Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 30472 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 30472 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MARSALA il 24/04/2000
avverso la sentenza del 25/11/2024 della Corte d’appello di Palermo Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
il Procuratore generale presso la Corte di cassazione, dr. NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte, con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
La difesa del ricorrente ha inoltrato conclusioni scritte, con cui ha insistito nelle ragioni di ricorso.
Ritenuto in fatto
1. E’ stata impugnata dall’imputato la sentenza della Corte d’appello di Palermo, che ha confermato l’affermazione di reità di NOME in ordine al delitto di cui agl’artt. 110, 614 cod. pen., commesso il 19 settembre 2020.
2.Il ricorso per cassazione, a firma di difensore abilitato, consta di due motivi, sintetizzati a norma dell’art. 173 comma 1 bis cod. proc. pen..
2.1.Il primo motivo ha denunciato i vizi sub art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. con riferimento alla ritenuta ricorrenza della condizione di procedibilità per il reato di cui all’art. 610 cod. pen. ( rectius , 614 cod. pen.). Il singolo condomino non sarebbe legittimato alla presentazione della querela a tutela delle parti comuni dell’edificio, essa spettando alla totalità dei condomini oppure, in loro rappresentanza, all’amministratore di condominio.
2.2.Il secondo motivo ha lamentato la sussistenza dei vizi di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione alla mancata applicazione delle pene sostitutive di cui all’art. 20 bis cod. pen. e all’art. 58 della L. n. 689 del 1981, negate sulla base di una motivazione generica ed insufficiente, perché non sarebbero stati indicati i precedenti penali o giudiziari ostativi alla sostituzione, né gli elementi – tra cui eventualmente le modalità del fatto, risultato di modesta offensività – fondanti il giudizio prognostico negativo in ordine al rispetto delle prescrizioni.
Considerato in diritto
Il ricorso è nel complesso infondato.
1 .Non merita accoglimento il primo motivo, poiché il collegio reputa di dare continuità al principio di diritto in virtù del quale il singolo condòmino è legittimato, quanto meno in via concorrente o surrogatoria rispetto all’amministratore del condominio, alla presentazione di una valida querela in relazione a un reato commesso in offesa del patrimonio comune del condominio di un edificio.
1.1. Mette conto ripercorrere, brevemente, l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità a riguardo della legittimazione a proporre querela nelle ipotesi di illecito penale commesso in pregiudizio degli interessi e del patrimonio di un condominio, istituto disciplinato dal Libro terzo (‘della proprietà’), titolo settimo (‘della comunione’), capo secondo del codice civile.
Un primo indirizzo -che non ha comunque escluso tout court le legittimazione dei condomini uti singuli alla formalizzazione della querela a salvaguardia delle parti comuni – ha affermato che il condominio non è persona giuridica distinta rispetto all’unione delle persone fisiche comproprietarie, ‘ bensì uno strumento di gestione collegiale degli interessi comuni dei condomini diretto all’amministrazione ed al buon uso delle cose comuni, che non è suscettibile, in quanto tale, di essere portatore di propri autonomi interessi direttamente protetti dall’ordinamento penale ‘; ha ritenuto che l’amministratore non sia il titolare del bene giuridico alla cui tutela è preposto l’esercizio della condizione di procedibilità -perché il condominio non ha personalità giuridica autonoma – ma un organo esecutivo della volontà dei condomini,
nell’ambito della gestione e protezione dei beni e servizi a lui attribuite dagli artt. 1130 e 1131 cod. civ.; ed ha concluso che intanto l’amministratore possa promuovere querela in quanto ritualmente destinatario, da una deliberazione dei condomini all’unanimità, di una procura speciale, a pena di inammissibilità, nel rispetto degli artt. 122 e 336 cod. proc. pen. (sez. 2, n. 6 del 29/11/2000, COGNOME, Rv. 218562). A tale esegesi si sono ispirate sez. 3, n. 23800 del 27/03/2019, COGNOME, non mass. e sez. 6, n. 2347 del 18/12/2015, Vecchio, Rv. 266325, che hanno ritenuto invalida la querela sporta da un amministratore per conto del condominio, che non era stato investito della relativa facoltà a mezzo di specifico mandato da parte dell’assemblea dell’ente.
Nella sostanza, l’opzione interpretativa ha preso le mosse dal rilievo in base al quale l’ amministratore di condominio (che non sia anche, naturalmente, contitolare di diritti reali o di altre posizioni giuridicamente salvaguardate al medesimo titolo sulle parti comuni dell’edificio) non è persona offesa dal reato perché la regolamentazione della sua attività, in base alle norme del diritto civile, si fonda sulla disciplina del mandato (v. ora il rinvio espressamente previsto dall’art. 1129, comma 15, del codice civile alle disposizioni della sezione I del capo IX del titolo III del libro IV del codice civile); in altre parole, egli non è figura di distinta imputazione di interessi meritevoli protezione in ambito penalistico ed in quanto mandatario -ovvero un organo essenzialmente esecutivo delle deliberazioni dell’assemblea (in motivazione, Cass. civ. sez. U n. 18331 del 06/08/2010) – può formalizzare un atto di querela per conto del condominio in quanto a ciò deputato ed autorizzato dall’assemblea dei condomini nel rispetto delle prescrizioni imposte dal codice civile, dal regolamento di condominio e dal codice di procedura penale.
