Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 7337 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2   Num. 7337  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Senna Lodigiana il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 18/01/2023 della Corte di Appello di Bologna visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato per intervenuta prescrizione.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME, a mezzo del suo difensore, propone ricorso per cassazione avverso la sentenza del 18 gennaio 2023 con la quale la Corte di Appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza emessa, in data 23 dicembre 2020, dal Tribunale di Piacenza, lo ha condannato alla pena di mesi 10 di reclusione ed euro 200,00 di multa in relazione al reato continuato di cui all’art. 640 cod. pen., dichiarando al contempo non doversi procedere per le condotte poste in essere fino al 21 giugno 2015 ed assolvendolo per il reato di cui all’art. 166 d.l.gs. 58/1998.
 Il ricorrente, con il primo motivo di impugnazione, lamenta la violazione degli artt. 124, 640 cod. pen e 337 cod. proc. pen.
La Corte territoriale, avendo escluso l’aggravante di cui all’art. 61 n. 7 cod. pen., avrebbe dovuto accertare ex officio la tempestività della querela sporta dalla persona offesa in data 11 novembre 2016.
Secondo la difesa la querela sarebbe tardiva in quanto la persona offesa, già a giugno 2016, era a conoscenza della scopertura di uno degli assegni consegnati dal COGNOME e della radiazione dell’imputato dalla Consob.
 Il ricorrente, con il secondo motivo di impugnazione, lamenta la violazione degli artt. 640 cod. pen. e 192, 533, 546 cod. proc. pen., il travisamento delle prove e la carenza della motivazione in ordine alla penale responsabilità dell’imputato.
La Corte territoriale avrebbe ignorato le doglianze espresse nell’atto di appello e fondato la condanna su una parziale disamina del materiale probatorio.
La motivazione sarebbe carente in ordine alla dimostrazione della mancata abilitazione del COGNOME a contrarre per conto della sede svizzera dalla HSBC Bank ed in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di truffa.
Il ricorrente, con il terzo motivo di impugnazione, lamenta l’inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 62-bis, 81, 133 cod. pen., travisamento della prova, carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio.
I giudici di merito avrebbero determinato una pena superiore al minimo edittale ed individuato degli aumenti di pena eccessivi a titolo di continuazione con motivazione apodittica fondata esclusivamente sull’intensità del dolo e sull’importo non minimale del danno, affermazione contraddittoria con la contestuale esclusione dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 7, cod. pen.
La Corte territoriale avrebbe rigettato la richiesta di riconoscimento delle attenuanti generiche esclusivamente in considerazione della mancata restituzione integrale delle somme e senza tenere conto degli elementi favorevoli alla mitigazione della pena dedotti dalla difesa (incensuratezza ed intervenuta ricognizione del debito).
Il ricorrente, con il quarto motivo di impugnazione, lamenta l’inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 163 e 165 cod. pen. e la carenza della motivazione in ordine alla subordinazione della sospensione condizionale della pena al pagamento del risarcimento del danno.
La Corte territoriale avrebbe fondato tale decisione su una affermazione del tutto congetturale e, in particolare, sulla ritenuta destinazione a fini personali dei proventi del reato continuato di truffa.
I giudici di appello non avrebbero tenuto conto che il COGNOME non è stato in grado di restituire integralmente le somme sottratte e che le somme restituite sarebbero state fornite dalla moglie e dalla collaboratrice del ricorrente.
La Corte di merito non avrebbe adeguatamente valutato le condizioni economiche del reo, in particolare ignorando quanto riferito dal M.NOME AVV_NOTAIO in ordine agli esiti delle indagini patrimoniali svolte ed all’accertata incapacità di pagare il risarcimento del danno.
CONSIDERATO IN DIRITTO
 Il ricorso è inammissibile per le ragioni che seguono.
Il primo motivo di impugnazione con il quale il ricorrente eccepisce la tardività della querela non è consentito.
