Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 39724 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 39724 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
F.L.
nato a
omissis
avverso la sentenza del 13/02/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME uditi: il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte di cassazione Perla Lor chiesto l’annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione con conferma delle sta . 1i –civili; l’avvocato NOME COGNOME che, nell’interesse delle parti civili GLYPH R.G. GLYPH e I GLYPH F.A. ha chiesto il rigetto del ricorso, ha depositato nota spese e conclusioni alle quali s e l’avvocato NOME COGNOME che, nell’interesse dell’imputato, si è riportato a impugnazione ed ha insistito per l’accoglimento del ricorso, eccependo l’inte prescrizione del reato;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 13 febbraio 2024 la Corte di appello di Milano, quale Giudice del rinvio, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Milano del 20 febbraio 2020, a segui del gravame interposto da F. L. , ha rideterminato in euro 600 di multa la pena a lui irrogata, ha revocato il beneficio della sospensione condizionale ed ha confermato nel resto la prima decisione, che ne aveva affermato la responsabilità per il delitto aggravato minaccia (art. 612, comma 2, cod. pen.) – così qualificato il fatto contestato sub specie di atti persecutori nei confronti dell’ex moglie NOME e della figlia NOME e aveva concesso all’imputato le circostanze attenuanti generiche, con le conseguenti statuizioni civili favore di queste ultime.
Avverso la sentenza rescissoria il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, articolando sette motivi (di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comm disp. att. cod. proc. pen.).
2.1. Con il primo motivo sono state denunciate la violazione dell’art. 157 cod. pen. e i vizio di motivazione (art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.), in ragione della manca declaratoria di estinzione per prescrizione del reato – commesso il 10 gennaio 2012 ed erroneamente qualificato dalla Corte di merito come permanente – nonostante la richiesta in tal senso del Sostituto Procuratore generale distrettuale e della difesa del ricorrente, disattesa senz alcuna argomentazione.
2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 120, comma 3, cod. pen., in quanto la Corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto sussistente la condizione di procedibilità anche per la minaccia che l’imputato avrebbe commesso in danno della figlia NOME
L non considerando che ella era minore ultraquattordicenne e dunque la madre avrebbe dovuto esplicitare che la querela era sporta anche per lei (che mai ha espresso volontà querelatoria verso il padre, neppure allorché è divenuta maggiorenne). Tanto che già il Pubblico ministero (come il G.i.p. e il Tribunale) non aveva attribuito tale portata estesa alla quer D’altra parte, la R.G. conviveva con due figli minori (uno dei quali infraquattordicenne) e, dunque, non potrebbe aver sporto querela solo per uno di essi. Ragion per cui in parte qua la sentenza impugnata dovrebbe essere annullata senza rinvio.
2.3. Con il terzo motivo è stata prospettata sub specie dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. – la violazione dell’art. 24 Cost., in quanto nonostante la condanna in prim grado per il delitto di cui all’art. 612, comma 2, cod. pen., solo la sentenza impugnata – com esposto, resa all’esito di annullamento con rinvio – avrebbe esplicitato quale sarebbe stata l minaccia proferita dal F.L. , fino a quel momento mai indicata (ed anzi, nonostante la minaccia di bruciare l’abitazione sia stata contestata come rivolta alla figlia NOME il Tribunale avrebbe indicato come persona offesa solo la R.G. ; in tal modo sarebbe stato pregiudicato il diritto di difesa poiché è stato possibile chiedere, in relazione a detta contestazione, un’integrazion probatoria (segnatamente, l’escussione dell’altro figlio minore).
