Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 37956 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 37956 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato ad ALTAMURA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 25/01/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria a firma del AVV_NOTAIO, che ha chiesto di annullare senza rinvio la sentenza impugnata, relativamente ai reati di cui al capo C, rideterminare la pena per il reato di cui al capo A e dichiarare inammissibile nel resto il ricorso.
RITENUTO IN FATI -0
Con sentenza emessa il 16 marzo 2022, il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Verbania aveva condannato COGNOME NOME per il reato di falsità
ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici (capo A); l’aveva, invece, assolto dai reati di peculato (capo B) e di truffa (capo C).
Con sentenza del 25 gennaio 2024, la Corte di appello di Torino ha parzialmente riformato la pronuncia di primo grado, condannando l’imputato anche per il reato di truffa e, conseguentemente, ha rideterminando la pena e condannato l’imputato al risarcimento dei danni subiti dalla parte civile.
Secondo la Corte di appello, l’imputato, nella qualità di ufficiale giudiziario e di dirigente dell’RAGIONE_SOCIALE, ommettendo di annotare sui registri dell’ufficio i dati identificativi degli atti dei quali gli veniva richiesta la notifica, avrebbe falsific predetti registri – atti pubblici destinati a provare il vero, con riferimento all’att di notifica svolta dall’ufficio e al calcolo degli importi incassati conseguentemente, avrebbe falsificato gli avvisi di ricevimento degli atti notificati, riportando in essi un numero cronologico falso.
Con tale condotta, l’imputato, oltre a falsificare atti pubblici, avrebbe commesso anche il reato di truffa in danno degli altri ufficiali giudiziari in servizi presso il medesimo ufficio, atteso che, omettendo di annotare sui registri gli estremi relativi agli atti da lui notificati, aveva alterato, per difetto, il conte mensile degli importi complessivamente incassati dall’ufficio e, conseguentemente, l’importo da ripartire, a titolo di indennità di trasferta, tra tutt i colleghi dell’ufficio. Per risalente accordo tra i componenti dell’ufficio, invero, 50% delle indennità di trasferte complessivamente riscosse erano ripartite tra funzionari e ufficiali giudiziari, a prescindere dal numero degli atti notificati ciascuno.
Contro la sentenza della Corte di appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce il vizio di motivazione e la violazione di legge, in relazione all’art. 640 cod. pen.
Sostiene che, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, mancherebbero due elementi costitutivi della fattispecie del reato di truffa: l’induzione in errore; l’atto di disposizione patrimoniale da parte della vittima.
Rappresenta che la Corte di appello aveva individuato il requisito dell’induzione in errore nell’omessa annotazione nei registri degli atti da lui notificati, che avrebbe impedito agli altri ufficiali giudiziari di conoscere l’esa importo di quanto loro spettante. Avrebbe, poi, individuato il requisito dell’atto di disposizione patrimoniale nel mancato esercizio del diritto di credito da parte degli altri ufficiali giudiziari.
Tanto premesso, il ricorrente sostiene che le affermazioni della Corte territoriale sarebbero errate.
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Invero, il requisito dell’induzione in errore richiederebbe una condotta dell’agente che «attivamente faccia cadere in errore la vittima, rappresentandole una situazione diversa da quella reale», e non potrebbe consistere nel mero «sfruttamento patrimoniale dell’ignoranza altrui». Nel caso in esame, non vi sarebbe stata alcuna induzione in errore e «l’ignoranza delle vittime» non potrebbe «surrogare l’assenza di un elemento costitutivo della fattispecie».
La Corte territoriale sarebbe caduta in errore anche nell’individuazione del requisito dell’atto di disposizione patrimoniale, che potrebbe consistere anche in una mera omissione, ma sempre che questa sia volontaria. Nel caso in esame, invece, non vi sarebbe stata alcuna volontarietà dell’atto omissivo, atteso che gli altri ufficiali giudiziari non sarebbero stati a conoscenza delle somme che avrebbero dovuto effettivamente percepire.
2.2. Con un secondo motivo, deduce il vizio di motivazione e la violazione di legge, in relazione agli artt. 120, 129, 191 e 438 cod. proc. pen.
Rappresenta che: i fatti contestati risalivano al periodo maggio 2017settembre 2018; le persone offese avevano presentato querela l’ll maggio 2019; la persona offesa COGNOME aveva già presentato un esposto il 6 giugno 2018; nell’esposto, era stato precisato che i fatti erano stati portati a conoscenza delle persone offese COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME; il 15 novembre 2018, COGNOME e COGNOME erano stati sentiti a sommarie informazioni; la COGNOME, nuovamente sentita l’ll ottobre 2018, aveva riferito «di essersi sentita» con NOME, NOME, COGNOME e COGNOME.
