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Querela orale: come si manifesta la volontà di punire?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 38232/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per tentato furto aggravato. L’imputato sosteneva l’invalidità della querela orale presentata dalla persona offesa, ritenendo che una formula standard non esprimesse una chiara volontà di punire. La Corte ha ribadito che, in base al principio del “favor querelae”, non sono necessarie formule sacramentali. La volontà punitiva può essere desunta dall’intero contesto dell’atto, e la frase “sporgo formale denuncia/querela” è stata ritenuta una manifestazione sufficiente e chiara di tale intenzione, confermando la procedibilità dell’azione penale.

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Pubblicato il 24 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Querela Orale: Quando la Volontà di Punire è Valida?

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 38232 del 2024, offre un importante chiarimento sulla validità della querela orale e sui criteri per interpretare la volontà punitiva della persona offesa. A seguito della Riforma Cartabia, che ha ampliato il novero dei reati procedibili a querela, comprendere quando una denuncia possa essere considerata una valida manifestazione di volontà è diventato cruciale. La Corte, nel caso di specie, ha stabilito che non servono formule complesse o specifiche: ciò che conta è l’intenzione, anche se espressa in modo semplice e standardizzato.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un uomo condannato in primo e secondo grado per tentato furto aggravato. L’imputato aveva cercato di sottrarre un giubbotto del valore di circa 50 euro da un grande magazzino, rimuovendo le placche antitaccheggio. Il tentativo non era andato a buon fine per cause indipendenti dalla sua volontà. A seguito del fatto, la persona offesa, rappresentante del negozio, aveva sporto una denuncia orale presso le Forze dell’Ordine.

Il difensore dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su un unico motivo: la mancanza di una valida condizione di procedibilità. Secondo la difesa, il verbale di denuncia orale non conteneva una chiara ed esplicita manifestazione della volontà di punire il responsabile. La dichiarazione si concludeva con la frase di rito “Per quanto sopra, sporgo formale denuncia/querela nei confronti del responsabile”, ritenuta dalla difesa una mera formula di stile precompilata e, quindi, inidonea a integrare una valida querela.

La questione della validità della querela orale

La questione giuridica centrale è se una formula standardizzata, presente in un verbale di ricezione di denuncia, sia sufficiente a manifestare in modo inequivocabile la volontà punitiva richiesta dalla legge per la procedibilità dell’azione penale. La difesa sosteneva che tale espressione fosse troppo generica per comprovare l’effettiva intenzione della persona offesa di chiedere la punizione del colpevole, invocando di conseguenza una pronuncia di non doversi procedere per mancanza di querela.

Le motivazioni della Corte di Cassazione sulla querela orale

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, pertanto, inammissibile, fornendo una motivazione articolata su due livelli.

In primo luogo, ha rilevato un vizio procedurale: il ricorso si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già presentate e respinte dalla Corte d’Appello, senza confrontarsi criticamente con le motivazioni della sentenza impugnata. Questo, secondo un orientamento consolidato, è di per sé causa di inammissibilità.

Nel merito, la Corte ha smontato la tesi difensiva. Ha ribadito che la querela è un negozio giuridico e, come tale, deve essere interpretata secondo le norme del codice civile, ricercando l’effettiva intenzione del dichiarante. Non sono richieste “formule sacramentali”. La volontà di punire deve emergere, ma la sua sussistenza può essere riconosciuta dal giudice anche da atti che non la contengono in modo esplicito.

In questo contesto, vige il principio del “favor querelae”: nel dubbio, l’interpretazione deve essere quella che conserva l’efficacia dell’atto. La Corte ha sottolineato come la frase “sporgo formale denuncia/querela” dopo aver esposto dettagliatamente i fatti, rappresenti una manifestazione di sicura istanza punitiva. Inoltre, ha richiamato una precedente pronuncia (n. 9968/2022) secondo cui, in caso di querela presentata oralmente alla polizia giudiziaria dopo un arresto in flagranza, la volontà di perseguire l’autore del reato è desumibile in modo univoco dalla stessa qualificazione dell’atto come “verbale di ricezione di querela orale”.

Le conclusioni

La decisione della Cassazione conferma un approccio sostanzialista e non formalistico all’istituto della querela. In un sistema processuale sempre più orientato, per volontà della Riforma Cartabia, a valorizzare la volontà della persona offesa, pretendere formule specifiche o eccessivamente elaborate sarebbe contrario allo spirito della legge. La sentenza stabilisce un principio chiaro: una dichiarazione con cui, dopo aver narrato un reato, si afferma di sporgere “denuncia/querela” è più che sufficiente a integrare la necessaria condizione di procedibilità. Per gli operatori del diritto e per i cittadini, questo significa che la giustizia penale dà peso alla sostanza dell’intenzione piuttosto che a rigidi formalismi, garantendo tutela alla vittima che si rivolge alle autorità per denunciare un fatto illecito.

Una frase standard come “sporgo formale denuncia/querela” è sufficiente per la validità della querela?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, questa espressione, inserita dopo la descrizione dei fatti, rappresenta una manifestazione di sicura istanza punitiva e soddisfa pienamente la condizione di procedibilità.

Come deve essere interpretato un atto di querela in caso di dubbi sulla volontà di punire?
L’atto deve essere interpretato secondo il principio del “favor querelae”. Ciò significa che, in situazioni di incertezza, si deve preferire l’interpretazione che attribuisce all’atto l’effetto di una valida querela, piuttosto che quella che lo priverebbe di ogni efficacia.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione si limita a ripetere i motivi già presentati in appello?
Un ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi già prospettati e motivatamente respinti nel giudizio d’appello, senza confrontarsi criticamente con le argomentazioni della sentenza impugnata, è considerato inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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