Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 29602 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 6 Num. 29602 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/05/2025
SESTA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
Sent. n. sez. 757/2025
UP – 29/05/2025
– relatore –
NOME COGNOME
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
MiccichŁ NOME, nato a Pescina (AQ) il 07/07/1954
COGNOME NOMECOGNOME nata a L’Aquila il 21/08/1977
avverso la sentenza del 07/11/2024 della Corte d’appello di L’Aquila;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME in difesa della parte civile COGNOME MariaCOGNOME che ha chiesto la conferma della sentenza e la rifusione delle spese, come da nota specifica depositata;
lette le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME in difesa dei ricorrenti, che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di L’Aquila ha confermato la condanna dei coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME per i delitti di invasione di terreni e di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone (artt. 633 e 393, cod. pen.), con le conseguenti statuizioni risarcitorie in favore della parte civile NOME COGNOME
Si contesta loro di aver abusivamente occupato, con vari automezzi ed altro materiale, un terreno di proprietà della COGNOME e di suo figlio NOME COGNOME nonchØ di aver reagito con violenza e minacce nei confronti degli stessi, allorchØ presentatisi al loro cospetto per chiedere la liberazione dell’area.
Entrambi gli imputati impugnano tale decisione con unico atto del loro comune difensore, sulla base di tre motivi, comuni anch’essi.
2.1. Il primo consiste nella violazione dell’art. 124, cod. pen., in relazione al delitto di invasione di terreni, con la conseguente improcedibilità dello stesso, per essere stata la querela proposta oltre il termine di tre mesi dalla conoscenza della cessazione del reato, a sŁguito dell’avvenuto sgombero del terreno.
Secondo la contestazione, il delitto sarebbe stato commesso ‘tra marzo e maggio 2019’; la COGNOME nelle sue dichiarazioni spontanee, ha riferito che il terreno era stato completamente sgomberato il 1° luglio successivo; il predetto COGNOME figlio della parte civile, ha dichiarato che il 31 di agosto seguente il terreno risultava liberato; la querela Ł stata quindi formalizzata il 28 novembre.
La sentenza impugnata ha fissato la cessazione della permanenza del reato, e quindi la decorrenza del termine per proporre querela, al 31 di agosto, che, però, sarebbe solamente la data in cui la persona offesa ha preso contezza della cessazione del reato e non quella in cui quest’ultima si sarebbe verificata e che, di necessità, doveva essere significativamente anteriore, considerando la natura e la quantità delle cose presenti sul terreno ed il tempo occorrente per rimuoverle.
Ancor prima, però, il ricorso contesta la sussistenza del reato, deducendo che l’occupazione del terreno non sarebbe avvenuta abusivamente, bensì in forza di un accordo fra gli imputati e la figlia della parte civile, che aveva concesso loro l’uso dell’area in cambio della pulizia dalle sterpaglie: aspetto, questo, completamente trascurato in motivazione.
2.2. La seconda doglianza riguarda la configurabilità del delitto di ‘ragion fattasi’.
Si rileva, in proposito, che gli imputati, dopo aver lasciato il terreno, non avevano accampato alcuna pretesa, ma che, ciò nonostante, si erano visti arrivare a casa la COGNOME e suo figlio e, nell’occasione, era nata un’accesa discussione, con degli spintoni ma senza conseguenze lesive.
La circostanza troverebbe conferma in una sentenza del Tribunale di L’Aquila del 2 ottobre 2024, che ha confermato l’assoluzione della COGNOME dall’imputazione di lesioni personali in danno della COGNOME, asseritamente verificatesi in quel medesimo frangente: ma, su tale decisione, la sentenza impugnata non avrebbe speso parola.
2.3. Il terzo motivo consiste nell’assenza di motivazione sulla richiesta di concessione della sospensione condizionale della pena, avanzata con l’atto d’appello in via subordinata rispetto a quella sulla commisurazione della stessa.
Ha depositato requisitoria scritta la Procura generale, concludendo per il rigetto del ricorso.
Il difensore di parte civile ha depositato conclusioni scritte e nota spese.
Il difensore dei ricorrenti ha depositato in cancelleria memoria e conclusioni scritte per via telematica il giorno precedente l’udienza, e quindi oltre il termine previsto dall’art. 611, cod. proc. pen., non potendo perciò essere preso in considerazione quanto con tali atti dedotto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Nessuno dei motivi di ricorso può essere ammesso.
Il primo, riguardante la tempestività della querela, Ł manifestamente infondato e, comunque, generico.
In tema di querela, l’onere della prova della non tempestività grava sul querelato che la deduce e, nell’eventuale situazione di incertezza, va risolta a favore del querelante (Sez. 5, n. 13335 del 17/01/2013, COGNOME, Rv. 255060); nØ può ritenersi sufficiente affidarsi a semplici presunzioni o supposizioni prive di adeguato supporto probatorio, dovendo essere fornita una prova contraria rigorosa (Sez. 6, n. 24380 del 12/03/2015, P., Rv. 264165; Sez. 1, n. 7333 del 28/01/2008, COGNOME, Rv. 239162).
Nel caso in rassegna, invece, la deduzione dell’intempestività si fonda, per un verso, solamente sulle parole dell’imputata COGNOME ovviamente, tuttavia, non disinteressate; e, per l’altro, su una circostanza puramente asserita, quale quella del considerevole tempo occorrente per lo sgombero del sito. La motivazione della sentenza impugnata, che si fonda su tali argomenti, si presenta, dunque, logicamente razionale e, come tale, non censurabile in sede di legittimità.
Quanto al secondo motivo, relativo al delitto di cui all’art. 393, cod. pen., la sentenza impugnata ha specificamente rilevato l’inammissibilità del corrispondente motivo d’appello, perchØ dedotto ex novo solo con motivi aggiunti, ed il ricorso nulla replica sul punto, limitandosi a riproporre la questione. Ma la mancata proposizione rituale della doglianza in appello determina l’inammissibilità del corrispondente motivo di ricorso per Cassazione (art. 606, comma 3, cod. proc. pen.).
Riguardo, infine, all’omessa motivazione sulla mancata concessione della sospensione condizionale della pena, oggetto del terzo motivo di ricorso, Ł vero che con l’atto d’appello era stata avanzata la relativa richiesta, tuttavia senza essere sorretta da alcuna ragione. Il relativo motivo d’appello, dunque, si presentava generico, ciò riverberandosi sulla lacuna della motivazione, nel senso di escluderne la decisività ai fini del giudizio: basti pensare che, nØ con l’appello, nØ con i ricorsi per Cassazione, Ł stato anche soltanto addotto che gli imputati fossero nelle condizioni per accedere al beneficio.
L’inammissibilità dei ricorsi comporta obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna dei proponenti al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una loro assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro per ciascuno.
Per il principio della soccombenza (art. 592, comma 4, cod. proc. pen.), gli imputati debbono essere condannati alla rifusione delle spese del presenta grado di giudizio sostenute dalla parte civile, che si liquidano come da nota specifica da essa depositata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile NOMECOGNOME che liquida in complessivi euro 3.167,00 oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 29 maggio 2025.