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2.4. Con il quarto motivo è stato addotto il vizio di motivazione in ordine all’individuazi del fatto minaccioso, indicato nella sentenza impugnata nella prospettazione che il ricorrente avrebbe bruciato la casa delle persone offese e «sarebbero successe cose bruttissime». Tale asserto sarebbe contraddetto dalle risultanze probatorie in quanto:
l’imputazione descrive tale minaccia come rivolta esclusivamente alla figlia NOME e non all’ex coniuge, che la sentenza di primo grado ha ritenuto unica persona offesa;
sarebbe illogico ritenere che le minacce siano state rivolte sia alla figlia sia alla ex mo poiché non si comprenderebbe perché non si è considerato persona offesa anche NOME NOME (fratello della prima, figlio della seconda) che abitava nella stessa casa;
dunque, la Corte di appello avrebbe dovuto individuare una minaccia rivolta solo alla R.G. , che tuttavia non esiste (tanto che in primo grado il Pubblico ministero aveva chiesto l’assoluzione e il Procuratore generale distrettuale all’udienza del 13 febbraio 2024 ha chiesto declaratoria di prescrizione, il che dimostrerebbe – alla luce del termine di prescrizione del re – che il fatto minaccioso deve essere anteriore al 13 agosto 2016 e non può essere individuato nella minaccia, la cui sussistenza è stata ritenuta nella specie, pronunciata il 3 marzo 2017).
2.5. Con il quinto motivo è stata denunciata – richiamando l’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. – la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. in quanto la minaccia ritenuta d Corte di appello è stata contestata al F.L. come posta in essere esclusivamente nei confronti della figlia NOME e non anche nei confronti della ex moglie; difetterebbe dunque la correlazione tra imputazione e sentenza.
2.6. Con il sesto motivo è stato dedotto il vizio di motivazione in ordine all’attendib delle persone offese. La Corte di appello avrebbe condiviso l’apprezzamento compiuto dal Tribunale che, tuttavia, non aveva affermato la responsabilità del ricorrente per il delitto di persecutori in contestazione (in quanto le dichiarazioni delle persone offese non hanno trovato conferma nelle altre deposizioni) e – nonostante quanto dedotto con l’atto di appello – ta contraddizione non sarebbe stata chiarita. Inoltre, erroneamente sarebbe stato escluso che le persone offese fossero animate da spirito di rivalsa verso il I F.L. tcome si trarrebbe: dalle loro deposizioni; dal fatto che l’ex moglie avrebbe falsamente affermato che l’imputato non aveva eseguito i pagamenti dovuti in base alle condizioni di separazione e di divorzio, tanto che Pubblico ministero ha chiesto l’archiviazione per tale reato, a seguito di quanto documentato dal ricorrente; dal fatto che la figlia aveva preso le parti della madre, come esposto dalla dott.s
mi , CTU nel procedimento civile tra le parti); si sarebbe loro riconosciuta attendibilità pe mancata effettuazione di contestazioni nel corso delle loro deposizioni (dato irrilevante, anch in considerazione del fatto che normalmente la persona offesa/parte civile, prima di deporre, rilegge il testo della propria querela per evitare di cadere in contraddizione), nonostante dichiarazioni della parte civile (che ha interessi anche nel procedimento di separazione/divorzio non possano da sole costituire prova; erroneamente sarebbero stati considerati riscontri le dichiarazioni della madre della NOME e alcune e-mail inviate dall’imputato (non comprendendosi perché egli, che pure ha scritto frasi offensive, non avrebbe tramite esse espresso minacce che
constano solo perché riferite delle persone offese); infine, le dichiarazioni delle persone offes sarebbero state smentite dalla teste lz (e sul punto sarebbe erroneo quanto assunto dalla Corte di merito, come si trarrebbe dalla trascrizione allegata).