Il Collegio intende ribadire il principio di diritto secondo cui la tardività della querela non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità, ove si tratti di eccezione che comporta accertamenti di fatto che sono devoluti al giudice di merito e che, non essendo stati richiesti tempestivamente, sono preclusi nei successivi gradi di giudizio (Sez. 5, n. 19241 del 09/02/2015, COGNOME, Rv. 264847; Sez. 3, n. 35767 del 21/04/2017, Galizia, Rv. 271245 01; da ultimo Sez. 2, n. 24480 del 28/04/2023, NOME, non massimata).
Nel caso di specie il COGNOME, solo con il ricorso per cassazione, ha sostenuto che la persona offesa avrebbe avuto piena conoscenza dell’illecito dal mese di giugno 2016 e non dal mese di settembre del medesimo anno come affermato dai giudici di merito. Tale asserzione, per essere validata, richiederebbe, in assenza di elementi attestanti ictu oculi la tardività della querela, un accertamento di merito non effettuabile in sede di legittimità.
Peraltro, il Tribunale, con motivazione coerente alle risultanze processuali e priva di illogicità manifeste, aveva affermato che il COGNOME, nell’agosto del 2016 aveva sottoscritto un riconoscimento del debito, impegnandosi a restituire le somme entro la fine del successivo mese di settembre e che la persona offesa, solo a seguito del mancato adempimento di tale obbligo di restituzione, si è determinata a sporgere querela in data 11 novembre 2016 (vedi pagina 5 della sentenza di primo grado).
 Il secondo motivo di ricorso è aspecifico e non consentito in quanto reiterativo di medesime censure in fatto già espresse in sede di appello ed affrontate dalla Corte di merito, attraverso una disamina completa ed approfondita delle risultanze probatorie, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità.
Il ricorrente, senza confrontarsi con quanto motivato dai giudici di appello al fine di confutare le censure difensive, si è limitato a reiterare le medesime
doglianze asseritamente pretermesse, chiedendo a questa Corte di entrare nella valutazione dei fatti e di privilegiare, tra le diverse ricostruzioni, quella a lui più gradita, senza confrontarsi con le emergenze determinanti per la formazione del convincimento dei giudici di merito con conseguente aspecificità del motivo.
3.1. Entrambi i giudici di merito hanno adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di truffa in considerazione del fatto che gli artifici e raggiri descritti nel capo di imputazione (presentarsi come soggetto esperto nei servizi di intermediazione finanziaria -senza riferire alle persone offese di essere stato radiato dal relativo albo- e fornire alle persone offese documentazione apparentemente riconducibile alla società HSBC) hanno ingenerato una apparenza di affidabilità professionale e, di conseguenza, indotto in errore le persone offese in ordine alla reale destinazione degli assegni consegnati al ricorrente (vedi pagine 7 ed 8 della sentenza di primo grado e pagine 5 e 6 della sentenza di appello).
Tale ricostruzione, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità, è fondata su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede.
3.2. La Corte territoriale, con il supporto di una motivazione esente da illogicità manifeste, ha correttamente desunto l’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 640 cod. pen. dalle modalità della complessiva condotta posta in essere dal COGNOME (vedi pagina 7 della sentenza di primo grado e pagine 7 ed 8 della sentenza di appello), così aderendo al consolidato orientamento della Corte di RAGIONE_SOCIALEzione, per il quale, ai fini della configurabilità del reato di truffa, la prova dell’elemento soggettivo “può desumersi dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive dell’azione criminosa, attraverso le quali, con processo logico-deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto, in modo da evidenziarne la cosciente volontà e rappresentazione degli elementi oggettivi del reato, quali l’inganno, il profitto ed il danno, anche se preveduti come conseguenze possibili della propria condotta, di cui si sia assunto il rischio di verificazione” (Sez. 5, n. 30726 del 09/09/2020, COGNOME, Rv. 279908 – 01; nello stesso senso Sez. 5, n. 39472 del 19/06/2023, Correra).
