’attenuante della minima partecipazione, poiché il contributo dell’imputato è stato ritenuto essenziale e indefettibile per la realizzazione del reato.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: la responsabilità penale per reati come la raccolta abusiva di scommesse non viene meno a causa di circostanze personali come la detenzione, se l’imputato continua a orchestrare l’attività illecita. Il ruolo di organizzatore e beneficiario finale dell’attività prevale sulla mera assenza fisica, configurando una partecipazione piena e non marginale al crimine. La decisione serve da monito per chiunque creda di potersi schermare dietro deleghe formali o circostanze personali per eludere le proprie responsabilità penali.

La detenzione del titolare di un centro scommesse esclude la sua responsabilità per la raccolta abusiva di scommesse?
No, la detenzione non esclude la responsabilità. Secondo la Corte, se il titolare, pur impossibilitato a gestire direttamente, delibera di affidare l’attività illecita a un terzo per garantirne la continuità, il suo ruolo non può essere considerato marginale e la sua responsabilità penale sussiste pienamente.

Per essere condannati per gestione illecita, è sufficiente la titolarità formale di un’attività?
No, la sola titolarità formale potrebbe non bastare. Tuttavia, nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che il ruolo dell’imputato fosse centrale: era proprietario, gestore di fatto (tramite un terzo durante la detenzione) e diretto destinatario del diniego di licenza, dimostrando un pieno coinvolgimento e un’intensa volontà criminale.

Quando si può ottenere l’attenuante della minima partecipazione al reato (art. 114 c.p.)?
L’attenuante si applica solo quando il contributo di una persona alla commissione del reato è stato talmente marginale da poter essere eliminato senza conseguenze apprezzabili sull’esito finale. La Corte l’ha negata in questo caso perché il ruolo di titolare e organizzatore è stato considerato un contributo essenziale e non trascurabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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