Altro approdo, collocatosi nella medesima, ancorchè non sovrapponibile, direttrice, ha invece optato per una legittimazione esclusiva al promovimento della querela, a tutela del patrimonio comune -a prescindere dalla concreta proiezione offensiva della condotta di reato in suo danno della totalità dei condomini e, di conseguenza, dell’amministratore in veste di suo mandatario (sez.5, n. 6197 del 26/11/2010, Arcari, Rv.249259).
A seguito della riforma della regolamentazione civilistica del condominio, operata con la L. n. 220 del 2012, si è affacciato e sviluppato un approccio ermeneutico che si è discostato dalla sentenza della quinta sezione, Arcari, cit. e, nel far leva sulle argomentazioni della decisione delle Sezioni Unite civili n. 19663 del 2014 e nel trarre dal dato testuale dell’art. 1117 quater cod. civ. la formulazione di un principio generale, si è orientata per negare l’attribuibilità di una qualsiasi forma di personalità giuridica al condominio, con ciò riprendendo le riflessioni della sentenza della seconda sezione, COGNOME, ed ha rassegnato conclusioni volte a rimarcare, nitidamente, il diritto soggettivo di ogni singolo compartecipe, quantomeno in via concorrente o surrogatoria rispetto all’iniziativa dell’amministratore, a proporre querela a protezione dell’intera comproprietà, anche a prescindere dalla volontà degli altri condomini (sez.3, n. 49392 del 03/07/2019, Valenza, Rv. 278261; sez.2, n. 45902 del 27/10/2021, COGNOME, Rv.282444; cfr. anche sez. 4, n.5622 del 2023 -ud. 20/12/2022, COGNOME, non mass.).
1.2. Ed a conferma dello sviluppo della corrente di pensiero che assegna al singolo condòmino la spettanza di un autonomo diritto soggettivo ad esigere la tutela delle cose comuni, sono intervenute le sez. U civili n.10934 del 18/04/2019, Rv. 653787, che ne hanno ribadito il potere individuale di agire in giudizio, concorrente con quello dell’amministratore dell’ente, di regola privo di personalità giuridica, a salvaguardia della propria partecipazione ‘pro quota’. Il massimo consesso nomofilattico ha, per un verso, precisato che la coeva attribuzione al privato condòmino e all’amministratore del condomìnio del potere di agire a tutela del patrimonio comune riconosce la natura sostanzialmente complementare delle rispettive prerogative, l’una estrinsecazione del diritto reale di proprietà e l’altra emanazione dei compiti di gestione e di organizzazione devoluti per effetto del mandato; per altro verso, ha rafforzato il principio secondo il quale è la qualità de l diritto, per così dire ‘naturale’, fatto valere in sede giurisdizionale la ragione di fondo della sussistenza della facoltà dei singoli di affiancarsi o surrogarsi all’amministratore nella sua difesa in contenzioso.
1.3. Ritiene il collegio che, nel caso in esame -nel quale si discetta dell’abusiva introduzione di estranei nell’autorimessa di un condominio cittadino, qual che sia l’inquadramento dogmatico della veste dell’amministratore nella prospettiva di assicurare tutela penale agli interessi del condominio -debba da un lato affermarsi che l’amministratore, accanto alle facoltà che attengono alla gestione dei beni comuni, è titolare dei poteri-doveri, previsti dall’art. 1130 comma 1 n. 4 cod. civ., di compimento degli atti di conservazione delle parti comuni dell’edificio condominiale , di cui rappresenta espressione il potere di promuovere querela anche indipendentemente da uno specifico investimento da parte dell’ assemblea dei condomini, poiché tali poteri-doveri non possono essere circoscritti alle iniziative di natura cautelare ed assolutamente indifferibile, ma debbono ritenersi estesi a tutte le attività finalizzate a garantire l’esistenza, la pienezza e l’integrità dei diritti dei condòmini sulle parti comuni (cfr Cass. Civ. sez. 2, n. 10869 del 24/04/2023, Rv. 668072; Sez. 2, Ordinanza n. 25782 del 13/11/2020; Sez. 2, Sentenza n. 7063 del 15/05/2002; Sez. 2, Sentenza n. 6190 del 03/05/2001; Sez. 2, Sentenza n. 4117 del 14/05/1990; Sez. 2, Sentenza n. 6593 del 11/11/1986; Cass. Civ. sez.2, n. 6494 del 06/11/1986, Rv. 448662; Sez. 2, Sentenza n. 3510 del 28/05/1980); sicchè, sotto questo profilo, il ventaglio delle relative prerogative possa essere ricondotto al perimetro di una detenzione qualificata sulle porzioni comuni che il diritto penale ritiene legittimante l’esercizio del potere di querela ( sez. U n. 40354 del 18/07/2013, COGNOME); e che, dall’altro lato, debba essere riaffermato il principio secondo il quale il diritto soggettivo di promuovere querela spetti parimenti, e comunque, alla persona offesa in senso stretto -art. 120 cod. pen. – che si identifica nel soggetto passivo del reato, il titolare del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice (tra le tante, sez.2, n. 2862 del 27/01/1999, Brogi, Rv. 212766). Il singolo condòmino, che gode del diritto reale di comproprietà tipico dell’istituto della comunione sulle parti comuni (art. 1100 e segg. cod. civ.), tra le quali sono annoverabili le autorimesse destinate ai singoli posti auto in quanto pertinenze, destinate in modo durevole a servizio di un’altra cosa (art. 817 cod. civ.), è, in relazione ad esse, persona
offesa dal reato lesivo dell’interesse penalmente protetto dalla norma incriminatrice di cui all’art. 614 cod. pen., perché il diritto all’inviolabilità del domicilio personale, di rango costituzionale (artt.2,14 Cost.), e sovranazionale (art. 8 della CEDU), rappresenta una delle forme di estrinsecazione dell’insindacabile diritto alla tutela della dignità e della sfera privata, nell’accezione strettamente connessa alla più ampia ‘libertà domestica’ e alla nozione di privata dimora, di cui si è da sempre occupata la giurisprudenza di legittimità.