2.7. Con il settimo motivo è stata prospettata la violazione dell’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., in quanto il Tribunale avrebbe condannato il ricorrente solo per le minacce in danno della moglie; e, in mancanza di impugnazione del Pubblico ministero e della parte civile, la Corte di appello non avrebbe potuto condannarlo per il medesimo reato commesso anche nei confronti della figlia.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel complesso infondato e deve essere rigettato.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
Il fatto per cui l’imputato ha riportato condanna si colloca il 7 marzo 2017 (cfr. sentenz di secondo grado, p. 6) ed è del tutto erroneo il riferimento da parte della difesa alla dat indicata nell’imputazione, in cui avrebbero avuto inizio gli atti persecutori (nella prospettazio accusatoria terminati il 26 febbraio 2020) la cui sussistenza è stata esclusa dai Giudici di merit il quali invece hanno qualificato il fatto come minaccia. Ragion per cui il termine di prescrizio di sette anni e sei mesi (artt. 157 e 161 cod. pen.), tenuto conto pure della sospensione di esso (dal 3 dicembre 2019 al 26 febbraio 2020 per astensione del difensore), non è maturato poiché sarebbe spirato il giorno 27 novembre 2024. Non occorre dilungarsi per osservare che non condurrebbe a conclusioni diverse la collocazione del fatto minaccioso in data 3 marzo 2017 (come esposto dalla difesa nel quarto motivo di ricorso) poiché ciò determinerebbe solo l’individuazione del termine di prescrizione nel giorno 23 novembre 2024.
Il secondo motivo è infondato.
Invero:
– l’art. 120, comma 3, cod. pen. riconosce al genitore del minore che abbia compiuto quattordici anni un diritto distinto ed autonomo di sporgere querela, quantunque il rappresentato possa esercitarlo in prima persona (Sez. 5, n. 3207 del 04/10/2012 – dep. 2013, L. S., Rv. 254384 – 01: «in tema di titolarità del diritto di querela, la previsione di cui all’art. 120, c terzo, cod. pen. – per la quale il diritto di querela può essere esercitato dai minori che han compiuto gli anni quattordici e dagli inabilitati oltre che, in loro vece, dal genitore, tu curatore – non può essere intesa nel senso che questi ultimi possono esercitare tale diritto soltanto nel caso in cui i rappresentati non lo abbiano fatto, trattandosi di diritto distin autonomo che può essere esercitato anche in presenza di una volontà contraria o a seguito dell’avvenuto esercizio da parte dei rappresentati»; conf. Sez. 3, n. 45474 del 26/11/2001, COGNOME, Rv. 220743 – 01; cfr. pure Sez. 5, n. 23010 del 06/02/2013, L., Rv. 256942 – 01);
alla stessa stregua di quanto già rilevato a proposito del diritto di querela del genit di minore infraquattordicenne (previsto dall’art. 120, comma 2, cod. pen.), neppure l’art. 120 comma 3, cit. specifica alcunché in ordine alle «modalità di presentazione di tale querela; se essa debba, cioè, contenere un’esplicita formula con la quale il genitore dichiari di sporgere l querela per il minore ovvero se possa ritenersi che sia sufficiente l’esposizione dei fatti denunci con la pretesa punitiva» (Sez. 4, n. 11498 del 14/12/2018 – dep. 2019, P., Rv. 275277 – 01), dovendosi ravvisare la differente regolamentazione tra le due ipotesi (ossia quella in cui l querela sia sporta nell’interesse del figlio infraquattordicenne e quella in cui sia present nell’interesse del figlio che ha compiuto quattordici anni) solo nell’attribuzione al genitore d titolarità esclusiva del diritto di querela nel primo caso e concorrente (ma autonoma, nei termin sopra richiamati) nel secondo;
dunque, anche nel caso di esercizio del diritto di querela da parte del genitore di minore ultraquattordicenne, deve ritenersi che – come si è già affermato per la querela presentata nell’interesse del figlio infraquattordicenne (Sez. 4, n. 11498/2018 – dep. 2019, cit.) – la val di essa non richieda «formule sacramentali, essendo sufficiente la denuncia dei fatti e la chiara manifestazione della volontà della persona offesa di voler perseguire penalmente i fatti denunciati»;
tale conclusione è, peraltro, coerente con la costante giurisprudenza di legittimità secondo cui, «in tema di reati perseguibili a querela, è necessario e sufficiente per la sua valid che il querelante formuli l’istanza di punizione in ordine ad un fatto-reato suscettibile di si individuazione, senza ulteriori precisazioni, dettagli o circostanziate descrizioni» (Sez. 4, n. 8 del 02/03/2022, COGNOME, Rv. 282760 – 01); e, «nel caso in cui emergano situazioni di incertezza circa la validità della querela, esse deno essere risolte ed interpretate alla l del generale principio del favor querelae» (Sez. 4, n. 11498/2018 – deo. 2019, cit.; cfr. pure Sez. 5, n. 2665 del 12/10/2021 – dep. 2022, Baia, Rv. 282648 – 01; Sez. 5, n. 2293 del 18/06/2015 – dep. 2016, COGNOME, Rv. 266258 – 01).
