Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 38265 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 38265 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/10/2024
SENTENZA
Sul ricorso presentato da COGNOME NOME, nato a Catania il DATA_NASCITA
avverso la sentenza della Corte di appello di Caltanissetta del 14/12/2023.
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore c enerale Dr.
NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
PREMESSO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 14/12/2023, la Corte di appello di Caltanissetta confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Caltanissetta il 01/03/2023, che aveva condanr ato NOME COGNOME per il delitto di cui all’articolo 4 I. 401/1989 alla pena di mesi 6 di reclUsior
Avverso la sentenza il COGNOME propone ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo lamenta vizio di motivazione: l’imputato doveva essere mandato assolto perché il fatto non è previsto dalla legge come reato alla luce della giurisprudenza della Corte EDU (v. sentenza Placanica, cause riunite C-338/04, 359/04 e 360/04).
Il COGNOME ha presentato richiesta di autorizzazione ai sensi dell’articolo 88 t.u.l.p.s., costituisce presupposto per lamentare la violazione del diritto alla libertà di stabilimento.
2.2. Con il secondo motivo deduce violazione dell’articolo 131-bis cod. pen. in ragione della incensuratezza dell’imputato e delle modalità di realizzazione del fatto.
2.3. Con il terzo motivo lamenta violazione dell’articolo 62-bis cod. pen. per omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, pur in presenza di elementi positivi di valutazione in tal senso.
RITENUTO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Quanto alle prime due doglianze, vengono riproposte in questa sede di legittimità doglianze già correttamente disattese, in fatto e diritto, dalla Corte territoriale.
E’ infatti inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nel pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte d merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, non massimata e Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217)
La funzione tipica dell’impugnazione, d’altro canto, è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenut essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confront puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (testualmente Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv 254584 e Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, cit.).
Se il motivo di ricorso si limita a riprodurre il motivo d’appello, quindi, per ciò solo si de all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente “attaccato”, lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato (sempre, da ultimo, Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, cit.).
2.1. In dettaglio, la sentenza impugnata chiarisce che l’analogo motivo di appello risultava generico in quanto in nessun modo deduceva, ancora prima di dimostrare, quale sarebbe stata la “ragione discriminatoria” per l’allibratore straniero di un diniego di concessione ovvero di u illegittima estromissione da un bando di gara per l’assegnazione della concessione, né quali sarebbero state le ragioni eventualmente discriminatorie del diniego di autorizzazione nei confronti del RAGIONE_SOCIALE o della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (pag. 5).
Va peraltro evidenziato che integra comunque il reato di cui all’art. 4, comma 4 -bis, legge 13 dicembre 1989, n. 401, la condotta dell’operatore straniero ingiustamente discriminato nell’accesso al mercato italiano che non abbia aderito alla procedura di regolarizzazione prevista dall’art. 1, comma 643, legge 23 dicembre 2014, n. 190, e continui a svolgere attività di accettazione e raccolta delle scommesse in assenza del prescritto titolo abilitativo (Sez. 3, n. 32459 del 02/05/2023, NOME COGNOME, Rv. 284903 – 01), circostanza di fatto del pari non dedotta dal ricorrente.
Ancora, la sentenza riporta quella giurisprudenza della Corte (Sez. 3, n. 25439 del 09/07/2020, Castelli, Rv. 279869 – 01) secondo cui non integra il reato di cui all’art. 4, comma 4 -bis, della legge 13 dicembre 1989, n. 401 la condotta del soggetto che, agendo per conto di un allibratore straniero autorizzato ad operare in uno Stato dell’Unione ed illegittimamente discriminato in Italia nell’assegnazione delle concessioni di gioco, effettui in modo trasparente in forza di vincolo contrattuale con il bookmaker, attività di raccolta delle scommesse, di incasso delle poste di gioco, di trasmissione dei dati all’allibratore ed, eventualmente, di pagamento dell vincite su mandato di quest’ultimo, secondo lo schema della raccolta delle scommesse attraverso i “luoghi di vendita” di cui all’art. 1, comma 2, lett. i), d.m. 1 marzo 2006, n. 111, trattand attività fatta salva dall’art. 2, comma 5, dello stesso decreto
Qualora, invece, il gestore di un RAGIONE_SOCIALE scommesse italiano affiliato ad un bookmaker straniero metta a disposizione dei clienti il proprio conto-giochi o un conto-giochi intestato soggetti di comodo, consentendo la giocata senza far risultare chi l’abbia realmente effettuata, è configurabile il reato de quo, essendosi realizzata un’illegittima intermediazione nella raccolta delle scommesse che rende irrilevante il rapporto intercorrente fra il RAGIONE_SOCIALE italiano di raccol delle scommesse e l’allibratore straniero, costituendo una mera occasione della condotta illecita imputabile esclusivamente all’operatore italiano.
