Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 998 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 998 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 15/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOMENOME nata a MODENA il 29/03/1998
avverso la sentenza del 19/02/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del PG, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, previo assorbimento della fattispecie tentata in quella consumata;
letta la memoria dell’avv. NOME COGNOME del foro di Modena, che ha concluso per l’accoglimento dei motivi di ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 19 febbraio 2024, la Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza emessa il 12 aprile 2022 dal Tribunale di Modena, in composizione monocratica, con la quale, all’esito di giudizio abbreviato, NOME COGNOME è stata ritenuta responsabile dei reati di furto di cui ai capi a) e b) della imputazione, commessi prelevando prodotti dagli scaffali di alcuni esercizi commerciali siti in Soliera (MO).
In favore della COGNOME sono state altresì riconosciute le circostanze attenuanti generiche, in regime di equivalenza con le aggravanti contestate.
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, lamentando / in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
2.1. Con il primo motivo si deduce violazione della legge penale sostanziale, avendo la Corte erroneamente ritenuto la legittimazione di NOME COGNOME a proporre la querela, sebbene si trattasse solo del soggetto posto a capo di un reparto, per giunta diverso da quello dal quale la ricorrente ebbe a sottrarre i beni.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione della legge penale sostanziale, avendo i giudici di merito escluso l’assorbimento delle due condotte in un’unica fattispecie di reato, ovvero il furto tentato di cui al capo a).
Si osserva, sul punto, che le condotte furono tenute senza soluzione di continuità, in un unico contesto spazio-temporale.
Inoltre, dalla circostanza per cui il possesso della refurtiva rimase in uno “stato precario” (la merce fu caricata nel bagagliaio dell’auto, dove poi fu rinvenuta) i giudici di merito avrebbero dovuto desumere che l’unica condotta era rimasta allo stadio del mero tentativo.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione della legge penale sostanziale, in quanto i giudici di merito hanno escluso l’attenuante di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen., senza considerare che il risarcimento – complessivamente pari ad euro 300,00 – doveva certamente considerarsi integrale, tenuto conto della concomitante restituzione della merce sottratta.
In ogni caso, nel valutare la congruità del risarcimento la Corte territoriale avrebbe dovuto tenere in considerazione sia le rispettive potenzialità economiche delle parti, sia la concreta volontà riparatoria manifestata attraverso la somma offerta.
2.4. Con il quarto motivo si deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 69 cod. pen..
Osserva la ricorrente che la Corte territoriale ha ritenuto di non poter concedere le attenuanti generiche in regime di prevalenza, sulla scorta di una motivazione che non tiene in alcuna considerazione gli indicatori evidenziati con l’atto di appello (giovane età; confessione; risarcimento del danno).
2.5. Con il quinto motivo si lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale, non avendo la Corte offerto risposta alcuna alla richiesta di applicazione della sanzione sostitutiva di cui all’art. 20-bis cod. pen..
Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione scritta, e le parti hanno formulato, per iscritto, le conclusioni come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Osserva innanzitutto il Collegio che, in presenza di una doppia conforme, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo e le motivazioni dei due provvedimenti si integrano a formare un corpo unico, con il conseguente obbligo per il ricorrente di confrontarsi in maniera puntuale con i contenuti delle due sentenze (Sez. 4, n. 26800 del 26/06/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 – 01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595 – 01; Sez. 1, n. 8868 del 26/6/2000, COGNOME, Rv. 216906 – 01; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, COGNOME, Rv. 209145 – 01).
2.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
La Corte territoriale, in replica alla analoga doglianza posta con i motivi di appello, ha ritenuto che la querela in atti, presentata dal capo reparto, fosse valida condizione di procedibilità, in quanto proveniente da soggetto titolare di una relazione di fatto con la cosa sottratta.
Occorre prendere le mosse da quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con riguardo alla individuazione del bene giuridico protetto dal reato di furto.
