Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 45386 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 45386 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a PALERMO il 14/09/1986
avverso la sentenza del 03/07/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Motivi della decisione
NOME COGNOME ricorre, a mezzo del difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo con un primo motivo violazione di legge laddove la Corte territoriale ha ritenuto valida la quereia sporta dal soggetto che si è qualificato quale responsabile del supermercato “RAGIONE_SOCIALE” senza, tuttavia, che vi sia alcun elemento documentale che provi tale qualifica, con il secondo violazione di legge e vizio motivazionale in punto dì mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e con un terzo motivo vizio motivazionale in relazione alla ritenuta recidiva. Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
I motivi sopra richiamati non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e perché, il secondo e il terzo, afferiscono al trattamento punitivo benché sorretto da sufficiente e non illogica motivazione e da adeguato esame delle deduzioni difensive
Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità.
2.1. Quanto alla procedibilità, i giudici del gravame del merito, hanno fatto corretta applicazione della giurisprudenza di questa Corte di legittimità, richiamando, in primis, quanto affermato da Sez. U, Sentenza n. 40354 del 18/07/2013, COGNOME, Rv. 255975 – 01 secondo cui il bene giuridico protetto dai delitto di furto è individuabile non solo nella proprietà o nei diritti reali personali o di godimento, ma anche nel possesso – inteso come relazione di fatto che non richiede la diretta fisica disponibilità – che si configura anche in assenza di un titolo giuridico e persino quando esso si costituisce in modo clandestino o illecito, con la conseguenza che anche al titolare di tale posizione di fatto spetta la qualifica di persona offesa e, d conseguenza, la legittimazione a proporre querela (e perciò, in del principio, le Sezioni Unite hanno riconosciuto al responsabile di un supermercato la legittimazione a proporre querela).
Nel solco di tale pronuncia è stato poi affermato che ai fini della procedibilità di un furto commesso all’interno di un supermercato, il direttore dell’esercizio è legittimato a proporre querela, anche quando non sia munito dei poteri di rappresentanza del proprietario, in quanto titolare di una posizione di detenzione qualificata della cosa che è compresa nel bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice (Sez. 4, n. 8094 del 29/01/2014, COGNOME, Rv. 259289 – 01; Sez. 5, n. 11968
del 30/01/2018, COGNOME Rv. 272696 – 01, relativa al potere di proporre querela da parte del caporeparto di un supermercato; Sez. 5, n. 3736 dei 04/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275342 – 01, relativa alla legittimazione di tal fatta in capo al “responsabile della sicurezza di un supermercato” che è stato ritenuto legittimato a proporre querela, anche quando non sia munito dei poteri di rappresentanza del proprietario, in quanto titolare della detenzione qualificata della cosa in custodia, che è compresa nel bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice; Sez. 4, n. 7193 del 20/12/2023, dep. 2024, P., Rv. 285824 – 01 che ha ritenuto legittimata a proporre querela la cassiera di un supermercato, pur se sprovvista dei poteri di rappresentanza del proprietario, in quanto titolare della detenzione qualificata del bene a scopo di custodia o per l’esercizio del commercio al suo interno).
Si è pure condivisibilmente affermato che il diritto di querela (in quel caso per il delitto di truffa) spetta, indipendentemente dalla formale attribuzione del potere di rappresentanza, anche all’addetto di un esercizio commerciale che si sia personalmente occupato, trovandosi al bancone di vendita, della transazione commerciale con cui si è consumato il reato, assumendo egli, in quel frangente, la responsabilità in prima persona dell’attività del negozio e rivestendo pertanto la titolarità di fatto dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice (Sez. 2, n. 50725 del 04/10/2016 COGNOME, Rv. 26838201).
Nella specie, si ricorda in sentenza, la querela è stata presentata da NOME COGNOME, qualificatosi per “responsabile ” del supermercato RAGIONE_SOCIALE derubato, e ciò è stato correttamente ritenuto ex se sufficiente ad investirlo del potere di presentare querela, sulla scorta dei sopra richiamati principi e di quello ricordato in sentenza secondo cui il bene giuridico protetto da] reato di furto è costituito non solo dalla proprietà e dai diritti reali e personali di godimento, ma anche dal possesso della res, inteso come detenzione qualificata della stessa, ovvero come una autonoma relazione con questa che implica il potere di utilizzarla, gestirla o disporne. Questa relazione può configurarsi anche senza un titolo giuridico. Ne consegue che in caso di furto di una cosa in un negozio la persona offesa legittimata a proporre querela è anche il responsabile dell’esercizio stesso, quando ha autonomo potere di custodire, gestire, alienare la merce (cfr. Sez. fer. n.37765 del 31/07/2018, Bozkurt, non mass.).