Nel caso di specie, come già osservato dalla Corte territoriale, dal tenore della querela sporta da R.G. nei confronti dell’imputato, emerge che ella ha chiesto che si procedesse per tutti i fatti in essa rassegnati, ivi compreso l’agire minaccioso anche nei confronti della f (minore ultraquattordicenne) che è poi stato ritenuto dai Giudici di merito, non occorrendo l’esplicitazione con formula sacramentale che la punizione del fatto in discorso fosse richiesto quale genitore di F.A. . Ne deriva che non difetta la condizione di procedibilità.
Il terzo, il quinto e il settimo motivo, nel complesso infondati, possono essere tratt congiuntamente.
In primo luogo, l’allegazione difensiva (segnatamente, contenuta nel terzo motivo) irritualmente denuncia la violazione dell’art. 24 Cost. senza neppure prospettare una questione di legittimità costituzionale (cfr. Sez. 2, n. 12623 del 13/12/2019 dep. 2020, COGNOME, Rv. 27905901: «è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale si deduce la violazione d
norme della Costituzione o della CEDU, poiché la loro inosservanza non è prevista tra i casi di ricorso dall’art. 606 cod. proc. pen. e può soltanto costituire fondamento di una questione di legittimità costituzionale»), in realtà con i motivi in esame si è inteso denunciare la violazione norme processuali poste a pena di nullità nonché la violazione del divieto di reformatio in peius.
Ciò posto, la giurisprudenza ha già chiarito che, in tema di correlazione tra accusa e sentenza:
«per “fatto diverso” deve intendersi non solo un fatto che integri una imputazione diversa, restando esso invariato, ma anche un fatto che presenti connotati materiali difformi da quelli descritti nella contestazione originaria» purché si renda necessaria una puntualizzazione nella ricostruzione degli elementi essenziali del reato (Sez. 4, n. 10149 del 15/12/2020 – dep. 2021, COGNOME, Rv. 280938 – 01; Sez. 3, n. 8965 del 16/01/2019, COGNOME, Rv. 275928);
difatti, «per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta previs dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare l violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione» (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Milo, Rv. 248051 – 01);
con la conseguenza che «il principio di correlazione tra imputazione e sentenza risulta violato quando nei fatti, rispettivamente descritti e ritenuti, non sia possibile individuar nucleo comune, con la conseguenza che essi si pongono, tra loro, in rapporto di eterogeneità ed incompatibilità, rendendo impossibile per l’imputato difendersi» (Sez. 3, n. 7146 del 04/02/2021, Ogbeifun, Rv. 281477 – 01; cfr. pure Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015 – dep. 2016, Addio, Rv. 265946 – 01, secondo cui «la violazione del principio di correlazione tra l’accusa e l’accertamento contenuto in sentenza si verifica solo quando il fatto accertato si trovi, rispetto quello contestato, in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale tale da recare u reale pregiudizio dei diritti della difesa»; Sez. 6, n. 6346 del 09/11/2012 – dep. 2013, Domizi Rv. 254888 – 01).
