Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 3443 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 3443 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nata a UDINE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/06/2022 della CORTE APPELLO di TRIESTE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore Generale NOME
PASSAFIUME, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza impugnata è stata pronunziata il 13 giugno 2022 dalla Corte di appello di Trieste, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Udine che aveva condannato NOME per il reato di cui agli artt. 624 e 625, comma 1, n. 5, cod. pen.
Secondo l’impostazione accusatoria, l’imputata, in concorso con altre tre donne, si sarebbe impossessata di svariati prodotti, sottraendoli illegittimamente al titolare dell’esercizio commerciale dove si trovano esposti.
Avverso la sentenza della Corte di appello, l’imputata ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del proprio difensore.
2.1 Con un primo motivo, deduce il vizio di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 625, comma 1, n. 5, cod. pen.
Contesta l’applicazione dell’aggravante, sostenendo che non vi sarebbero prove del fatto che le imputate avessero agito di concerto tra loro.
2.2 Con un secondo motivo, deduce «l’omessa motivazione in ordine al giudizio di bilanciamento delle circostanze ex art. 62 n. 6 cod. pen. e 625 n. 5 cod. pen.».
2.3. Con un terzo motivo, sostiene che la Corte di appello non avrebbe «motivato in ordine alla richiesta della difesa di rivalutazione del giudizio d bilanciarnento delle circostanze».
2.4. Con un quarto motivo, deduce il vizio di motivazione, sostenendo che la Corte di appello non avrebbe motivato «in ordine alla richiesta di concessione delle attenuanti generiche».
AVV_NOTAIO, nell’interesse dell’imputata, ha presentato motivi nuovi.
3.1. Con un primo motivo, rappresenta che il reato contestato, a seguito della c.d. riforma Cartabia, è divenuto procedibile solo a querela di parte.
Tanto premesso, sostiene che, nel caso in esame, non sarebbe sussistente la querela, ma una mera denuncia, presentata, peraltro, da una mera dipendente dell’esercizio commerciale dove era stato commesso il furto.
3.2. Con un secondo motivo, «invoca l’applicazione della causa di estinzione del reato di cui all’art. 162-ter cod. pen.», sostenendo che l’imputata avrebbe integralmente risarcito il danno, in data antecedente alla prima udienza di trattazione del processo.
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorso originario è inammissibile.
2.1. Il primo motivo del ricorso originario è inammissibile.
Esso, infatti, oltre a essere completamente versato in fatto, è privo di specificità, perché meramente reiterativo di identiche doglianze proposte con i motivi di gravame, disattese nella sentenza impugnata con corretta motivazione in diritto e congrua e completa argomentazione in punto di fatto (cfr. pagine 3 e 4 della sentenza impugnata), con le quali la ricorrente non si è effettivamente confrontata. La Corte di appello, in particolare, ha evidenziato che, dal filmato estrapolato dal sistema di videosorveglianza del negozio, emergeva in maniera evidente che le quattro donne avevano agito in accordo tra loro, coordinando le loro azioni al fine della consumazione del reato.
2.2. Il secondo, il terzo e il quarto motivo del ricorso originario – che possono essere trattati congiuntamente, essendo strettamente correlati tra loro – sono inammissibili.
I motivi, invero, sono intrinsecamente generici, non avendo la ricorrente esposto le ragioni in diritto e in fatto che avrebbero dovuto indurre la Corte territoriale a riconoscere le attenuati generiche e a ritenere le attenuanti prevalenti sulle aggravanti.
Va, peraltro, rilevato che anche i corrispondenti motivi di appello presentavano la medesima genericità. Al riguardo, va ribadito che «l’inammissibilità dell’impugnazione non rilevata dal giudice di secondo grado deve essere dichiarata dalla Cassazione, quali che siano state le determinazioni cui detto giudice sia pervenuto nella precedente fase processuale, atteso che, non essendo le cause di inammissibilità soggette a sanatoria, esse devono essere rilevate, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento» (Sez. 3, n. 20356 del 02/12/2020, Rv. 281630).
I motivi aggiunti sono inammissibili.
3.1. Il primo motivo aggiunto è inammissibile per plurime convergenti ragioni.
In primo luogo, l’inammissibilità del ricorso originario, con conseguente mancata istaurazione di un valido rapporto processuale, rende, nel caso in esame, del tutto ininfluente il sopravvenuto mutamento del regime di procedibilità previsto per la fattispecie in esame, che il d.lgs. n. 150 del 2022 ha reso perseguibile a querela (cfr. Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, Salatino, Rv. 273552).