2.2. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso.
La Corte territoriale ha dato atto con motivazione iogica e del tutto congrua di avere valutato il curriculum criminale dell’odierno ricorrente, la cui personalità è quella di un soggetto gravato da plurime e recentissime condanne; in specie per reati contro il patrimonio, che abbracciano quasi due lustri, in quanto la prima condanna per estorsione risale ai 2013 e l’ultima condanna per oltraggio e minaccia a pubblico ufficiale è del 2022. Viene evidenziato in sentenza, inoltre, che dai
procedimenti penali pendenti, dalle sommarie informazioni rese da NOME, dipendente del supermercato LIDL, che ha riferito dei numerosi furti commessi dall’imputato e delle minacce di morte ricevute se avesse sporto denuncia, dall’assenza di concreti sintomi di resipiscenza e dalla ragionevole presunzione che egli tragga dal crimine contro il patrimonio la fonte principale del suo sostentamento, si ricava un giudizio di elevata, preoccupante ed incontenibile pericolosità sociale, che rende concreto, immanente ed altissimo il pericolo di ricaduta nel crimine, attesa la “coerenza” dei precedenti rispetto al fatto per cui è giudizio e la razionale possibilità di ritenere quest’ultimo lo sviluppo e la prosecuzione di un processo criminale avviato da anni quale testimoniato nella sua consistenza e “qualità” proprio dalle precedenti condanne.
Tali rilievi legittimano perciò l’applicazione della aggravante, in conformità ai principi espressi dalla Corte costituzionale (cfr., ex plu:imis, 129 del 14/06/2007 e n. 171 del 29/052009) e dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. U. n. 35738 del 27/05/2010, Calibò).
I giudici del gravame dcl merito hanno, dunque, operato una concreta verifica in ordine alla sussistenza degli elementi indicativi di una maggiore capacità a delinquere del reo, di talché la sentenza impugnata non presenta i denunciati profili di censura.
Va ricordato, infatti, che secondo il dictum di questa Corte di legittimità, l’applicazione dell’aumento di pena per effetto della recidiva rientra nell’esercizio dei poteri discrezionali del giudice, su cui incombe solo l’onere di fornire adeguata motivazione, con particolare riguardo all’apprezzamento dell’idoneità della nuova condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggior capacità a delinquere del reo che giustifichi l’aumento di pena (Cfr. Corte cost. n. 185 del 2015 nonché, ex plurimis, Sez. 2, n. 50146 del 12/11/2015, COGNOME ed altro, Rv. 265684).
2.3. Manifestamente infondato è anche il motivo afferente alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Il ricorrente in concreto non si confronta adeguatamente con la motivazione della Corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità.
La motivazione nel provvedimento impugnato è logica, coerente e corretta in punto di diritto.
I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto del loro diniego di concessione delle circostanze attenuanti generiche valutando, negativamente per l’odierno ricorrente, il fatto che nessun concreto elemento di valore si trae dal processo per giustificare la loro concessione, così come osservato dal Tribunale, alla luce non soltanto della sua biografia criminale ma anche dell’assenza di qualsiasi ravvedimento, che è ulteriormente avvalorato dalle numerose trasgressioni
al regime cautelare degli arresti domiciliari commesse nel corso del procedimento che hanno indotto in diverse occasioni il Tribunale, prima, e la Corte, poi, a sostituire la misura degli arresti domiciliari e/o nella comunità di recupero con la massima misura custodiale.
Il provvedimento impugnato appare perciò collocarsi nell’alveo del costante dictum di questa Corte di legittimità, che ha più volte chiarito che, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione Ii ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dag atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (così Sez. 3, n. 23055 del 23/4/2013, Banic e altro, Rv. 256172, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto giustificato il diniego delle attenuanti generiche motivato con esclusivo riferimento agli specifici e reiterati precedenti dell’imputato, nonché al suo negativo comportamento processuale).
Va ricordato che questa Corte di legittimità ha anche chiarito che, con un indirizzo assolutamente prevalente, che è legittima in tali casi la doppia valutazione dello stesso elemento (ad esempio la gravità della condotta) purché operata a fini diversi, come possono essere il riconoscimento del fatto di lieve entità, la determinazione della pena base, o la concessione ed il diniego delle circostanze attenuanti generiche (cfr. ex multis Sez. 2, n. 24995 del 14/5/2015, Rv. 264378; Sez. 2, n. 933 dell’11/10/2013 dep. il 2014, Rv. 258011; Sez. 4, n. 35930 del 27/6/2002, Rv. 222351
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 21/11/2024