Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27156 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27156 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOME nato a MILANO il 15/08/1984
avverso la sentenza del 27/01/2025 della CORTE APPELLO di MILANO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Varese, emessa il 2 ottobre 2023, che aveva condannato la ricorrente alla pena di giustizia in relazione al reato di truffa tentata aggravata nei confronti di NOME COGNOME e NOME NOMECOGNOME così qualificata l’originaria imputazione di truffa consumata, per avere, quale responsabile di due società che organizzavano matrimoni e viaggi di nozze, commesso artifici e raggiri finalizzati ad indurre le due persone offese a versarle
somme per prestazioni che non poteva corrispondere in quanto le sue imprese non erano più esistenti, condotta racchiusa nella data del 26 marzo 2018.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME deducendo:
1) violazione di legge e vizio di motivazione per non avere la Corte ritenuto che l’unica condotta in relazione alla quale è intervenuta la condanna della ricorrente (quella commessa il 26 marzo 2018) fosse procedibile pur in assenza di idonea querela, stante il fatto che la querela della persona offesa era intervenuta in data antecedente ed aveva avuto a riferimento condotte che il Tribunale non aveva considerato penalmente rilevanti, dovendosi, pertanto, escludere che si fosse in presenza di un reato a formazione progressiva così come sostenuto nella sentenza impugnata, non avendo la persona offesa dimostrato la propria volontà punitiva verso l’imputata neanche nelle sommarie informazioni rese lo stesso 26 marzo 2018, data di commissione dell’unico fatto ritenuto illecito in relazione al quale la ricorrente era stata tratta in arresto;
2) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità. La Corte non avrebbe adeguatamente valutato, travisandolo, il contenuto dell’accordo intercorso tra la ricorrente e la propria collaboratrice NOME COGNOME, riprodotto in ricorso e stipulato il 16 febbraio 2018, con il quale l’imputata aveva ceduto alla COGNOME tutte le attività in precedenza svolte ed in corso per la organizzazione del matrimonio di interesse, effettivamente realizzatosi, per come previsto e concordato con la ricorrente, secondo quanto evidenziato dai contatti tra gli interessati contenuti in alcuni messaggi e nelle dichiarazioni rese al dibattimento dalla persona offesa e dalla teste COGNOME nonché ricavabili dal fatto che nessun fornitore scelto dalla ricorrente aveva reclamato alcunché o si era tirato indietro dal prestare servizi per il matrimonio.
Nel che, l’assenza di artifici e raggiri, l’accordo con la Roga consacrando la prosecuzione dell’attività prestata dall’imputata, alla quale avrebbe dovuto essere riconnesso l’ultimo pagamento della somma di 500 euro effettuato il 26 marzo 2018, non avendo la ricorrente ancora ricevuto tutte le somme che le spettavano, come aveva riferito la stessa persona offesa;
3) violazione di legge per non avere la Corte rilevato l’improcedibilità dell’azione penale con riguardo all’unico episodio del 26 marzo 2018, stante l’assenza di querela da parte di NOME COGNOME l’unica persona che, in forza dell’accordo di cessione indicato nel precedente motivo di ricorso, aveva subito un danno per effetto del comportamento dell’imputata, avendo avuto ceduta l’organizzazione del matrimonio con i relativi obblighi di pagamento da parte del cliente, eventualmente vittima solo del reato di insolvenza fraudolenta;
4) vizio della motivazione per avere la Corte condannato la ricorrente assegnando carattere di illiceità a condotte che il Tribunale aveva ritenuto penalmente
irrilevanti ed avvenute prima dell’unico episodio in relazione al quale è intervenuto il giudizio di responsabilità; condotte coperte dal giudicato assolutorio in quanto non oggetto di impugnazione da parte del Pubblico ministero, rimanendo irrilevanti i comportamenti della ricorrente diversi da quelli commessi il 26 marzo 2018 nell’unica occasione di interesse processuale, invece valorizzati dalla Corte di appello, ivi compresi quelli inerenti al presunto e non dimostrato mancato pagamento dei fornitori da parte dell’imputata, al contrario provato dai messaggi tra le parti e dai documenti che il ricorso riproduce ai fgg. 18-21;
violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata applicazione dell’art. 131-bis cod.pen.