Tanto premesso, contesta la sussistenza della condizione di procedibilità, in relazione al reato di truffa. Le persone offese, invero, avevano presentato querela solo l’ll maggio 2019, ben oltre i tre mesi dall’avvenuta conoscenza dei fatti.
Il ricorrente contesta la motivazione fornita, sul punto, dalla Corte di appello, basata sull’argomentazione che le persone offese si sarebbero determinate a presentare querela solo a seguito dell’ispezione ministeriale, intervenuta nell’aprile 2019. Tale motivazione, infatti, si baserebbe su di un atto, la relazione ministeriale, non utilizzabile, in quanto mai acquisito al fascicolo processo. Il ricorrente sostiene che, in ogni caso, da tale relazione non emergerebbe alcun fatto delittuoso.
2.3. Con un terzo motivo, deduce la violazione di legge, in relazione all’art. 162-ter cod. pen.
Sostiene che la Corte di appello non avrebbe rilevato l’estinzione del reato di cui al capo C per intervenuta condotta riparatoria, nonostante la difesa, in sede di conclusioni, avesse specificamente evidenziato la presenza di tutti i presupposti per l’applicazione dell’art. 162-ter cod. pen., avendo l’imputato risarcito i danni subiti sia dall’erario che dagli altri ufficiali giudiziari.
2.4. Con un quarto motivo, deduce la violazione di legge, in relazione all’art. 131-bis cod. pen.
Rappresenta che la difesa, con memoria ex art. 121 cod. proc. pen., aveva chiesto alla Corte di appello di applicare la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto. Richiesta successivamente ribadita, in sede di conclusioni orali, sia con riferimento al reato di truffa che a quello di falso.
Tanto premesso, il ricorrente deduce l’omessa motivazione in ordine a tale specifica richiesta. Evidenzia che, «specie con riguardo alla truffa», sussistevano i presupposti per l’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., in considerazione dell’esiguità delle somme oggetto di contestazione e dell’avvenuto risarcimento del danno.
2.5. Con un quinto motivo, deduce la violazione di legge, in relazione agli artt. 476 cod. pen. e 116 del d.P.R. n. 1229 del 1959 (ordinamento degli ufficiali giudiziari).
Rappresenta che la Corte di appello aveva confermato la sentenza di condanna per il delitto di falso, anche con riferimento alle richieste di notifiche provenienti da “BApa” e “RAGIONE_SOCIALE“, nonostante l’imputato avesse effettuato le relative annotazioni sui registri “paralleli”.
Il ricorrente evidenzia che la possibilità di istituire registri “paralleli” non er vietata dal d.P.R. n. 1229 del 1959 ed era espressamente consentita da una circolare ministeriale del 1951.
2.6. Con un sesto motivo, deduce il vizio di motivazione e la violazione di legge, in relazione agli artt. 81 e 133 cod. pen.
Lamenta l’eccessiva severità della pena applicata e, in particolare, degli aumenti per la continuazione.
Il AVV_NOTAIO generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di annullare senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al reato di cui al capo C, e di dichiarare inammissibile nel resto il ricorso.
AVV_NOTAIO, per la parte civile, ha presentato conclusioni scritte con le quali ha chiesto di dichiarare inammissibile o di rigettare il ricorso.
AVV_NOTAIO, per l’imputato, ha presentato una memoria con la quale ha chiesto di annullare la sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITFO
Il ricorso deve essere parzialmente accolto, essendo fondato il secondo motivo, che deve essere preliminarmente esaminato.
1.1. Il secondo motivo, relativo alla querela presentata per il reato di truffa, è fondato.
I fatti contestati, come risulta dalla stessa imputazione, risalgono al periodo maggio 2017-settembre 2018 e le persone offese hanno presentato querela solo l’11 maggio 2019.
La tesi della Corte di appello, secondo la quale le persone offese avrebbero avuto conoscenza dei fatti solo a seguito dell’ispezione ministeriale, intervenuta nell’aprile 2019, è infondata.
Dagli atti, invero, risulta che la persona offesa COGNOME, il 6 giugno 2018, aveva già presentato un dettagliato esposto, relativo ai fatti di causa, precisando che tali fatti erano stati portati a conoscenza anche delle persone offese COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME. Il 15 novembre 2018, peraltro, il COGNOME era stato sentito a sommarie informazioni e aveva espressamente affermato che: «anche per noi vi è un danno evidente, nella misura dell’indennità di trasferta che andava suddivisa tra tutti gli ufficiali giudiziari e funzionari dell’RAGIONE_SOCIALE, che con tale paralle registrazione non genera nessun indennizzo; il danno andrebbe calcolato dai versamenti fatti per le notifiche e che sicuramente risulterà dal conto corrente dell’RAGIONE_SOCIALE». La COGNOME, escussa l’11 ottobre 2018, aveva riferito «di essersi sentita» sui fatti di causa con COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME.