Esso è costituito non solo dalla proprietà e dai diritti reali e personali di godimento, ma anche dal possesso, inteso come detenzione qualificata, ovvero autonoma relazione di fatto con la cosa, che implica il potere di utilizzarla, gestirla o disporne. Tale relazione di fatto con il bene non ne richiede necessariamente la diretta, fisica disponibilità e si può configurare anche in assenza di un titolo
giuridico. Ne discende che, in caso di furto di una cosa esistente in un esercizio commerciale, persona offesa legittimata alla proposizione della querela è anche il responsabile dell’esercizio stesso, quando abbia l’autonomo potere di custodire, gestire, alienare la merce.
In conseguenza, è stata ritenuta rituale la querela proposta dal responsabile di un grande esercizio commerciale in relazione alla sottrazione di merce esposta per la vendita (cfr. Sez. U. n. 40354 del 18/7/2013, COGNOME, Rv. 255975).
Sulla base dello stesso percorso argomentativo, e già prima dell’intervento delle Sezioni Unite, la Corte di cassazione aveva ritenuto valida la querela presentata dal commesso (Sez. 4, n. 37932 del 28/09/2010, COGNOME, Rv. 248451; principio ripreso, successivamente, da Sez. 4, n. 2309 del 16/12/2022, dep. 2023, Melis, non mass.).
Sempre in applicazione di tali principi, la giurisprudenza successiva ha poi chiarito che pure il responsabile della sicurezza è legittimato a proporre querela, anche quando non sia munito dei poteri di rappresentanza del proprietario, in quanto titolare della detenzione qualificata della cosa in custodia, che è compresa nel bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice (Sez. 2, n. 38255 del 11/09/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 5 n. 3736 del 4/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275342).
Parimenti, deve ritenersi legittimato il custode di uno stabilimento, in quanto titolare di una posizione di detenzione materiale qualificata della cosa (Sez. 5 in. 55025 del 26/9/2016, Mocanu, Rv. 268906); così pure la cassiera, anche !3e sprovvista dei poteri di rappresentanza del proprietario (Sez. 4, n. 7193 del 20/12/2023, dep. 2024, Rv. 285824 – 01), o il capo reparto di un supermercato, ove sia titolare di una posizione di detenzione qualificata del bene, che ne comporti l’autonomo potere di custodia, gestione ed alienazione (Sez. 5, n. 11968 del 30/1/2018, COGNOME, Rv. 272696).
In altri termini, ciò che costituisce in capo a tali soggetti il diritto a propo la querela è la relazione qualificata degli stessi rispetto ai beni posti in vendita, n termini sopra chiariti: tali soggetti, infatti, subiscono un pregiudizio, meritevole tutela, proprio dalla sottrazione del bene loro affidato.
Pertanto, va ribadito il principio per il quale il bene giuridico protetto da delitto di furto è individuabile non solo nella proprietà e nel possesso, ma anche nei diritti personali o di godimento, con la conseguenza che il titolare di una detenzione qualificata sui beni è legittimato a proporre querela.
Nel caso in esame la querela è stata presentata dal capo del reparto dedicato alla gastronomia, certamente titolare di una detenzione qualificata, e quindi c:la soggetto legittimato.
Si evidenzia, al riguardo, che la ricorrente non si confronta con l’affermazione della Corte territoriale secondo cui i prodotti ittici surgelati di cui al capo venivano sottratti da un banco che faceva comunque parte del reparto gastronomia (a cui capo vi era la querelante); inoltre, la condotta tentata di cui al capo a) aveva avuto ad oggetto beni custoditi ed esposti in vendita nello stesso reparto (pp. 1 – 3 sentenza ricorsa).