La Corte avrebbe errato nel negare la causa di esclusione della punibilità in forza del considerevole danno subito dalla persona offesa, in realtà non esistente se riferito, così come avrebbe dovuto essere, all’unico episodio del 26 marzo 2018, che aveva visto la restituzione immediata alla vittima, per effetto dell’arresto dell’imputata, della somma di 500 euro;
violazione di legge e vizio di motivazione quanto al diniego della sospensione condizionale della pena, che poteva aver luogo, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte, ai sensi dell’art. 164 cod.pen., sia pure con assunzione di obblighi ex art. 165 cod.pen., circostanza alla quale l’imputata non si era opposta.
La ricorrente si duole anche della prognosi sfavorevole di ricaduta nel reato, effettuata dalla Corte di appello tralasciando alcuni dati processuali dimostrativi delle particolari contingenze nelle quali i fatti si erano verificati e del s comportamento collaborativo nei confronti delle persone offese;
violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, avuto riguardo al ruolo primario assunto nella vicenda dalla madre della ricorrente e delle scuse fornite dall’imputata ad una delle persone offese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso, proposto con motivi complessivamente infondati, deve essere rigettato.
1.1. Quanto al primo motivo, deve premettersi che la sentenza impugnata ha sottolineato come l’originaria querela sporta dalla persona offesa NOME COGNOME il 17 febbraio 2018, era inerente alla stessa vicenda fattuale in relazione alla quale è intervenuta la condanna dell’imputata, accusata dalla vittima di averla indotta a “versarle ripetutamente denaro in merito all’effettiva organizzazione da parte della donna del suo matrimonio e del viaggio di nozze, denaro mai da lei utilizzato
per effettuare le necessarie prenotazioni” (fg. 9 della sentenza impugnata).
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Tali circostanze, peraltro, erano state confermate al dibattimento dalla persona offesa, che aveva anche precisato di aver contattato il fiorista e altri fornitori incaricati di prestazioni inerenti all’organizzazione del matrimonio, scoprendo che non avevano ricevuto alcunché dalla ricorrente, costringendo il querelante a ripagare i fornitori nonostante gli acconti elargiti all’imputata, per circa 11.000 euro, mai da costei restituiti (fgg. 10-12 della sentenza impugnata).
1.2. Ciò premesso in punto di fatto, deve, in primo luogo, rilevarsi che il capo di imputazione individua una condotta di tipo continuato, con indicazione del tempus commissi delicti “dal 19 giugno 2017 all’aprile 2018”.
Nell’arco temporale compatibile con tale contestazione, si era verificato l’episodio per cui è intervenuta condanna nei due gradi di merito, episodio ricondotto all’unica vicenda oggetto di imputazione e di querela.
La persona offesa aveva ritenuto di essere stata truffata anche in relazione alle condotte della ricorrente precedenti rispetto a quello del 26 marzo 2018 che ne aveva causato l’arresto e tanto l’aveva spinta a sporgere querela il 17 febbraio 2018.
La circostanza che, successivamente, durante il processo, sia stato ritenuto che il reato fosse stato commesso solo il 26 marzo 2018, data posteriore alla querela, non priva di efficacia tale atto d’impulso dell’azione penale, dal momento che esso è riferibile, nella specie, ad un’unica vicenda illecita composta, secondo il racconto della vittima, da più momenti fattuali, vicenda della quale la persona offesa non poteva prevedere l’evoluzione processuale, come sempre avviene nella fase in cui viene sporta una querela.
Diversamente opinando, si richiederebbe un comportamento inesigibile al soggetto querelante, quale quello di ribadire la volontà punitiva al verificarsi, dal suo punto di vista, di ogni successivo segmento della condotta dell’autore del reato nell’unica vicenda raccontata, così come, nel caso in esame, era stato considerato dalla vittima anche l’ultimo comportamento ritenuto penalmente rilevante e, per questo, non bisognevole di una nuova espressione della volontà punitiva da manifestare o ribadire nelle sommarie informazioni rese dalla persona offesa lo stesso 26 marzo 2018.
Rimane, pertanto, decisivo il rilievo, correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, che le condotte della ricorrente, sebbene commesse in tempi diversi, avessero carattere unitario e si riferissero ad un’unica vicenda fattuale, i cui prodromi si erano avuti in data antecedente alla querela ed erano stati enucleati dalla vittima con tale atto.
A diversa soluzione si perverrebbe, ad evidenza, nella opposta ipotesi in cui, successivamente alla presentazione della querela, si fosse verificato un episodio criminoso nuovo e del tutto sganciato, in punto di fatto, da quelli precedenti che
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avevano indotto la persona offesa a sporgere querela (nello stesso senso, riguardo ad analoga vicenda, Sez. 2, n. 15115 del 13/03/2025, COGNOME, non massimata).
