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Querela per appropriazione indebita: quando scade?

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso per appropriazione indebita, confermando un principio fondamentale: il termine per la querela per appropriazione indebita non decorre dalla consumazione del reato, ma dal momento in cui la vittima ne ha conoscenza certa. L’ordinanza rigetta anche la richiesta di attenuanti generiche, ritenendo sufficiente la motivazione basata su elementi negativi prevalenti.

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Pubblicato il 19 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Querela per appropriazione indebita: la Cassazione fa chiarezza sul termine

Quando si subisce un reato, agire tempestivamente è fondamentale. Tuttavia, stabilire il momento esatto da cui decorre il termine per sporgere denuncia può essere complesso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale in materia di querela per appropriazione indebita, chiarendo che il tempo per agire non parte dal momento del fatto, ma da quando la vittima ha piena e certa conoscenza dell’accaduto. Analizziamo questa importante decisione.

Il caso in esame: un ricorso contro la condanna

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato contro una sentenza della Corte d’Appello che lo condannava per il reato di appropriazione indebita, previsto dall’articolo 646 del codice penale. Il ricorrente sollevava due principali motivi di contestazione:
1. Una presunta violazione di legge riguardo ai termini per la presentazione della querela (art. 124 c.p.).
2. Il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, che avrebbero potuto comportare una riduzione della pena.

La questione del termine per la querela per appropriazione indebita

Il punto centrale del ricorso riguardava l’interpretazione del momento da cui far decorrere i tre mesi previsti dalla legge per sporgere querela. Secondo la difesa, il termine avrebbe dovuto iniziare a contare dal momento della consumazione del reato. La Cassazione, tuttavia, ha respinto categoricamente questa tesi, definendola ‘manifestamente infondata’ e in ‘palese contrasto’ con la normativa e la giurisprudenza consolidata.

La Corte ha riaffermato che il termine per la presentazione della querela decorre non dal momento in cui il reato si è perfezionato, ma da quello in cui il titolare del diritto ha avuto ‘conoscenza certa, sulla base di elementi seri e concreti, del fatto-reato nella sua dimensione oggettiva e soggettiva’. Nel caso specifico, i giudici di merito avevano adeguatamente motivato che la consapevolezza della vittima era sorta solo a seguito della scadenza del termine per la restituzione del bene, momento in cui si era concretizzata l’interversione del possesso.

Il diniego delle attenuanti generiche

Anche il secondo motivo di ricorso, relativo al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, è stato giudicato infondato. La Corte ha ricordato che, per motivare il diniego, non è necessario che il giudice analizzi ogni singolo elemento favorevole o sfavorevole emerso dagli atti. È invece sufficiente che fornisca una motivazione congrua, basandosi sugli elementi negativi ritenuti decisivi o sulla semplice assenza di elementi positivi meritevoli di considerazione. Nel caso di specie, i giudici d’appello avevano ampiamente spiegato le ragioni del diniego, con un’argomentazione ritenuta logica e priva di vizi.

Le motivazioni della Cassazione

Le motivazioni della Corte Suprema si fondano su un solido orientamento giurisprudenziale. Per quanto riguarda la decorrenza del termine per la querela, viene data prevalenza al principio della ‘conoscenza effettiva’ da parte della persona offesa. Questo tutela la vittima, che potrebbe non essere immediatamente a conoscenza del reato subito. Per quanto concerne le attenuanti, la Cassazione conferma l’ampia discrezionalità del giudice di merito, il cui operato è censurabile solo in caso di motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, vizio non riscontrato nel provvedimento impugnato.

Le conclusioni e le implicazioni pratiche

L’ordinanza si conclude con la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. La decisione ha importanti implicazioni pratiche: rafforza la tutela della vittima del reato di appropriazione indebita, garantendole di poter esercitare il proprio diritto di querela a partire dal momento in cui ha piena consapevolezza del danno subito. Inoltre, ribadisce che un ricorso in Cassazione deve basarsi su vizi concreti e non su mere reinterpretazioni di principi giuridici ormai consolidati.

Da quale momento decorre il termine per presentare una querela per appropriazione indebita?
Il termine di tre mesi per presentare la querela non decorre dal momento in cui il reato è stato commesso, ma dal momento in cui la persona offesa ha acquisito una conoscenza certa e basata su elementi concreti del fatto-reato, sia nei suoi aspetti oggettivi che soggettivi.

Per negare le attenuanti generiche, il giudice deve analizzare tutti gli elementi a favore e contro l’imputato?
No. Secondo la Corte, per motivare il diniego delle attenuanti generiche è sufficiente che il giudice faccia riferimento agli elementi negativi ritenuti decisivi o all’assenza di elementi positivi, senza dover esaminare e confutare ogni singolo argomento difensivo.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la Corte non esamina il merito della questione. Il provvedimento impugnato diventa definitivo e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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