2.2. Il secondo motivo è infondato.
La condotta di furto contestata al capo b) deve certamente ritenersi consumata, come correttamente ritenuto dai giudici di merito: la ricorrente e la complice, dopo aver asportato delle placche antitaccheggio, e superato le casse, uscivano dai locali del supermercato e caricavano sulla loro autovettura i beni trafugati, sui quali, quindi, acquisivano un dominio esclusivo, sia pur per un ristretto arco di tempo.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che il delitto di furto si perfeziona nel momento in cui la refurtiva passa sotto il dominio esclusivo dell’agente, essendo irrilevanti la durata del possesso e la circostanza che la condotta di appropriazione sia scoperta e frustrata nello stesso luogo di commissione del reato (Sez. 5, n. 36022 del 14/07/2022, Borisov, Rv. 283649 – 01), e ciò pure se il dominio esclusivo si consolida per un ristretto arco di tempo, anche se nello stesso luogo in cui è avvenuta la sottrazione (Sez. 5, n. 33605 del 17/06/2022, T., Rv. 283544 – 01).
Il motivo è infondato anche in relazione al dedotto assorbimento della condotta di cui al capo a) in quella di cui al capo b).
Come accertato dalle conformi decisioni di merito, quanto sottratto in occasione della condotta di cui al capo b) veniva portato all’esterno del supermercato, nel parcheggio, per essere occultato nel bagagliaio della vettura in uso alla ricorrente ed alla correa.
Successivamente, le due tornavano nel supermercato e tentavano di impossessarsi di merce esposta in vendita nel reparto gastronomia, non riuscendovi per l’intervento del personale.
I giudici di merito, quindi, hanno correttamente escluso che si fosse in presenza di un’unica condotta, poiché non collocata in un medesimo contesto temporale e spaziale.
Hanno così motivatamente escluso che potesse trovare applicazione il costante insegnamento di legittimità secondo il quale qualora l’agente, operando in un medesimo contesto temporale e spaziale, si impossessi di una parte dei beni e non riesca, per cause indipendenti dalla sua volontà, ad impossessarsi di altri esistenti nello stesso luogo, si realizza un solo reato consumato, non potendosi ravvisare nel fatto né l’ipotesi del tentativo né quella di furto consumato in
concorso con il tentativo (Sez. 5, n. 32786 del 25/06/2013, COGNOME, Rv. 257256 – 01, in un caso in cui i ladri erano stati colti dai úrabinieri mentre stavano ancora segando una ringhiera, mentre parte della refurtiva era stata rimossa ed accatastata a parte, pronta per essere asportata; conf., Sez. 5, n. 1985 del 7/2/1997, COGNOME, Rv. 208667 -01, in un caso in cui l’agente si era impossessato di alcune cose all’interno di una autovettura nella quale era penetrato, ed era stato colto sul fatto mentre tentava di impossessarsi di altri oggetti ivi esistenti; Sez. 2, n. 2185 del 03/12/1975, dep. 1976, Salvatore, Rv. 132353 – 01).
2.3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
I giudici di merito, sottolineando come la merce sottratta, quantunque recuperata dalla polizia giudiziaria, non potesse più essere rimessa in vendita, hanno ritenuto insufficiente il risarcimento di euro 300, poiché il valore della merce ammontava ad euro 440; inoltre, vi era stata la manomissione delle placche antitacchegg io.
Risarcimento che è stato comunque valutato ai sensi dell’art. 62-bis cod. pen..
Il ricorso, invece, non indica le ragioni per le quali il risarcimento dovrebbe, nonostante ciò, ritenersi integrale, richiamando piuttosto l’attenzione sulle condizioni economiche della COGNOME.
Del resto, è principio consolidato quello secondo cui l’attenuante del risarcimento del danno di cui all’art. 62, comma primo, n. 6, prima parte, cod. pen. esige esclusivamente che la riparazione del danno – mediante le restituzioni o il risarcimento – sia integrale e avvenga prima del giudizio, non richiedendo, invece, che l’attività del reo sia anche spontanea (come nella seconda ipotesi della stessa disposizione), giacché è sufficiente che si tratti di attività volontari (Sez. 2 , n. 46758 del 24/11/2021, S., Rv. 282321 – 01; Sez. 5, n. 57573 del 31/10/2017, P., Rv. 271872 – 01).
