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Querela società: prova dei poteri non è necessaria

La Corte di Cassazione ha stabilito che, in caso di querela presentata da una società, non è necessario allegare lo statuto per dimostrare i poteri di rappresentanza di chi ha conferito la procura speciale. La Corte ha chiarito che tali poteri si presumono validi fino a prova contraria, la quale deve essere fornita da chi contesta la validità della querela. La sentenza di appello, che aveva dichiarato l’improcedibilità per difetto di querela, è stata annullata con rinvio al giudice civile.

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Pubblicato il 20 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Querela società: non serve allegare lo statuto per provare i poteri

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20989 del 2024, ha fornito un chiarimento fondamentale sulla validità della querela società, stabilendo un principio di semplificazione e presunzione di legittimità. Quando una persona giuridica sporge querela tramite un procuratore speciale, non è obbligata ad allegare la documentazione, come lo statuto societario, che attesti i poteri di rappresentanza di chi ha firmato la procura. Questo onere probatorio ricade, invece, su chi contesta la validità dell’atto.

I fatti del caso

La vicenda processuale ha origine da una sentenza di condanna di primo grado per il reato di truffa. In appello, tuttavia, la situazione si è ribaltata. La Corte d’Appello ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti dell’imputato per difetto di querela.

Il motivo? La società, costituitasi parte civile, aveva presentato querela tramite un procuratore speciale, la cui nomina era avvenuta da parte del Responsabile dell’ufficio legale della società stessa. La Corte d’Appello ha ritenuto che mancasse la prova dei poteri di tale Responsabile, poiché la società non aveva depositato agli atti lo statuto da cui tali poteri sarebbero dovuti emergere. Di conseguenza, la querela è stata considerata invalida e sono state revocate anche le statuizioni civili.

Contro questa decisione, la società ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando l’errata applicazione della legge processuale penale.

L’interesse della parte civile a impugnare

Prima di entrare nel merito della questione formale, la Cassazione ha ribadito un punto cruciale: l’interesse della parte civile a impugnare una sentenza di proscioglimento, anche se basata su un vizio procedurale. L’annullamento della condanna di primo grado, infatti, priva la parte civile del vantaggio di un accertamento di responsabilità già avvenuto in sede penale. L’impugnazione mira a preservare le prove raccolte e l’accertamento dei fatti, evitando di dover iniziare da capo un lungo e costoso giudizio civile, in ossequio ai principi di economia processuale e di effettività della tutela giurisdizionale garantiti dall’art. 24 della Costituzione.

Le motivazioni della Corte di Cassazione sulla validità della querela società

La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso della società, smontando la tesi della Corte d’Appello. Il ragionamento dei giudici di legittimità si basa su un’interpretazione chiara e consolidata degli articoli 122 e 337 del codice di procedura penale.

La presunzione di validità dei poteri

Il punto centrale della decisione è il seguente: quando una querela è presentata per conto di una persona giuridica, la legge non impone l’onere di allegare la documentazione che comprovi la fonte dei poteri di rappresentanza. L’art. 337, comma 3, c.p.p. si limita a richiedere l’indicazione della fonte di tali poteri, non la prova documentale della loro esistenza.

La veridicità di quanto dichiarato dal rappresentante legale si presume fino a prova contraria. In altre parole, non spetta alla società querelante dimostrare preventivamente e con documenti la legittimità dei propri rappresentanti. È onere di chi contesta la validità della querela, tipicamente l’imputato, fornire la prova che il soggetto che ha agito in nome della società fosse in realtà privo dei necessari poteri.

Nel caso specifico, la querela era stata presentata da un procuratore speciale, nel pieno rispetto delle formalità previste dall’art. 122 c.p.p. (atto pubblico o scrittura privata autenticata). La Corte d’Appello, quindi, ha errato nel richiedere un quid pluris non previsto dalla legge, ovvero il deposito dello statuto societario, e avrebbe dovuto, al più, in caso di dubbio, attivare i propri poteri istruttori per acquisire la documentazione necessaria.

Le conclusioni

La Cassazione ha annullato la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, rinviando la causa al giudice civile competente in grado di appello. Questa decisione ha importanti implicazioni pratiche:

1. Semplificazione per le imprese: Le società che intendono sporgere querela non sono gravate dall’onere di allegare statuti o delibere per provare i poteri dei loro rappresentanti, semplificando e velocizzando la tutela dei propri diritti.
2. Inversione dell’onere della prova: L’onere di contestare e provare l’eventuale carenza di poteri di rappresentanza è a carico della difesa dell’imputato.
3. Presunzione di legittimità: L’atto compiuto dal rappresentante legale o da un suo procuratore speciale si presume valido, in linea con i principi di buona fede e affidamento.

Questo orientamento consolida un principio di efficienza processuale, evitando che questioni meramente formali e non sostanziali possano paralizzare l’azione penale e pregiudicare le ragioni della parte danneggiata dal reato.

Quando una società sporge querela, è obbligatorio allegare lo statuto per provare i poteri del legale rappresentante che ha firmato la procura?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la legge richiede solo l’indicazione della fonte dei poteri di rappresentanza, ma non impone l’onere di allegare la documentazione (come lo statuto) che li comprovi. La veridicità di tali poteri si presume fino a prova contraria.

A chi spetta l’onere di provare che la persona che agisce per conto della società non ha i poteri per farlo?
L’onere di fornire la prova della carenza dei poteri di rappresentanza spetta a chi contesta la validità della querela, ovvero, di norma, all’imputato. Non è la società querelante a dover dimostrare preventivamente la legittimità del proprio rappresentante.

La parte civile ha interesse a impugnare una sentenza che dichiara l’improcedibilità per un vizio di forma della querela?
Sì. La Corte ha confermato che la parte civile ha un interesse concreto a impugnare, anche per vizi procedurali, per conservare gli effetti dell’accertamento di responsabilità e delle prove raccolte nel giudizio di primo grado, evitando di dover iniziare un nuovo e separato giudizio civile per ottenere il risarcimento del danno.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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