L’unico capo di imputazione, elevato sub specie di atti persecutori nei confronti dell’ex moglie NOME e della figlia NOME. I, descrive le espressioni minacciose rivolte direttamente dall F.L. I nei confronti della seconda («la minacciava dicendole che avrebbe bruciato la loro abitazione e con frasi quali “farò perdere tutto a tua madre”, “succederanno cose bruttissime se continui così e soffrirai anche tu»). Il Tribunale, sia pure con una motivazione non puntuale né diffusa, aveva affermato la responsabilità dell’imputato per «la minaccia grave attuata dal prevenuto proferendo le parole indicate in contestazione»; e, quantunque avesse evidenziato come il F. L. avesse manifestato l’intenzione di infliggere un male ingiusto e grave alla persona offesa (esprimendosi al singolare), soggiungendo che ciò aveva determinato nella
R.G. (indicata come persona offesa) un grave di stato di ansia, non aveva in alcun modo reso una statuizione liberatoria per il fatto commesso nei confronti della figlia NOME. tanto che non ne aveva rigettato l’autonoma domanda risarcitoria (cfr. atto di costituzione di parte civi nell’interesse di FRAGIONE_SOCIALE i). In conclusione, il primo Giudice ha condannato l’imputato per il delitto di cui all’art. 612, comma 2, cod. pen. nei confronti di entrambe le persone offese all luce dell’esplicito riferimento alle espressioni minacciose in imputazione (come detto, descritte come proferite all’indirizzo della figlia che, tuttavia, prospettavano un male ingiusto anche ne confronti della moglie) e dell’accoglimento della domanda risarcitoria di entrambe; e ciò, sia pure rendendo una motivazione lacunosa che la Corte di appello ha integrato, in forza dei propri poteri di piena cognizione e valutazione del fatto (cfr. Sez. 3, n. 9695 del 09/01/2024, COGNOME, Rv. 286029 – 01; Sez. 5, n. 13435 del 04/03/2022, COGNOME, Rv. 282878 – 01), senza che ricorrano elementi, proprio alla luce di quanto esposto, per ravvisare un contrasto tra dispositivo e motivazione. Pertanto, deve escludersi che il Giudice di secondo grado – nel confermare la responsabilità dell’imputato per il detto delitto, perpetrato nei confronti dell’ex moglie e de figlia – abbia violato il divieto di reformatio in peius.
In particolare, la Corte distrettuale ha ritenuto che le minacce ascritte all’imputato rivolte, tramite le espressioni contenute in imputazione e sopra richiamate (ossia la prospettazione che ne avrebbe bruciato la casa e che sarebbero accadute cose bruttissime: cfr. p. 6 della sentenza impugnata), alla figlia fossero indirizzate a quest’ultima e alla madre (vale dire all’ex moglie del F.L. ). Si tratta di una conclusione che non consente di ravvisare nel fatto per cui è condanna un rapporto di eterogeneità ed incompatibilità, rispetto alla contestazione, che per il difetto di un nucleo comune abbia determinato un reale pregiudizio dei diritti dell difesa, dato che – si è già osservato – le dette espressioni fanno riferimento pure a R.G.
. Né per vero consta alcun pregiudizio all’esercizio del diritto di difesa, genericament addotto dal ricorrente, il quale ha assunto in maniera del tutto assertiva che avrebbe potuto chiedere l’escussione di figlio, senza neppure indicare in che termini tale scelta difensiva potesse essere incisa dall’asserito difetto di contestazione, né in che termini tale testimonianza avrebbe potuto in rilievo; piuttosto, come si trae dall’atto di appello, la difesa si è doluta dell’afferma di responsabilità resa dal Tribunale, contestando pure di aver pronunciato le espressioni minacciose in imputazione nei confronti sia dell’ex moglie sia della figlia (cfr. spec. p. 3 att appello); e anche in questa sede sono state proposto censure al riguardo (cfr. il quarto motivo di ricorso).
4. Il quarto motivo è nel complesso infondato.
Esso è, anzitutto, generico e versato in fatto in quanto, lungi dal muovere compiute censure di legittimità alla decisione impugnata, deduce in maniera del tutto assertiva che la motivazione sarebbe contraddittoria e in contrasto con le risultanze istruttorie, senza denunciare effettivamente un travisamento della prova (Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, COGNOME, Rv. 268360 – 01) ma richiamando quanto avrebbe sostenuto la Parte pubblica nel corso del procedimento e
adducendo (pure in maniera assertiva), che non si comprenderebbero le ragioni per cui il figlio non è stato ritenuto persona offesa.