2.4. Il quarto motivo è inammissibile.
Quanto alla invocata prevalenza delle attenuanti generiche, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno chiarito che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, 245931-01; nello stesso senso, Sez. 4, n. 43385 del 13/11/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 5, n. 43684 del 01/10/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 41101
del 13/09/2024, Spiaggia, non mass.; Sez. 4, n. 28651 del 26/06/2024, Costa, non mass.; Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, COGNOME, Rv. 270450-01).
Nel caso di specie, i giudici di merito (p. 6 sentenza di primo grado, p. 3 sentenza ricorsa) hanno motivato il giudizio di equivalenza con riguardo al danno arrecato, alla intensità del dolo, alla biografia penale della ricorrente ed infin all’esito negativo della messa alla prova.
Così facendo, i giudici hanno dimostrato di aver preso in considerazione e valutato gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen., ed in particolare sia caratteristiche della condotta, sia l’intensità del dolo, sia la capacità a delinquere, pervenendo alla conclusione, sorretta da argomentazioni prive di incoerenze e di illogicità, tanto meno manifeste, che la soluzione dell’equivalenza era la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena da irrogare nel caso concreto (in termini, Sez. 2, Spiaggia, cit.).
D’altra parte, sempre secondo la giurisprudenza di legittimità, non incorre nel vizio di motivazione il giudice di appello che, nel formulare il giudizio d comparazione, dimostri di avere considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella norma dell’art. 133 cod. pen. e gli altri dati significativi, apprezza come assorbenti o prevalenti su quelli di segno opposto (Sez. 2, n. 3610 del 15/01/2014, COGNOME, Rv. 260415-01; in senso analogo, Sez. 1, n. 17494 del 18/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279.181-02, relativa a un’ipotesi in cui il giudice di appello aveva confermato il giudizio di equivalenza fra le circostanze operato dal giudice di primo grado).
2.5. Il quinto ed ultimo motivo è infondato.
Osserva il Collegio che il giudice, anche a seguito delle modifiche introdotte dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, è vincolato nell’esercizio del suo potere discrezionale sotteso all’applicazion4 kéne sostitutive, alla valutazione dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 3, n. 9708 del 16/02/2024, Tornese, Rv. 286031 – 01).
Questo vuol dire che il giudice deve effettuare una valutazione complessiva che tenga conto tanto dei criteri concernenti la gravità del reato, quanto di quelli relativi alla capacità a delinquere, e ciò pur senza dover esaminare tutti i parametri contemplati nella suddetta previsione, potendo la sua discrezionalità essere esercitata motivando sugli aspetti ritenuti decisivi in proposito, quali l’inefficaci della sanzione (Sez. 5, n. 10941 del 26/01/2011, Orabona, Rv. 249717).
Una simile motivazione può anche trarsi, implicitamente, dal testo del provvedimento impugnato (per la possibilità di una motivazione anche solo implicita, Sez. 6, n. 10614 del 30/01/2024, Latini, non mass.).
Nella specie la decisione impugnata, con il richiamo ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., ha implicitamente ritenuto la sanzione sostitutiva inidonea alla
rieducazione del reo, « ad assicurare la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati, sottolineando le modalità del fatto, l’esito negativo della messa al prova (e quindi l’assenza di ogni “volontà di risocializzazione”), e la spiccata capacità a delinquere.
In tal modo, sia pur implicitamente, i giudici di merito hanno escluso che l’invocata sostituzione possa ritenersi oggettivamente utile alla rieducazione del condannato e ad assicurare la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati, secondo quanto dispone l’art. 58 della I. 24 novembre 1981, n. 689.
Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 15 novembre 2024
Il Consi liere estensore
I Presidenté ,