Va, peraltro, rilevato che la stessa Corte di appello, nel ricostruire i fatti, h precisato che il procedimento traeva origine dall’esposto presentato dal COGNOME.
Risulta, dunque, indiscutibile che le persone offese, almeno dal novembre 2018, fossero già a conoscenza dei fatti di causa e che, pertanto, la querela, presentata solo maggio 2019, risulti tardiva.
Il reato di truffa contestato al capo C, dunque, risulta privo della necessaria condizione di procedibilità e, in ordine a tale reato, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, con conseguente eliminazione, ai sensi dell’art. 620, comma primo, lett. I, cod. proc. pen., della pena applicata dalla Corte di appello per tale reato (mesi quattro di reclusione, già calcolata la riduzione di pena per la scelta del rito) nonché delle correlate statuizioni civili.
L’accoglimento del secondo motivo di ricorso determina l’assorbimento del primo e del terzo motivo. Mancando la condizione di procedibilità, infatti, l’azione penale per il reato di truffa non andava neanche esercitata e, conseguentemente, risulta preclusa qualsiasi valutazione di merito. Invero, «il difetto della condizione di procedibilità (nella specie: querela), impedendo la valida costituzione del
rapporto processuale, inibisce ogni valutazione del fatto imputato e preclude, quindi, la pronuncia di proscioglimento, secondo la regola della prevalenza, per evidenza della causa di non punibilità nel merito» (Sez. 3, n. 43240 del 06/07/2016, 0, Rv. 267937; Sez. 5, n. 24687 del 17/03/2010, Rizzo, Rv. 248386).
1.2. Il quarto motivo, nella parte relativa al reato di truffa, risulta assorbito seguito dell’accoglimento del secondo motivo di ricorso, mentre, invece, con riferimento al reato di falso, risulta del tutto generico, non avendo il ricorrente spiegato per quali ragioni una reiterata falsificazione dei registri dell’RAGIONE_SOCIALE e degli avvisi di ricevimento degli atti notificati debba essere considerata un fatto di particolare tenuità.
Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis, c.p., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, comma 1, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza e dell’entità del danno o del pericolo (cfr. Sez. U., n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590).
Ebbene, il ricorrente, con riferimento al reato di falso, non espone alcun elemento concreto dal quale poter desumere la particolare tenuità del fatto. La doglianza sollevata dal ricorrente, pertanto, deve essere ritenuta non specifica.
1.3. Il quinto motivo è inammissibile.
Esso, invero, è privo di specificità, perché meramente reiterativo di identiche doglianze proposte con i motivi di gravame, disattese nella sentenza impugnata con corretta motivazione in diritto e congrua e completa argomentazione in punto di fatto (cfr. pagina 9 della sentenza), con le quali il ricorrente non si effettivamente confrontato.
La Corte di appello, in particolare, ha rilevato che l’istituzione dei registr aggiuntivi non valeva a escludere la responsabilità penale dell’imputato, neppure in relazione alle notifiche provenienti da “BApa” e “RAGIONE_SOCIALE“, atteso che, mancando qualsiasi raccordo tra i modelli ufficiali e quelli creati dal dirigente dell’ufficio, non poteva ritenersi che i secondi fossero un’integrazione dei primi. La dimostrazione che i registri istituiti dall’imputato non avessero la medesima valenza di quelli ufficiali era desumibile dallo stesso comportamento del COGNOME, che non aveva provveduto al versamento delle somme all’erario e alla ripartizione dell’indennità di trasferta ai colleghi, in tal modo rendendo evidente che si trattava di meri brogliacci a suo uso personale. La Corte di appello ha evidenziato che, in ogni caso, i numeri cronologici riportati sugli atti notificati risultavano falsi quanto non trovavano corrispondenza nei registri RAGIONE_SOCIALE.
1.4. Il sesto motivo, nella parte relativa alla pena applicata per il reato di truffa, risulta assorbito dall’accoglimento del secondo motivo, mentre, invece, risulta infondato nel resto.
La Corte di appello, invero, con riferimento al reato di falso, ha determinato la pena b4se nel minimo edittale, aumentandola poi, per la continuazione interna, di soli quattro mesi di reclusione, in relazione ad una pluralità annotazione false.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al reato continuato di cui al capo C dell’imputazione, per difetto di tempestiva condizione di procedibilità, ed elimina la relativa pena e le statuizioni civili. Rigetta nel rest ricorso.
Così deciso, il 10 luglio 2024.