Sotto altro profilo, il motivo è anche manifestamente infondato, atteso che, in atti, vi è copia dell’atto con il quale la responsabile del negozio ha espressamente chiesto che venissero penalmente perseguiti e puniti gli autori del reato. Al riguardo, deve essere ribadito che «ai fini della validil:à di una querela, non è necessario l’uso di formule sacramentali, essendo sufficiente la denuncia dei fatti e la chiara manifestazione della volontà della persona offesa di voler
t
perseguire penalmente i fatti denunciati» (Sez. 4, n. 46994 del 15/11/2011, COGNOME, Rv. 251439; Sez. 5, n. 40148 del 09/09/2015, COGNOME, Rv. 265687).
La querela risulta presentata dalla responsabile del negozio e dunque da un soggetto dotato del potere di presentare l’istanza punitiva, essendo titolare di una posizione di detenzione qualificata dei beni esposti per la vendita nell’esercizio commerciale.
Al riguardo va ricordato che, secondo la giurisprudenza di legittimità, ai fini della procedibilità dei furti commessi all’interno degli esercizi commerciali, ciò che rileva e che il querelante «sia titolare di una posizione di detenzione qualificata del bene, che ne comporti l’autonomo potere di custodia, gestione ed alienazione» (Sez. 5, n. 11968 del 30/01/2018, Piricò, Rv. 272696).
Orientamento che si pone in termini di continuità con i principi affermati in materia dalle Sezioni Unite, che hanno evidenziato che, con l’incriminazione del reato di furto, si tutela il possesso di cose mobili, e che il possesso, a tali fini, no va inteso negli stretti termini di cui all’art. 1140 cod. civ., ma in senso più ampio, comprensivo della detenzione a qualsiasi titolo, quale mera relazione di fatto, qualunque sia la sua origine.
Il bene giuridico protetto dal reato di furto, pertanto, è costituito non solo dal diritto di proprietà e dai diritti reali e personali di godimento, ma anche del possesso, come sopra delineato, inteso nel senso di detenzione qualificata con la cosa, con il conseguente potere di utilizzarla e di disporne.
Non è necessario, dunque, che il detentore abbia anche poteri di rappresentanza del proprietario della cosa, quasi che il diritto di querela debba in ogni caso spettare solo al proprietario o al soggetto che di questo abbia poteri di rappresentanza, discendendone ulteriormente che persona offesa del reato è anche il detentore qualificato.
In questa prospettiva, le Sezioni Unite hanno espressamente affermato che «il bene giuridico protetto dal delitto di furto è individuabile non solo nell proprietà o nei diritti reali personali o di godimento, ma anche nel possesso inteso come relazione di fatto che non richiede la diretta fisica disponibilità – che si configura anche in assenza di un titolo giuridico e persino quando esso si costituisce in modo clandestino o illecito, con la conseguenza che anche al titolare di tale posizione di fatto spetta la qualifica di persona offesa e, cli conseguenza, la legittimazione a proporre querela» (Sez. U, Sentenza n. 40354 del 18/07/2013; COGNOME, Rv. 255975).
Sotto altro profilo, va rilevato che i commessi, nei limiti delineati dagli artt 2210-2213 cod. civ., sono muniti ex lege del potere di rappresentanza dell’imprenditore in relazione agli atti ordinariamente correlati alle operazioni di cui sono incaricati. Poteri tra i quali va ricompreso anche quello di proporre querela
per il furto dei prodotti, che appare correlato alle operazioni di custodia, gestione e alienazione dei prodotti, a cui sono incaricati i commessi.
3.2. Il secondo motivo aggiunto è inammissibile per pllurime convergenti ragioni.
In primo luogo, «l’inammissibilità dei motivi originari del ricorso per cassazione non può essere sanata dalla proposizione di motivi nuovi, atteso che si trasmette a questi ultimi il vizio radicale che inficia i motivi originari l’imprescindibile vincolo di connessione esistente tra gli stessi e considerato anche che deve essere evitato il surrettizio spostamento in avanti dei termini di impugnazione>> (Sez. 5, n. 48044 del 02/07/2019, COGNOME Giacinto, Rv. 277850).
Sotto altro profilo, va rilevato che, nel caso in esame, non risulta che il giudice di merito abbia sentito le parti e valutato la congruità dell’offerta. Al riguardo, deve essere ribadito che «la causa di estinzione del reato di cui all’art. 162-ter cod. pen. è rilevabile in sede di legittimità, nei processi in cui la dichiarazione di apertura del dibattimento sia successiva alla data di entrata in vigore della legge 23 giugno 2017, n. 103, a condizione che la condotta riparatoria sia intervenuta entro il termine massimo rappresentato da detta dichiarazione, e che il giudice di merito abbia sentito le parti e valutato la congruità della somma offerta» (Sez. 4, n. 39304 del 14/10/2021, Schopf Zancler, Rv. 282059).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, che deve determinarsi in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, il 26 ottobre 2023.