1.4 .Altro riferimento normativo confacente può essere individuato nell’art.122 cod. pen., che prevede che quando, con la commissione del reato, si offendano contestualmente più persone e dunque più titolari del medesimo bene giuridico protetto, ciascuna di esse è titolare di un autonomo potere di querela, che rende punibile la condotta illecita non, riduttivamente, a protezione del diritto soggettivo pro quota ma, estensivamente, nei confronti di tutti; trattasi di regola che ha per finalità quella di rimuovere l’ostacolo all’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero e, dunque, a consentire che il reato sia perseguito nella pienezza dei suoi contenuti offensivi.
2 .Il secondo motivo non è fondato.
2.1 . Il diniego della sostituzione della pena detentiva è allineato ai principi di diritto affermati da questa Corte, secondo cui la sostituzione delle pene detentive brevi è rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice sulla base dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. e, dunque, considerando, in primis , le modalità delle violazioni commesse e la personalità del condannato ( ex multis , Sez. 3, n. 19326 del 27/01/2015, COGNOME, Rv. 263558). Siffatta interpretazione deve essere confermata anche dopo la c.d. riforma Cartabia (come già sostenuto da Sez. 6, n. 33027 del 11/5/2023, Agostino, Rv. 285090-01, in motivazione), posto che l’attuale richiamo ai «fondati motivi» del futuro, omesso adempimento delle prescrizioni, determinanti il rigetto dell’istanza ai sensi dell’art. 58, comma 1, seconda parte, legge 689/1981, impone solo di contemperare adeguatamente gli elementi disponibili, ovvero di raffrontare l’esigenza di ricorrere a forme sanzionatorie più consone alla finalità rieducativa del condannato e la necessità di assicurare effettività alla pena, non certo ad escludere che sia consentito formulare una prognosi guidata dai parametri di cui all’art. 133 cod. pen. anche con riferimento alla personalità dell’istante.
Invero, l’art. 58 della medesima legge prevede che: «Il giudice, nei limiti fissati dalla legge e tenuto conto dei criteri indicati nell’articolo 133 del Codice penale, se non ordina la sospensione condizionale della pena, può applicare le pene sostitutive della pena detentiva quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati. La pena detentiva non può essere sostituita quando sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato». Il richiamo dell’art. 133 cod. pen. comporta la facoltà del giudice di tener conto anche dei «precedenti penali e giudiziari» e, in genere, della «condotta» e della «vita del reo, antecedenti al reato», ivi indicati; valutati i
quali, il giudice «può» – come testualmente dispone l’art. 58 citato – «applicare le pene sostitutive». Al riguardo, infine, va solo aggiunto che la verifica della sussistenza delle condizioni che consentono di applicare una delle sanzioni sostitutive della pena detentiva breve costituisce un accertamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità, se motivato in modo non manifestamente illogico (sez. 1, n. 35849 del 17/5/2019, Rv. 276716).
2.2. La pronunzia della Corte territoriale resiste, sul punto, alle critiche mosse con il ricorso perché ha congruamente stigmatizzato i cospicui precedenti penali dell’imputato (del resto illustrati dalla ricca biografia del casellario giudiziale, che aveva condotto alla contestazione della recidiva aggravata e reiterata), a fronte dei quali è stato valutato recessivo il dato -l’unico evidenziato in sede di gravame della sua giovane età; tali proposizioni sfuggono al sindacato di legittimità, anche in considerazione del principio generale in base al quale l’adempimento dell’obbligo di motivazione che incombe sul giudice d’appello deve essere parametrato all’articolazione ed alle argomentazioni svolte dalla parte con il motivo di gravame, nel caso di specie di tenore vago ed assertivo.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., alla reiezione del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 18/06/2025