Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 13877 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 13877 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 01/04/2025
Osserva, al riguardo, la difesa del ricorrente che avrebbe errato la Corte di appello nel fondare la propria decisione richiamando il contenuto della sentenza del Tribunale civile di Pisa in quanto quest’ultima decisione Ł da ritenersi inutiliter data avendo la Corte di appello restituito gli atti al Tribunale per vizio originario della composizione del contraddittorio con la conseguenza che per costante giurisprudenza la decisione della sentenza di primo grado risulta venuta meno anche nel merito.
2.2. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 2322 e 2284 cod. civ.
Rileva la difesa del ricorrente che avrebbe errato la Corte di appello nel ritenere con la sentenza impugnata la piena legittimità del disposto dell’art. 9 dello statuto della ‘RAGIONE_SOCIALE in quanto detta norma statutaria si pone in contrasto sia con il disposto dell’art. 2322, comma 1, cod. civ. che dispone che la quota di partecipazione del socio accomandante Ł trasmissibile per causa di morte, sia con la giurisprudenza civile che, sostanzialmente, ha chiarito che i soci accomandanti subentrano di diritto nelle posizioni dei loro danti causa mentre l’altra opzione prevista dallo statuto (liquidazione della quota agli eredi) Ł prevista solo per i soci accomandatari dall’art. 2284 cod. civ.
2.3. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
Rileva la difesa del ricorrente che la Corte di appello ha omesso di valutare la circostanza che il socio superstite prima dell’atto notarile del 4 novembre 2015 non ebbe mai a contestare, nemmeno per facta concludentia , la volontà di non voler proseguire il rapporto societario con gli eredi della defunta socia accomandante e, pertanto, di volerli liquidare sulla base del valore delle quote alla data del decesso, tanto Ł vero che all’atto della querela risulta allegata una lettera del 31 luglio 2003 (quindi in epoca successiva al dichiarato scioglimento della società in data 31 marzo 2003 per mancata ricostituzione della pluralità dei soci) indirizzata all’attuale ricorrente con la quale l’imputato ha affermato di voler adempiere ad un pregresso preliminare di compravendita stipulato in vita con la signora NOME COGNOME che lo impegnava ad acquistare tutta la quota di detta socia accomandante, documento che manifesterebbe l’intenzione dello stesso imputato di non voler esercitare la facoltà di non ricostituire la compagine sociale.
A ciò si aggiunge, prosegue la difesa del ricorrente, che anche dopo la asserita estinzione in data 31 marzo 2003 della società RAGIONE_SOCIALE la società stessa, come documentalmente provato, ebbe ad affittare parte dei suoi beni immobili.
Tutti gli elementi sopra indicati documenterebbero quindi la configurabilità giuridica in capo all’imputato dei fatti-reato allo stesso contestati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Occorre, innanzitutto, doverosamente premettere che la Corte di appello nella sentenza impugnata ha correttamente rilevato l’intervenuta prescrizione dei reati in contestazione all’imputato. Essendovi, tuttavia, la presenza nel processo della parte civile a favore della quale il Giudice di primo grado aveva disposto la condanna dell’imputato alla liquidazione dei danni da liquidarsi nella relativa sede civile, assegnando nel contempo alla parte civile una provvisionale immediatamente esecutiva, la Corte di appello ha doverosamente proceduto ad una valutazione del merito della vicenda.
La Corte di appello, ai fini della propria decisione ha quindi richiamato il contenuto di due sentenze (del 17 gennaio 2022 del Giudice civile di Pisa e del 5 luglio 2024 della Corte di appello civile di Firenze) nell’ambito di giudizio azionato dalla parte civile, acquisite agli atti e ritenute utili per la ricostruzione della vicenda che appare doveroso brevemente riassumere.
La ‘RAGIONE_SOCIALE COGNOME‘ era una società in accomandita semplice nella quale NOME COGNOME ricopriva il ruolo di socio accomandatario (con una quota limitatissima) e NOME COGNOME il ruolo di socio accomandante (con una quota di oltre il 99,9 %).
Alla morte di quest’ultima, l’imputato essendo rimasto unico socio, in applicazione dell’art. 9 dello statuto della società che conferiva all’unico socio superstite il diritto potestativo di optare per la continuazione della società con gli eredi della defunta ovvero per la liquidazione in favore di questi ultimi della quota sociale spettante al loro dante causa, decise di optare per la seconda soluzione.
Risulta tuttavia dalla sentenza qui impugnata che il Tribunale civile di Pisa ebbe a respingere le istanze delle parti civili – alle quali l’imputato non aveva comunque comunicato di non voler proseguire l’attività della società – evidenziando come le stesse avrebbero dovuto far valere nel giudizio il loro diritto alla liquidazione di una somma rappresentante il valore della quota spettante al socio defunto ma non l’hanno fatto.
Prosegue, poi, la sentenza della Corte di appello rilevando che l’apparato argomentativo della sentenza del Giudice civile di Pisa, che ha evidenziato di condividere integralmente, non Ł intaccato dalla decisione della Corte di appello civile di Firenze di restituzione degli atti al Tribunale di Pisa «affinchØ previa sua nomina, integri il contraddittorio nei confronti del curatore speciale della società ‘RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE‘ proprio in quanto intervenuta in rito e non nel merito della questione».
Ha, quindi, concluso la Corte di appello ritenendo nella sentenza impugnata l’insussistenza degli elementi costitutivi dei reati in contestazione «perchØ nessuna azione decettiva era stata posta in atto dall’imputato che, parimenti, non aveva mai rivendicato davanti al notaio la qualità di ‘unico erede’ della defunta quanto piuttosto di ‘unico socio’.
