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Raccolta abusiva di scommesse: il caso dell’Internet Point

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per un gestore di un’attività commerciale che, sotto l’apparenza di un Internet Point, realizzava una raccolta abusiva di scommesse per conto di bookmaker stranieri. L’ordinanza ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’imputato, sottolineando il carattere professionale dell’attività e respingendo la tesi della particolare tenuità del fatto. La decisione evidenzia che mascherare l’attività illecita non esclude la responsabilità penale.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Raccolta Abusiva di Scommesse: Condanna Confermata per Finto Internet Point

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha messo un punto fermo su un caso di raccolta abusiva di scommesse mascherata da un’attività apparentemente lecita come un Internet Point. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato, confermando la sua condanna e chiarendo importanti principi sulla professionalità del reato e sull’inapplicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

I Fatti del Caso: Più di un Semplice Internet Point

Il gestore di un esercizio commerciale in una città del sud Italia era stato condannato in primo e secondo grado per aver violato la legge sulle scommesse sportive. Nello specifico, l’accusa era di aver organizzato un’attività di accettazione e raccolta di scommesse da piazzare su siti di bookmaker stranieri, il tutto in assenza dei necessari titoli abilitativi e delle concessioni richieste dalla legge italiana.

La difesa dell’imputato sosteneva che il locale fosse un semplice Internet Point e che l’attività contestata fosse del tutto sporadica. Tuttavia, le indagini avevano rivelato un quadro diverso: l’attività era strutturata per fungere da intermediario illegale, utilizzando le apparecchiature a disposizione dell’utenza e un conto di gioco del titolare per facilitare la raccolta delle puntate.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. La qualifica di un testimone chiave: si contestava che un cliente, sentito come testimone, avrebbe dovuto essere considerato un indagato.
2. La natura dell’attività: si ribadiva che si trattava di un Internet Point e non di un centro scommesse, criticando la motivazione dei giudici di merito.
3. La particolare tenuità del fatto: si chiedeva l’applicazione dell’art. 131-bis c.p., sostenendo l’incensuratezza dell’imputato e la modestia e sporadicità del reato.

Raccolta Abusiva di Scommesse: La Decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile perché fondato su asserzioni generiche e non su una critica puntuale della sentenza d’appello. Gli Ermellini hanno smontato uno per uno i motivi del ricorso, confermando la solidità del quadro accusatorio delineato nei precedenti gradi di giudizio.

La Qualifica del Testimone e la Natura dell’Attività

I giudici hanno stabilito che il cliente era stato correttamente sentito come testimone, poiché non erano emersi elementi che provassero la sua consapevolezza circa l’illiceità dell’attività del gestore. Per quanto riguarda la natura dell’esercizio, la Corte ha evidenziato come la difesa non avesse affrontato il dato decisivo: l’effettivo e provato collegamento tra le postazioni informatiche e il sito del bookmaker straniero, realizzato tramite un conto del titolare usato come “conto di comodo”. Questa modalità configura un’illegittima intermediazione nella raccolta scommesse, che è reato a prescindere dall’esistenza o meno di autorizzazioni.

L’Esclusione della Particolare Tenuità del Fatto

Il punto cruciale della decisione riguarda il rigetto della richiesta di applicare la non punibilità per particolare tenuità del fatto. La Corte ha ritenuto che l’attività non fosse affatto sporadica od occasionale, ma avesse un chiaro tenore professionale. A dimostrarlo erano la copiosa strumentazione presente nel locale, i segni pubblicitari visibili e, soprattutto, il “decettivo mascheramento” dell’attività di scommesse sotto le mentite spoglie di un Internet Point.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sul principio che la professionalità di un’attività illecita ne esclude la tenuità. Anche se il volume d’affari non è stato provato con esattezza, l’organizzazione strutturata, la strumentazione dedicata e la strategia di occultamento dimostrano un’intenzione e una continuità che sono incompatibili con la natura “modesta” richiesta dall’art. 131-bis c.p. La Corte ha ritenuto che i giudici di merito avessero correttamente valutato questi elementi, giungendo a una conclusione logica e ben motivata. L’inammissibilità del ricorso, inoltre, è stata dichiarata anche perché le censure proposte erano generiche e non si confrontavano realmente con le ragioni della decisione impugnata, trasformando il ricorso in un tentativo di ottenere un terzo grado di giudizio sul merito, non consentito in sede di legittimità.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: nascondere un’attività di raccolta abusiva di scommesse dietro una facciata lecita non solo non esclude la responsabilità penale, ma può addirittura aggravarla agli occhi del giudice. La professionalità, anche se mascherata, impedisce di beneficiare della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Per gli operatori del settore, questo significa che qualsiasi forma di intermediazione nella raccolta di scommesse senza le dovute concessioni statali costituisce un reato grave, e i tentativi di eludere la legge attraverso sotterfugi vengono severamente puniti.

È possibile essere condannati per raccolta abusiva di scommesse se si gestisce un Internet point?
Sì, è possibile. Se l’infrastruttura dell’Internet Point viene utilizzata sistematicamente per facilitare un’intermediazione illecita nella raccolta di scommesse su siti esteri privi di concessione, l’attività viene considerata come un mascheramento del reato e quindi punibile.

Quando un’attività di scommesse illegali non può essere considerata di ‘particolare tenuità’?
Secondo questa ordinanza, l’attività non può essere considerata di particolare tenuità quando presenta un carattere di professionalità. Elementi come la disponibilità di numerosa strumentazione, la presenza di pubblicità e il mascheramento dell’attività illecita indicano un’organizzazione stabile che esclude l’applicazione dell’art. 131-bis c.p.

Un cliente che piazza scommesse in un centro non autorizzato è sempre considerato complice?
No. In questo caso, la Corte ha stabilito che il cliente è stato correttamente sentito come testimone perché non vi era prova che fosse consapevole dell’illiceità dell’attività svolta dal gestore. Per essere considerato indagato, dovrebbero emergere indizi concreti di una sua partecipazione cosciente al reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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