Nel che, l’infondatezza del motivo.
Il secondo motivo di ricorso, inerente al giudizio di responsabilità, è manifestamente infondato.
La ricorrente tenta di proporre un’alternativa ricostruzione dei fatti, non rivedibili in questa sede, avendo la Corte spiegato, con motivazione priva di manifeste illogicità e basata sulle dichiarazioni della persona offesa – ritenute attendibili e corroborate da quelle di COGNOME NOME – che l’imputata aveva incassato somme dalla vittima per l’organizzazione del matrimonio senza mai restituirle, tentando di accaparrarsi anche l’ulteriore somma di 500 euro il 26 marzo 2018, data del suo arresto.
Esaminando le dichiarazioni di COGNOME al fine di rigettare la richiesta di confronto con la persona offesa che era stata richiesta con l’atto di appello, la sentenza impugnata ha sottolineato la convergenza delle dichiarazioni della vittima e della teste sulla circostanza che la prima aveva dovuto ripagare di tasca propria i fornitori nonostante gli acconti elargiti alla ricorrente e da costei mai restituiti; circostanza che si rivela incompatibile con l’interpretazione fornita i ricorso dell’accordo tra quest’ultima e la COGNOME a proposito della cessione delle attività dell’imputata, che non prevedeva che la Roga effettuasse pagamenti ai fornitori per conto della ricorrente, né con riguardo al matrimonio del Barbera, né con riguardo agli altri matrimoni.
Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato poiché presuppone la correttezza dell’assunto sostenuto con il secondo motivo, invece inconferente per le ragioni dette.
Anche il quarto motivo è manifestamente infondato.
La Corte ha ricostruito la vicenda nel suo complesso, anche in relazione agli episodi per i quali il Tribunale era pervenuto a giudizio assolutorio o a declaratoria di non doversi procedere per rimessione della querela, solo al fine di giustificare la conferma della condanna per l’unico episodio giudicato penalmente rilevante dal primo giudice in assenza di impugnazione della parte pubblica.
Il giudizio di responsabilità è stato confermato sulla base delle dichiarazioni della persona offesa giudicate credibili e riscontrate dal dato oggettivo che la ricorrente aveva chiuso le sue attività prima del 26 marzo 2018 e le aveva cedute, nei liprmiti prima rilevati, alla Roga, senza informare la vittima e senza restituirle quanto ricevuto, costringendola a pagare di nuovo i fornitori e tentando di incassare l’ennesimo acconto di 500 euro consegnatole prima del suo arresto.
Le diverse argomentazioni difensive tendono di nuovo a fornire una diversa ricostruzione della vicenda e rimangono relegate al merito del giudizio.
Il quinto motivo è manifestamente infondato in quanto la Corte di appello non ha ritenuto di applicare l’art. 131-bis cod.pen., non considerando di particolare tenuità l’offesa, in relazione anche alle modalità della condotta della ricorrente, con particolare riferimento alla intensità del dolo (fg. 12 della sentenza impugnata).
Si tratta di giudizio di merito non rivedibile in questa sede e neanche focalizzato in ricorso, che censura solo una parte della motivazione sul punto, quella inerente al danno procurato alla vittima.
Del pari, la Corte ha formulato una prognosi positiva di ricaduta nel delitto, valorizzando il comportamento processuale dell’imputata, la mancata restituzione alle vittima di quanto percepito, l’assenza di segnali di resipiscenza nel processo. Pe tali ragioni, è stato negato il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Anche in questo caso, si tratta di motivazione non manifestamente illogica che resiste alle censure difensive, confinate al merito del giudizio, con la precisazione che il riferimento alla preclusione inerente alla concessione del beneficio per una seconda volta è stata affermata dalla Corte territoriale con riferimento alla non menzione della condanna e non alla sospensione condizionale della pena (cfr. fg. 13 della sentenza impugnata).
E’ manifestamente infondato anche l’ultimo motivo, avendo la Corte di appello, al fine di negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ampiamente sottolineato l’intensità del dolo e la presenza di un precedente penale specifico a carico della ricorrente, dovendosi rammentare che ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame quello, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno la concessione del beneficio; ed anche un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti medesime. (da ultimo, Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 2, n. 4790 del 16.1.1996, Romeo, rv. 204768).
Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, 1’11/06/2025.