Il terzo motivo di ricorso è al contempo non consentito ed aspecifico, non risultando adeguatamente enunciati e argomentati 4 rilievi critici rispetto alle ragioni poste a fondamento del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della determinazione del trattamento sanzionatorio.
4.1. I giudici di appello hanno correttamente valorizzato, ai fini del diniego delle generiche, la gravità dei fatti e l’intensità del dolo del ricorrente desumibile dalla reiterazione nel tempo delle condotte truffaldine (vedi pag. 6 della sentenza impugnata).
Deve essere, in proposito, ribadito il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che, come nel caso di specie, la motivazione faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 3, n. 2233 del 17/06/2021, COGNOME, Rv. 282693 – 01; Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549 – 02).
4.2. L’ulteriore doglianza con la quale il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla determinazione della pena base in misura superiore al minimo edittale ed agli aumenti a titolo di continuazione, non è consentita in quanto mira ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione, sorretta da sufficiente motivazione, non è stata frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (vedi Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME ed altro, Rv. 271243 Sez. 2, n. 47512 del 03/11/2022, COGNOME, non massimata).
Nel caso di specie la Corte territoriale ha adeguatamente individuato una pena base di poco superiore al minimo edittale ed un aumento di soli 15 giorni di reclusione ed euro 25,00 euro per ognuno dei reati satellite in ragione dell’intensità del dolo e dell’importo “non minimale oggetto di truffa” (vedi pag. 7 della sentenza impugnata), elementi con i quali il ricorso ha omesso di confrontarsi adeguatamente; deve essere in proposito affermato che, diversamente da quanto affermato dal ricorrente, il danno subito dalla persona offesa non può essere automaticamente definito minimale solo in considerazione dell’esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 61n. 7 cod. pen. con conseguente insussistenza della lamentata contraddittorietà della motivazione sul punto.
Il Collegio intende ribadire, infine, il consolidato orientamento di questa Corte in materia di oneri motivazionali correlati alla definizione del trattamento sanzionatorio, secondo il quale la determinazione della pena costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicché l’obbligo di una motivazione rafforzata sussiste solo allorché la pena si discosti significativamente dal minimo edittale, mentre, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media, e
sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288 – 01; Sez. 5, n. 47783 del 27/10/2022, COGNOME, non massimata).
5.  Il quarto motivo di impugnazione è aspecifico.
La Corte territoriale, con percorso argomentativo coerente con le risultanze processuali ed esente da illogicità manifeste, ha affermato che dall’analisi degli atti non emergono elementi che consentano di dubitare della capacità di procedere al pagamento del risarcimento del danno cui è stata subordinata la concessione della sospensione condizionale della pena, valorizzando, in particolare, che il COGNOME ha incassato i venticinque assegni emessi dalle persone offese (per un valore complessivo superiore ai 100.000 euro), omettendone la restituzione nonostante un’iniziale proposta di pagamento in contanti (vedi pag. 7 della sentenza impugnata).
Il Collegio intende dare seguito al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui è onere dell’imputato fornire al giudice le prove da cui emergano elementi specifici e concreti che consentano, attraverso un motivato apprezzamento delle condizioni economiche dell’interessato, di valutare la capacità del medesimo di soddisfare la condizione imposta, con la conseguenza che non è sufficiente che l’imputato si limiti, come nel caso di specie, a lamentare genericamente le sue difficoltà economiche per mancanza di reddito (Sez. 5, n. 26175 del 4/5/2022, COGNOME, Rv. 283591 – 01; S; Sez. 5, n. 39785 del 05/07/2023, COGNOME, Rv. 285260 – 01).
Nel caso oggetto di scrutinio, il ricorrente nemmeno nell’atto di appello ha fornito idonei elementi di valutazione o richiamato qualsivoglia fonte di prova sul punto, limitandosi ad affermare la propria incapacità economica. Analogamente, il motivo di ricorso per cassazione è generico, atteso che non fornisce elementi concreti da cui poter desumere l’impossibilità per l’imputato di adempiere alle obbligazioni civili di cui si discute.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 01 dicembre 2023
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