Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14353 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14353 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 01/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/02/2023 della CORTE APPELLO di ANCONA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME
CENICCOLA
che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 21 febbraio 2023, la Corte di appello di Ancona confermava la sentenza del locale Tribunale che aveva ritenuto NOME COGNOME colpevole del delitto di furto di energia elettrica, esclusa l’aggravante della violenza sulle cose, consumato manomettendo il contatore installato nell’abitazione di NOME COGNOME, immobile al momento disabitato, che aveva abusivamente occupato, così rendendosi responsabile anche del delitto di cui all’art. 633 cod. pen.
1.1. In risposta ai dedotti motivi di appello, la Corte osservava quanto segue. Era infondata l’eccezione di improcedibilità dell’azione penale posto che aveva presentato valida querela quel NOME COGNOME che, nel verbale di arresto e negli ulteriori atti redatti dalla polizia giudiziaria (i verbali di perquisizi sequestro), era stato indicato come il soggetto legittimato a sporgerla, dato che vi aveva dimorato, in precedenza, insieme al padre (che era l’intestatario dell’immobile).
Lo stato di disoccupazione dell’imputato ed i rapporti conflittuali che questi aveva istaurato con i propri congiunti, così da dover abbandonare l’abitazione familiare, non potevano costituire l’idoneo fondamento di quello stato di necessità che l’imputato aveva invocato in riferimento all’occupazione dell’abitazione (ed al conseguente furto dell’energia elettrica).
Non si configurava neppure l’ipotesi di cui all’art. 131 bis cod. pen, avendo il proprietario dell’immobile subito danni di non particolare tenuità, avendo dovuto riparare la finestra che era stata forzata per entrare nel medesimo ed avendo dovuto provvedere al pagamento dell’energia elettrica (e dell’acqua utilizzata) utilizzata dall’imputato.
Né si configurava, per le medesime ragioni, l’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen.
Propone ricorso l’imputato, a mezzo del proprio difensore, articolando le proprie censure in otto motivi.
2.1. Con il primo ed il secondo motivo deduce la violazione di legge per non essere stato dichiarato, il reato di furto di energia elettrica, improcedibile pe difetto di querela.
La sottrazione dell’energia, infatti, era avvenuta a solo danno dell’ente erogatore (era stata accertata la “manomissione del contatore e la predisposizione
di una linea abusiva”, dopo che la precedente utenza era stata staccata) che, diversamente dal COGNOME, non aveva sporto querela.
Come la stessa Corte d’appello aveva ammesso.
Né poteva ritenersi contestata in fatto l’aggravante del furto in danno di bene destinato al pubblico servizio non essendo stata, la stessa, neppure prefigurata in fatto.
2.2. Con il terzo motivo eccepisce il difetto di valida querela anche in ordine al delitto di invasione di edificio posto che il proprietario del medesimo non era il ricordato querelante ma il padre del medesimo, come questi aveva precisato nella stessa querela.
2.3. Con il quarto motivo lamenta l’assenza di motivazione in riferimento alla mancata confutazione del motivo di appello in cui si era invocata la causa di giustificazione dello stato di necessità.
L’imputato, in assoluta indigenza, aveva perso il lavoro ed aveva chiesto una soluzione abitativa alla RAGIONE_SOCIALE. Aveva vissuto, in precedenza, con la zia, che l’aveva mandato via di casa, improvvisamente. Era da pochi giorni all’interno di quella abitazione e si era trovato senza un tetto in un periodo dell’anno di freddo pungente, sul finire del dicembre 2020.
2.4. Con il quinto motivo denuncia la violazione dell’art. 131 bis cod. pen., per non essere stato l’imputato prosciolto con tale formula dovendosi considerare la sua precaria situazione economica ed abitativa ed il breve periodo di tempo in cui aveva occupato l’immobile, né potevano con certezza attribuirsi al medesimo i danni indicati dalla Corte d’appello in sentenza.
2.5. Con il sesto motivo lamenta il mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen., considerando che i danni erano consistiti nella sostituzione di un vetro della finestra e nel consumo di acqua e luce.
2.6. Con il settimo motivo si deduceva il vizio di motivazione in ordine alla dosimetria della pena i cui segmenti non era stato adeguatamente motivati.
2.7. Con l’ultimo motivo si eccepiva che l’aumento per il delitto di cui all’art. 633, comma 1, cod. pen., era stato operato sia sulla pena detentiva sia su quella pecuniaria, nonostante lo stesso sia punito con pena alternativa e debba pertanto essere fatto solo con riferimento ad una delle due specie di pena (Cass. SU n. 40983/2018).
Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella persona del sostituto NOME COGNOME, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il difensore del ricorrente ha inviato memoria con la quale ha ulteriormente argomentati i motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato non merita accoglimento.
Il primo ed il secondo motivo, argomentati sulla mancanza della condizione di procedibilità del delitto di furto dovendosi ritenere legittimato il solo en erogatore del servizio, sono inammissibili.
