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Querela implicita: non basta la denuncia per procedere

Una donna viene condannata per le lesioni causate dal suo cane. La Cassazione annulla la sentenza perché la vittima aveva presentato solo una denuncia dei fatti, senza una chiara volontà di punire (querela). La successiva costituzione di parte civile non sana la mancanza della querela implicita iniziale.

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Pubblicato il 20 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Denuncia vs Querela: la Cassazione annulla una condanna per mancanza di una querela implicita

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 36127/2024) riaccende i riflettori su una distinzione fondamentale nel diritto penale: quella tra denuncia e querela. Il caso, relativo a lesioni personali causate da un cane, ha portato all’annullamento di una condanna perché la vittima, pur avendo denunciato l’accaduto, non aveva manifestato una chiara volontà di punire la responsabile. Questo chiarisce che una querela implicita non può essere desunta da atti successivi, come la costituzione di parte civile.

I fatti di causa

Nel novembre 2020, una donna, mentre rientrava nella sua abitazione, veniva accerchiata da alcuni cani sfuggiti al controllo della loro proprietaria. Uno di questi, un cocker, la mordeva alla gamba destra, causandole lesioni personali. La persona offesa si era recata presso la polizia per denunciare l’accaduto, descrivendo i fatti e permettendo così di identificare la responsabile.

Sulla base di questi eventi, la proprietaria dei cani veniva condannata in primo grado dal Giudice di Pace a una multa di 400 euro e al risarcimento dei danni in favore della parte civile. La sentenza veniva confermata in appello dal Tribunale di Catania, il quale riteneva che la volontà di querelare potesse essere desunta sia dalla denuncia presentata, sia dalla successiva costituzione di parte civile della vittima.

La questione della querela implicita e la decisione della Cassazione

L’imputata ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo un punto cruciale: l’atto iniziale presentato dalla vittima era una semplice descrizione dei fatti (una denuncia), priva di qualsiasi manifestazione di volontà di procedere penalmente contro di lei (una querela). Secondo la difesa, la successiva costituzione di parte civile, avvenuta ben oltre i termini per presentare querela, non poteva sanare questa mancanza originaria.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando la sentenza senza rinvio. La Suprema Corte ha stabilito che l’azione penale non avrebbe dovuto essere iniziata per difetto di querela, una condizione di procedibilità essenziale per il reato di lesioni.

Le motivazioni

La Corte ha ribadito un principio consolidato: la volontà di chiedere la punizione del colpevole, elemento che distingue la querela dalla semplice denuncia, deve essere chiara ed inequivocabile. Sebbene non siano richieste formule sacramentali, questa volontà deve emergere dall’atto stesso.

Nel caso specifico, la denuncia presentata dalla persona offesa si limitava a narrare l’incidente, senza contenere alcuna espressione che potesse essere interpretata come una richiesta di punizione. Il Tribunale aveva errato nel desumere una querela implicita da due elementi:

1. L’atto di denuncia in sé: Secondo la Cassazione, la mera comunicazione di un fatto di reato all’autorità non è sufficiente a qualificare l’atto come querela. Se così fosse, verrebbe meno la distinzione tra reati perseguibili d’ufficio e quelli perseguibili a querela.
2. La successiva costituzione di parte civile: La volontà di punire non può essere dedotta da un comportamento successivo e tardivo rispetto ai termini per sporgere querela. La costituzione di parte civile, finalizzata a ottenere un risarcimento, è un atto distinto dalla querela, che invece mira alla punizione penale del reo.

La Corte ha specificato che l’interpretazione del giudice non può spingersi fino a creare una volontà che non è stata manifestata. L’articolo 336 del codice di procedura penale richiede una “dichiarazione” con cui “si manifesta” la volontà di procedere, escludendo operazioni ermeneutiche che ricavino tale volontà da elementi esterni e successivi all’atto di denuncia.

Le conclusioni

Questa sentenza è un importante promemoria sulla necessità di chiarezza e tempestività nell’esercizio del diritto di querela. Per le vittime di reati perseguibili a querela, non è sufficiente raccontare i fatti alle forze dell’ordine; è indispensabile manifestare, entro i termini di legge, la volontà che il responsabile venga processato penalmente. La decisione della Cassazione rafforza la distinzione tra l’azione civile per il risarcimento del danno e l’azione penale per la punizione del colpevole, sottolineando che la prima non può sostituire o sanare la mancanza della seconda.

Presentare una denuncia per un reato è sufficiente per avviare un processo penale?
No, per i reati perseguibili a querela non è sufficiente. La denuncia, per valere come querela, deve contenere una manifestazione chiara e inequivocabile della volontà della vittima di chiedere la punizione del colpevole.

La successiva costituzione come parte civile può ‘sanare’ la mancanza di una querela iniziale?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la volontà di perseguire il responsabile non può essere dedotta da un comportamento successivo alla presentazione della denuncia, come la costituzione di parte civile, soprattutto se questa avviene dopo la scadenza del termine per presentare querela.

Cosa distingue una denuncia da una querela?
La denuncia è la semplice comunicazione di un fatto di reato all’autorità. La querela, invece, oltre a descrivere il fatto, contiene la richiesta, esplicita o implicita ma comunque inequivocabile, che si proceda penalmente contro il responsabile. Questa volontà di punizione è l’elemento chiave che differenzia i due atti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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