Querela: La Volontà di Punire Prevale sulla Formula Esplicita
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia di querela: la validità dell’atto non dipende dall’uso di formule sacramentali, ma dalla chiara manifestazione della volontà di perseguire penalmente l’autore del reato. Questo caso, che ha visto coinvolta un’imputata per tentato furto aggravato, offre spunti importanti per comprendere come la giustizia interpreti la volontà della persona offesa.
Il Caso in Analisi: un Tentato Furto e una Querela Contestata
I fatti risalgono a un episodio di tentato furto commesso ai danni di un noto esercizio commerciale. L’imputata, agendo in concorso con un minorenne, veniva ritenuta responsabile del reato e condannata nei primi due gradi di giudizio. La difesa, tuttavia, decideva di ricorrere in Cassazione sollevando un’unica, cruciale questione di diritto: la validità della querela sporta dal legale rappresentante dell’azienda.
Secondo il ricorrente, l’atto di denuncia-querela, pur descrivendo dettagliatamente i fatti, non conteneva un’esplicita e formale richiesta di punizione nei confronti dell’autrice del reato, elemento considerato essenziale per la procedibilità dell’azione penale.
La Validità della Querela e il Principio del “Favor Querelae”
Il punto centrale della controversia legale era determinare se una querela potesse essere considerata valida anche in assenza di una frase come “chiedo che si proceda penalmente”. La difesa sosteneva che tale omissione rendesse l’atto inefficace, viziando l’intero procedimento.
La Corte di Cassazione, tuttavia, ha rigettato completamente questa tesi, aderendo a un orientamento consolidato che privilegia la sostanza sulla forma. La decisione si fonda sul principio del favor querelae, secondo il quale, nel dubbio, l’atto deve essere interpretato nel senso di favorire l’esercizio dell’azione penale e la tutela della persona offesa.
Le Motivazioni della Decisione
I giudici della Suprema Corte hanno analizzato attentamente l’atto depositato dalla parte offesa. Sebbene mancasse una formula di rito, la Corte ha evidenziato due elementi decisivi:
1. La qualificazione dell’atto: Il documento era stato espressamente intitolato “denuncia-querela”, una scelta terminologica che già di per sé indica l’intenzione di non limitarsi a una mera segnalazione dei fatti, ma di attivare un procedimento penale.
2. La richiesta di repressione: All’interno del testo, il querelante sollecitava esplicitamente “la repressione dell’illecito penale subìto”. Questa espressione, secondo la Corte, è del tutto equipollente a una richiesta di punizione e manifesta in modo inequivocabile la volontà che il responsabile venga perseguito penalmente.
La Cassazione ha ricordato che la volontà di punizione non necessita di formule particolari e può essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione. Qualsiasi incertezza interpretativa deve essere risolta in favore della validità della querela.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
L’ordinanza conferma che, ai fini della validità di una querela, ciò che conta è l’intenzione sostanziale della persona offesa. La volontà di ottenere giustizia e di vedere punito il colpevole può essere desunta dal complesso dell’atto, dalla sua intitolazione e dalle espressioni utilizzate, anche se non ricalcano una formula standard. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile e la ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende. Questa decisione rafforza la tutela delle vittime di reato, evitando che cavilli formali possano ostacolare l’accesso alla giustizia.
Una querela è valida anche se non contiene la frase esplicita ‘chiedo che si proceda penalmente’?
Sì, la Corte di Cassazione ha stabilito che la volontà di punizione, necessaria per integrare la querela, può essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione. L’importante è che tale volontà emerga chiaramente dal contenuto complessivo dell’atto.
Quali elementi possono indicare la volontà di punire in una querela?
Elementi come l’intitolazione dell’atto come ‘denuncia-querela’ o l’uso di espressioni come la richiesta di ‘repressione dell’illecito penale subìto’ sono considerati sufficienti a manifestare in modo inequivocabile la volontà di far perseguire penalmente il responsabile del reato.
Cosa significa il principio del ‘favor querelae’?
È un principio interpretativo secondo cui, in caso di dubbi o incertezze sul contenuto di un atto, il giudice deve scegliere l’interpretazione che ne preserva la validità come querela, al fine di favorire la tutela della persona offesa e l’esercizio dell’azione penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34621 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34621 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SEGRATE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 11/06/2025 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Milano ha riformato, quanto al trattamento sanzionatorio, la sentenza pronunciata dal Tribunale della stessa città all’esito di giudizio abbreviato. NOME COGNOME è stata ritenuta responsabile, in concorso con persona minorenne, del reato di cui agli artt. 110, 56, 624, 625 n. 7, 112, comma 1, n. 4) cod. pen. in danno dell’RAGIONE_SOCIALE commerciale «RAGIONE_SOCIALE» (reato commesso in Milano 1’8 settembre 2019).
Contro la sentenza, l’imputata ha proposto ricorso lamentando, con l’unico motivo, violazione di legge per essere stata ritenuta sussistente una valida denuncia querela ancorché l’atto, sottoscritto da COGNOME NOME quale procuratore della «RAGIONE_SOCIALE», non contenesse una espressa richiesta di punizione riferita al fatto ascritto alla COGNOME.
Rilevato che, come emerge dalla sentenza impugnata (pag.4) e dalla denuncia querela (allegata all’atto di ricorso ai fini della autosufficienza) la richiesta di punizione è esplicita nell’atto, che è stato depositato in data 10 novembre 2019. La COGNOME, infatti, dopo aver descritto (a pag. 1) la vicenda oggetto di imputazione), a pag. 2, sollecita «la repressione dell’illecito penale subìto» e l’atto è espressamente qualificato come «denuncia-querela».
Rilevato che la volontà di punizione necessaria ad integrare la querela non richiede formule particolari, può essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione ed eventuali situazioni di incertezza devono essere risolte e interpretate alla luce del “favor querelae” (Sez. 2, n. 5193 del 05/12/2019, dep. 2020), COGNOME, Rv. 277801; Sez. 5, n. 2665 del 12/10/2021, dep. 2022, Baia, Rv. 282648).
Ritenuto che, per i motivi esposti, il ricorso debba essere dichiarato inammissibile e la ricorrente debba essere condannata al pagamento delle spese processuali. Ritenuto che, in ragione della causa di inammissibilità, debba essere posto a carico della ricorrente il pagamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 7 ottobre 2025
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