Si deve, infatti, rilevare come l’indicata questione necessiti, per la verifica del suo presupposto, di un accertamento in fatto che consenta, appunto, di individuare chi fosse stata la persona offesa del furto di energia, l’ente erogatore o lo stesso COGNOME (se la stessa sia stata sottratta a monte o a valle del suo passaggio per il contatore), accertamento che la Corte d’appello non era stata sollecitata a compiere, in assenza di specifico motivo di appello sul punto (secondo la non contestata sintesi che, dell’atto, si rinviene nella sentenza impugnata e alla luce della diretta lettura dello stesso).
I motivi sono pertanto inammissibili ai sensi dell’art. 610 cod. proc. pen. perché non proposti con i motivi di appello.
Il terzo motivo, speso sulla legittimazione di NOME COGNOME a sporgere querela, è infondato.
La diretta lettura della querela (allorché sia dedotto, mediante ricorso per cassazione, un “error in procedendo” ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., la Corte di cassazione è giudice anche del fatto e, per risolvere la relativa questione, può accedere all’esame diretto degli atti processuali: Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092) ha consentito di verificare che il querelante, NOME COGNOME, pur avendo lasciato da qualche tempo l’abitazione in questione, vi aveva vissuto con il padre (che si era anch’egli trasferito presso di lui), vi aveva ancora conservato la residenza e ne aveva la custodia, posto il padre medesimo (invalido, sulla sedia a rotelle) ormai se ne disinteressava.
Così che lo stesso era pienamente legittimato a sporgere la querela che, constatata l’invasione dell’immobile da parte dell’imputato e l’utilizzo, abusivo, delle utenze di luce ed acqua, aveva in effetti presentato.
Si è, infatti, autorevolmente precisato (Sez. U, n. 40354 del 18/07/2013, COGNOME, Rv. 255975) che il bene giuridico protetto dal delitto di furto è individuabile non solo nella proprietà o nei diritti reali personali o di godimento, ma anche nel possesso – inteso come relazione di fatto che non richiede la diretta fisica disponibilità – che si configura anche in assenza di un titolo giuridico, con la conseguenza che anche al titolare di tale posizione di fatto spetta la qualifica di persona offesa e, di conseguenza, la legittimazione a proporre querela.
Il quarto motivo, sullo ricorrenza dello stato di necessità, è inammissibile sia perché versato in fatto sia perché non affronta la motivazione sul punto della Corte d’appello, laddove si sono considerate sia le menzogne riferite dal prevenuto (di essere entrato nell’abitazione da pochissimi giorni, senza aveva compiuto effrazione alcuna; smentite da quanto riferito dalla persona offesa sia in relazione al ben maggiore lasso di tempo dell’occupazione sia in riferimento alla rottura di una finestra e al cambio della serrature della porta d’entrata), sia la circostanza che il preteso stato di necessità sarebbe stato, a dire del medesimo imputato, causato dalle liti con i familiari prima conviventi, così che era stato lo stesso imputato a darvi causa, non ricorrendo pertanto l’ipotesi invocata che, disciplinata dall’art. 54 cod. pen., si configura soltanto quando il pericolo di un danno grave alla persona non sia dalla stessa “volontariamente causato né altrimenti evitabile”, requisiti entrambi carenti nel caso di specie.
Sono manifestamente infondati anche il quinto ed il sesto motivo, sulla mancata applicazione degli artt. 131 bis e 62 n. 4 cod. pen.
Era infatti evidente, e la motivazione della Corte d’appello su tali punti non mostra manifesti vizi logici, che il fatto non poteva essere considerato di particolare tenuità, così come il danno patrimoniale cagionato non poteva considerarsi lieve, visto che la persona offesa aveva dovuto riparare la finestra che l’imputato aveva forzato (dato che, altrimenti, non sarebbe entrato nell’abitazione), sostituire il blocchetto della porta di entrata, sistemare l’alloggi e pagare il consumo di acqua e luce.
Inammissibili sono anche il settimo e l’ottavo motivo, in quanto la dosimetria della pena era stata adeguatamente motivata, mentre l’ulteriore censura, conseguente al fatto che per l’art. 633 cod. pen. l’aumento aveva interessato sia la pena detentiva sia la pena pecuniaria, non era stata dedotta con
l’atto di appello e che la pena stessa non poteva definirsi illegale (così da dover valutare d’ufficio il fondamento della doglianza proposta), visto che tale ipotesi si configura soltanto quando la pena eccede i limiti edittali generali previsti dagli artt. 23 e seguenti, nonché 65 e 71 e seguenti, cod. pen., oppure i limiti edittali previsti per le singole fattispecie di reato (Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, Sacchettino, Rv. 283886 che specifica come non rilevi il fatto che i passaggi intermedi che portano alla sua determinazione siano computati in violazione di legge), evenienza che non ricorre nel caso di specie.
Al complessivo rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, in Roma il 1 febbraio 2024.