Ciò doverosamente premesso, rileva l’odierno Collegio che il ricorso non Ł meritevole di accoglimento.
Il primo motivo di ricorso Ł, infatti, infondato atteso che risulta irrilevante in questa sede penale il fatto che la sentenza del Tribunale civile di Pisa Ł stata sostanzialmente annullata per vizio nella formazione del contraddittorio, in quanto la Corte di appello non ha utilizzato detta decisione alla stregua di un atto pregiudiziale e vincolante ma si Ł semplicemente limitata ad affermare di condividere le motivazioni contenute nella stessa, facendole proprie.
Il secondo motivo di ricorso Ł, a sua volta, infondato in quanto l’art. 2284 cod. civ. si limita ad affermare che «Salvo contraria disposizione del contratto sociale, in caso di morte di uno dei soci, gli altri devono liquidare la quota agli eredi, a meno che preferiscano sciogliere la società ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi acconsentano» ed Ł proprio la clausola di riserva ivi contenuta («Salvo contraria disposizione del contratto sociale …») che legittima la validità del menzionato patto sociale di cui all’art. 9 dello statuto della società RAGIONE_SOCIALE.
NØ il disposto dell’art. 2322, comma 1, cod. civ. richiamato nel ricorso in esame rende illegittima tale pattuizione dato che la norma si limita a stabilire che «La quota di partecipazione del socio accomandante Ł trasmissibile per causa di morte», prevendo tale norma una semplice possibilità la cui deroga concordata tra i soci ed inserita nello statuto non comporta di certo la nullità della pattuizione.
Sul punto deve solo evidenziarsi che gli assunti giurisprudenziali richiamati nel ricorso sono assolutamente inconferenti a risolvere la questione incidentale sottoposta ai Giudici penali nel caso in esame in quanto la decisione della Cassazione civile (Sez. 1, n. 12906 del 18/12/1995, Rv. 495120 – 01) verteva sulla ben diversa questione di violazione dell’eventuale divieto di patti successori in relazione alla posizione del socio accomandatario e la parte motiva della stessa – nella quale Ł dato testualmente leggere «Per quanto, invece, concerne la società in accomandita semplice, vige la diversa regola, posta dall’art. 2322 che, con riferimento alla posizione del socio accomandante, espressamente prevede che la sua “quota di partecipazione … Ł trasmissibile per causa di morte”. L’attribuzione della quota sociale, secondo il significato proprio di tali parole, non si esaurisce nella mera attribuzione del suo valore patrimoniale (nel qual caso la norma sarebbe inutiliter data , corrispondendo tale effetto, all’applicazione delle norme generali sulla successione mortis causa ) ma comporta automaticità nell’acquisto dello ” status socii “. La morte del socio si configura, così, come un evento al quale la società Ł “indifferente”, in considerazione della attenuata rilevanza dell’elemento personale, propria della partecipazione “capitalistica” (e della conseguente mancanza di acquisto di responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali) del socio accomandante»
– si limita a descrivere un principio autoevidente già nel testo normativo relativo alla trasmissibilità mortis causa della quota del socio accomandante, ma da ciò non si può certo affermare la nullità di un diverso patto (oltretutto stabilito con il consenso prestato in vita dalla stessa dante causa) con il quale si Ł conferito il potere al socio accomandatario di scegliere tra la prosecuzione della società con gli eredi della socia accomandante ovvero procede alla liquidazione della quota della stessa.
A ciò si aggiunge, per solo dovere di completezza, che nel caso qui in esame il limite decisionale imposto al Giudice penale in presenza della costituzione di parte civile non Ł certo quello di risolvere la controversia civile (per la quale già si procede nell’autonoma sede) ma solo quello di valutare se una condotta potenzialmente qualificabile come penalmente rilevante, da valutarsi con le regole proprie del processo penale, ha cagionato danni alla parte civile. Del resto, l’art. 573 cod. proc. pen. non sembra lasciare margini d’interpretazione; il primo comma, infatti, recita: «l’impugnazione per i soli interessi civili Ł proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale».
La stessa Corte costituzionale ha, del resto, recentemente ribadito che «il giudice dell’impugnazione, lungi dall’essere distolto da quella che Ł la finalità tipica e coessenziale dell’esercizio della sua giurisdizione penale, Ł innanzitutto chiamato proprio a riesaminare il profilo della responsabilità penale dell’imputato, confermando o riformando, seppur solo agli effetti civili, la sentenza di proscioglimento pronunciata in primo grado» (Corte cost., sent. n. 176 del 12 luglio 2019).
Anche le Sezioni Unite di questa Corte di legittimità si sono collocate su questa linea, riconoscendo il concreto interesse della parte civile «ad ottenere il ribaltamento della prima pronuncia e l’affermazione, sia pure solo ‘virtuale’ perchØ valorizzabile ai soli fini delle statuizioni civili, di responsabilità penale dell’imputato» (Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, n. 28911, COGNOME, Rv. 275953, in motivazione).
Alla luce dei principi e dei criteri di valutazione sopra esposti non risultano emergere elementi circa la sussistenza dei fatti di penale rilevanza in contestazione all’imputato, nØ elementi che impongano un annullamento della sentenza impugnata, con la conseguenza che si impone il rigetto
del ricorso con condanna della ricorrente parte civile al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 01/04/2025.
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME