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Querela orale: quando il verbale è valido per punire?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4320/2024, chiarisce che il solo titolo “verbale di ricezione di querela orale” non basta a integrare una valida querela se dal contenuto dell’atto non emerge, neanche implicitamente, la volontà punitiva della persona offesa. Il caso riguardava un’improcedibilità per difetto di querela in un procedimento per furto, decisione confermata dalla Suprema Corte in quanto il contesto e il contenuto del verbale non manifestavano alcuna intenzione di perseguire l’autore del reato.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Querela Orale: il Titolo del Verbale Non Basta a Manifestare la Volontà di Punire

La presentazione di una querela orale e la sua corretta formalizzazione rappresentano un momento cruciale per l’avvio dell’azione penale per numerosi reati. Ma cosa succede se l’atto redatto dalle forze dell’ordine, pur intitolato “verbale di ricezione di querela orale”, non contiene una chiara espressione della volontà della vittima di punire il colpevole? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4320 del 2024, offre un importante chiarimento, sottolineando che il formalismo non può prevalere sulla sostanza.

I Fatti del Caso: un Verbale dal Titolo Ambigua

Il caso trae origine da una decisione del Tribunale di Napoli Nord, che aveva dichiarato l’improcedibilità nei confronti di un imputato per il reato di furto aggravato. La ragione? La mancanza di una valida querela. La persona offesa si era infatti limitata a sporgere un atto che, secondo il giudice, non esprimeva in alcun modo la volontà di vedere punito il responsabile.

Contro questa decisione, il Procuratore della Repubblica ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che il titolo del documento, “verbale di ricezione di querela orale”, fosse di per sé sufficiente a dimostrare l’intento punitivo della vittima. Secondo la Procura, tale dicitura, unita al principio del favor querelae (che in caso di dubbio favorisce la validità della querela), avrebbe dovuto portare a una conclusione diversa.

La Questione Giuridica sulla Querela Orale

Il fulcro della questione giuridica risiede nella corretta interpretazione della volontà della persona offesa. La legge non richiede formule sacramentali o frasi specifiche per esprimere la volontà di punire. Tuttavia, questa volontà deve essere inequivocabilmente desumibile dall’atto di querela, sia in forma esplicita che implicita.

Il ricorrente ha tentato di far leva su un precedente giurisprudenziale in cui la Suprema Corte aveva ritenuto valida una querela basata su un verbale con un’intestazione simile. La Corte di Cassazione, nell’analizzare il ricorso, ha dovuto quindi stabilire se il solo titolo di un atto possa bastare e in quali contesti.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. I giudici hanno chiarito un punto fondamentale: la valutazione della volontà punitiva non può prescindere dal contesto e, soprattutto, dal contenuto effettivo delle dichiarazioni rese dalla persona offesa.

La Corte ha operato una distinzione cruciale con il precedente citato dal Pubblico Ministero. In quel caso, la querela orale era stata raccolta in un contesto di arresto in flagranza di reato. La vittima aveva richiesto l’intervento dei Carabinieri e le sue dichiarazioni avevano portato direttamente all’arresto del colpevole. In una simile situazione, era logico e coerente desumere la volontà di punire dal comportamento e dalle dichiarazioni della persona offesa, anche in assenza di una formula esplicita.

Nel caso in esame, invece, la situazione era radicalmente diversa. Non vi era stato alcun arresto in flagranza. Il verbale, sebbene intitolato come ricezione di querela orale, conteneva semplicemente la narrazione dei fatti senza alcun elemento, neanche sintomatico, che potesse far trasparire l’intenzione della vittima di avviare un procedimento penale per ottenere la punizione del responsabile. L’intestazione dell’atto, potenzialmente un modulo prestampato dalla polizia giudiziaria, non poteva da sola supplire a una totale assenza di volontà punitiva nel corpo delle dichiarazioni.

Conclusioni: Cosa Implica questa Sentenza?

La decisione della Cassazione ribadisce un principio di sostanza sulla forma. Per la validità di una querela, non è sufficiente il nomen iuris attribuito all’atto, ma è indispensabile che la volontà di punire emerga in modo chiaro dal suo contenuto complessivo e dal contesto in cui è stato formato. Un verbale che si limita a una mera esposizione dei fatti, senza alcuna richiesta di intervento sanzionatorio, non costituisce una valida condizione di procedibilità, con la conseguenza che l’azione penale non può essere esercitata. Questa sentenza serve da monito sia per le persone offese, che devono manifestare chiaramente le loro intenzioni, sia per gli operatori di polizia giudiziaria, che devono assicurarsi di verbalizzare correttamente la volontà punitiva per evitare future declaratorie di improcedibilità.

Il titolo “verbale di ricezione di querela orale” su un atto è sufficiente per renderlo una querela valida?
No, secondo la Corte, il solo titolo non è sufficiente. È necessario che dal contenuto dell’atto, anche implicitamente, emerga la volontà della persona offesa di perseguire penalmente il responsabile del reato.

In quali circostanze un atto con quel titolo è stato considerato valido in passato?
La Corte ricorda un precedente in cui un atto simile è stato ritenuto valido, ma in un contesto molto specifico: un arresto in flagranza. In quel caso, la richiesta di intervento delle forze dell’ordine e le dichiarazioni che hanno portato all’arresto rendevano evidente la volontà di punire.

Cosa deve contenere una querela per essere sicuri che esprima la volontà di punire?
Anche se non sono richieste formule sacramentali, è fondamentale che l’atto contenga una manifestazione, esplicita o implicita, della volontà che si proceda penalmente contro l’autore del fatto. La semplice narrazione dei fatti, senza alcuna richiesta di punizione, potrebbe non essere considerata sufficiente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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