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Quota socio accomandante: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha stabilito la legittimità di una clausola statutaria di una S.a.s. che permette al socio accomandatario superstite di scegliere tra la liquidazione della quota del socio defunto o la continuazione della società con gli eredi. Questa decisione deroga alla regola generale sulla trasferibilità della quota socio accomandante, confermando che l’autonomia statutaria prevale se non contrasta con norme imperative. La Corte ha rigettato il ricorso degli eredi, escludendo la rilevanza penale della condotta del socio superstite che aveva optato per la liquidazione.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Quota socio accomandante: la Cassazione valida la deroga statutaria alla trasferibilità

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un’importante questione relativa alla successione nella quota socio accomandante all’interno di una società in accomandita semplice (S.a.s.). La Corte ha stabilito che una clausola dello statuto sociale può legittimamente conferire al socio superstite il diritto di scegliere se liquidare la quota agli eredi del socio defunto o continuare la società con loro, derogando così alla regola generale di trasmissibilità prevista dal Codice Civile. Questa decisione chiarisce i limiti dell’autonomia statutaria e le sue implicazioni in caso di morte di un socio.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine dalla morte della socia accomandante, detentrice di quasi la totalità delle quote di una S.a.s. a conduzione familiare. Lo statuto della società prevedeva una clausola specifica (art. 9) che, in caso di decesso di un socio, attribuiva al socio superstite (in questo caso, l’accomandatario) un diritto potestativo: optare per la continuazione della società con gli eredi del defunto oppure procedere alla liquidazione della quota spettante a questi ultimi.

Il socio accomandatario superstite decideva di avvalersi della seconda opzione, comunicando agli eredi la volontà di liquidare la loro quota. Gli eredi, tuttavia, contestavano tale decisione, sostenendo che la clausola statutaria fosse in contrasto con l’articolo 2322 del Codice Civile, il quale dispone che la quota di partecipazione del socio accomandante è trasmissibile per causa di morte. La controversia sfociava in un procedimento penale avviato dagli eredi nei confronti del socio accomandatario.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul ricorso presentato dagli eredi (costituitisi parte civile nel processo penale), ha rigettato le loro istanze, confermando la decisione della Corte di Appello. I giudici di legittimità hanno ritenuto infondate le censure mosse alla sentenza impugnata, affermando la piena validità della clausola statutaria in questione.

La validità della clausola statutaria e la quota socio accomandante

Il punto cruciale della decisione riguarda l’interpretazione combinata degli articoli 2284 e 2322 del Codice Civile. L’articolo 2284 stabilisce la regola generale per le società di persone: in caso di morte di un socio, gli altri devono liquidare la quota agli eredi, “salvo contraria disposizione del contratto sociale”. La Cassazione ha chiarito che questa clausola di riserva (“Salvo contraria disposizione”) si applica anche alle società in accomandita semplice e legittima pattuizioni che si discostino dalla disciplina legale.

La norma sulla trasmissibilità della quota socio accomandante (art. 2322 c.c.) non è una norma imperativa e inderogabile, ma rappresenta una semplice possibilità. Pertanto, i soci, nell’esercizio della loro autonomia contrattuale, possono validamente prevedere nello statuto un meccanismo alternativo, come quello che conferisce al socio superstite un diritto di scelta. La volontà dei soci, espressa e sottoscritta nel patto sociale (anche dal socio poi defunto), prevale sulla disciplina di default.

L’irrilevanza delle precedenti decisioni civili

Nel corso del procedimento, era stata richiamata una sentenza del Tribunale civile che, per un vizio di procedura (mancata integrazione del contraddittorio), era stata annullata. La Corte di Cassazione ha specificato che, anche se quella sentenza era stata formalmente annullata, la Corte di Appello penale aveva legittimamente potuto condividerne le motivazioni di merito, facendole proprie, senza che ciò costituisse un vizio. Il giudice penale, infatti, valuta autonomamente i fatti ai fini della sussistenza di un reato, senza essere vincolato da decisioni prese in altre sedi giudiziarie.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che l’autonomia statutaria è un pilastro del diritto societario. La clausola che permette di scegliere tra continuazione e liquidazione non viola alcun principio fondamentale. Anzi, essa rappresenta una forma di tutela per la continuità aziendale e per gli interessi del socio superstite, il quale può valutare se la collaborazione con gli eredi sia o meno praticabile. La volontà della socia defunta, che in vita aveva accettato e sottoscritto quello statuto, è stata considerata un elemento decisivo. La Corte ha precisato che la norma sulla trasmissibilità della quota dell’accomandante descrive ciò che accade in assenza di un patto contrario, ma non vieta un patto contrario. Di conseguenza, la condotta del socio accomandatario, che si è limitato ad applicare una clausola statutaria valida, non può integrare alcuna fattispecie di reato. Non vi è stata alcuna azione decettiva o illegittima, ma il semplice esercizio di un diritto contrattualmente previsto.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza rafforza il principio dell’autonomia statutaria nelle società di persone. Stabilisce che i soci di una S.a.s. possono liberamente regolare le modalità di successione delle quote, anche in deroga alla regola generale della trasmissibilità della quota socio accomandante. Questa pronuncia offre un’importante indicazione pratica per la redazione degli statuti societari, suggerendo di inserire clausole chiare per gestire eventi critici come la morte di un socio, al fine di prevenire future controversie e garantire una gestione fluida del passaggio generazionale.

Lo statuto di una S.a.s. può prevedere che la quota del socio accomandante defunto venga liquidata agli eredi invece che trasmessa automaticamente?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che l’autonomia contrattuale dei soci, espressa nel patto sociale, prevale. Una clausola che prevede la liquidazione della quota o che dà al socio superstite la facoltà di scegliere tra liquidazione e continuazione è perfettamente valida, poiché l’art. 2284 cod. civ. ammette esplicitamente una “contraria disposizione del contratto sociale”.

La regola sulla trasmissibilità della quota del socio accomandante (art. 2322 cod. civ.) è inderogabile?
No, la norma non è imperativa. Essa descrive una possibilità e la disciplina applicabile in assenza di un diverso accordo tra i soci. Lo statuto può quindi prevedere un meccanismo differente, come quello che conferisce al socio accomandatario il potere di decidere se continuare la società con gli eredi o liquidare la loro quota.

Perché la Corte ha ritenuto non sussistenti i reati contestati al socio accomandatario?
La Corte ha concluso che non sussistevano gli elementi costitutivi dei reati contestati perché il socio accomandatario non ha posto in essere alcuna azione decettiva o illegittima. Egli si è semplicemente avvalso di un diritto potestativo chiaramente previsto dall’art. 9 dello statuto sociale, un patto che era stato accettato e sottoscritto in vita anche dalla socia poi defunta. La sua condotta è stata quindi una legittima applicazione del contratto sociale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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