Tale ultima circostanza ricorrerebbe nel caso di specie alla luce della deposizione del teste COGNOME NOME, il quale riferiva (pag. 4) che il COGNOME non aveva consegnato alcuna ricevuta o biglietto riportante la vincita.
A ciò si aggiunga che la prima sentenza, a pagina 4, precisa che il COGNOME non era munito della autorizzazione richiesta dall’art. 88 tullps.
Sul punto, questa Corte ritiene che in mancanza della concessione e della licenza, per escludere la configurabilità della fattispecie incriminatrice, occorre la dimostrazione c
l’operatore estero non abbia ottenuto le necessarie concessioni o autorizzazioni a causa di illegittima esclusione dalle gare (Sez. 3, n. 13680 del 01/02/2022, COGNOME, n.m.).
Inoltre, nel caso in esame, alla luce delle dichiarazioni rese dal teste COGNOME, appare evidente che la condanna dell’imputato si fondi sull’accertamento (cfr. pag. 6 sentenza di primo grado) che l’imputato non si limitava ad effettuare la mera trasmissione dei dati delle scommesse all’operatore straniero, ma operava egli la raccolta delle scommesse e incassava il corrispettivo in assenza di concessione e autorizzazione ex art. 88 Tullps.
Il motivo di ricorso, che non si confronta affatto con il contenuto delle concordi sentenze limitandosi a generiche considerazioni sulla giurisprudenza convenzionale, è pertanto inammissibile per genericità.
2.2. Il secondo motivo è del pari inammissibile.
La sentenza – a fronte di analoga censura sollevata coi motivi di appello – chiarisce (pag. 7) che non può ritenersi il fatto di minima entità, dovendosi ritenere che la raccolta di scommesse fosse una attività abituale (come comprovato dalla predisposizione di apparecchiature presso l’associazione) e di non irrilevante gravità, avendo il COGNOME esercitato una attività di gran interesse pubblico senza alcun controllo da parte dell’Autorità.
Tale motivazione si fonde con quella di primo grado, la quale evidenziava la natura organizzata dell’attività e la particolare intensità del dolo (gli apparecchi erano nascosti die una parete di cartongesso e venivano rimossi prima del secondo accesso delle forze dell’ordine).
Il ricorso si limita a riproporre pedissequamente la censura già proposta in fase di appello senza confrontarsi con la motivazione del provvedimento, risultando di tal guisa inammissibile.
4. Il terzo motivo è inammissibile.
Vero è che la sentenza di appello non contiene alcuna statuizione in riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Tuttavia, il Collegio rappresenta come la prima sentenza (pag. 7) evidenzi che non sono presenti elementi di segno positivo idonei a mitigare il trattamento sanzionatorio, tenuto conto del fatto che il COGNOME, in occasione del controllo dei CC., si è disfatto degli apparecchi ogget di contestazione al fine di impedirne il sequestro e in sede dibattimentale ha negato ogni addebito fornendo una ricostruzione dei fatti addirittura in contrasto con le evidenze processuali.
L’atto di appello, a sua volta, si limita a chiedere il riconoscimento delle circostanze ex a 62-bis cod. pen. in relazione alle effettive modalità di realizzazione della condotta criminosa.
Trattasi di allegazione in tutta evidenza priva della necessaria specificità.
Questa Corte ritiene che il difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motiv generici, proposti in concorso con altri motivi specifici, non possa formare oggetto di ricorso pe cassazione, poiché i motivi generici restano viziati da inammissibilità originaria, quand’anche i giudice dell’impugnazione non abbia pronunciato in concreto tale sanzione (Sez. 5, n. 44201 del
29/09/2022, Testa, Rv. 283808 – 01; Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262700 – 01).
In tal caso si parla di «inammissibilità originaria» (nella specie per genericità), cui consegu nonostante la proposizione del gravame, il passaggio in giudicato della sentenza di merito (Sez. 5, n. 4867 del 29/11/2000, COGNOME, Rv. 219060 – 01), posto che essa colpisce l’impugnazione nel suo momento iniziale, con la conseguenza che non si instaura il rapporto processuale di impugnazione (Sez. 1, n. 13665 del 12/11/1998, COGNOME, Rv. 212023 – 01).
Inoltre, è inammissibile per carenza d’interesse il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello inammissibile “ah origine” per manifesta infondatezza, in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (Sez. 3, Sentenza n. 46588 del 03/10/2019, Bercigli, Rv. 277281 – 01).
5. In conclusione il ricorso non può che essere dichiarato inammissibile.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto iI ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende. Così deciso il 02/10/2024.