Inoltre, esso:
offesa soltanto in (cfr. retro, par. 3.); – è infondato nella parte in cui ha affermato che il Tribunale aveva individuato la persona , profilo rispetto al quale basti rimandare quanto esposto sopra R.G.
– manifestamente infondato e privo di specificità nella parte in cui ha dedotto che i Giudici di merito avrebbero dovuto individuare una minaccia indirizzata solo alla R.G. , non rilevando nei suoi confronti le espressioni che l’imputato ha rivolto esclusivamente alla figlia NOME assunto in contrasto con il principio secondo cui, ai fini della configurabilità del delitto di minaccia, occorre che le espressioni intimidatorie siano direttamente rivolte alla persona offesa, potendo quest’ultima venirne a conoscenza anche attraverso altre persone, purché ciò si verifichi in un contesto dal quale possa desumersi che il soggetto attivo abbia avuto la volontà di produrre l’effetto intimidatorio (cfr. Sez. 5, n. 38387 del 01/03/2017, COGNOME, Rv. 271202 – 01; cfr. pur Sez. 6, n. 8898 del 03/12/2010 – dep. 2011, COGNOME, Rv. 249634 – 01, resa in una fattispecie in cui la minaccia è stata indirizzata a persona legata al soggetto passivo da una relazione di strettissima parentela), atteso che la Corte di merito ha ritenuto le espressioni minatori descritte in imputazione – pur pronunciate in una conversazione telefonica con la figlia, le qual prospettavano un male ingiusto pure all’ex moglie – rivolte pure a quest’ultima e neppure tale affermazione può dirsi ritualmente censurata per il tramite delle già richiamate generiche allegazioni in fatto.
Il sesto motivo è inammissibile poiché manifestamente infondato e versato in fatto.
La Corte di merito ha attribuito a entrambe le persone offese credibilità ed attendibilità dopo aver compiuto il vaglio delle loro dichiarazioni, evidenziandone la coerenza e la convergenza, esplicitando le ragioni per cui ha escluso che la R.G. fosse animata da spirito di rivalsa nei confronti dell’imputato; ed ha indicato più elementi di riscontro delle dichiarazio accusatorie (tratti non solo dalla deposizione della madre della R.G. ma anche dai messaggi di posta elettronica inviati dall’imputato); ancora, il Giudice di appello ha indicato in manie congrua e logica le ragioni per cui ha escluso che la deposizione della teste COGNOME (CTU nel procedimento civile di divorzio) sia atta a minare la credibilità delle persone offese (e particolare della figlia minore del ricorrente), evidenziando in particolare quanto da lei riferit ordine alla capacità di NOME «di maturare un pensiero proprio» e dando conto del fatto che, pur escludendo di aver appreso di minacce da parte dell’imputato nei confronti della figlia, la teste ha riportato che la giovane era rimasta traumatizzata dalla telefonata con il padre; e rispetto a tale iter non è un travisamento del contenuto della deposizione della teste (ossia del «senso intrinseco della dichiarazione» che costituisce il dato probatorio, rispetto a quello trat dal giudice: Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017 – dep. 2018, COGNOME Rv. 272406 – 01; cfr. pure Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370 – 01) il fatto che ella abbia
ricevuto specifica domanda sul punto (dato escluso dalla Corte di merito e contestato dal ricorrente); fermo restando che – come esposto – il Giudice di appello ha indicato plurimi
elementi a sostegno della credibilità delle persone offese e, dunque, la tenuta della motivazione non potrebbe dirsi comunque compromessa ed il ricorso ha irritualmente perorato in questa sede
un alternativo apprezzamento di merito.
6. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali. L’imputato deve essere, altresì, condannato alla rifusione
delle spese del presente giudizio in favore delle parti civili che appare equo determinare in complessivi euro 3.840,00, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 52, comma 2, D. Lgs. 196/2003, si dispone che sia apposta a cura della
Cancelleria, sull’originale della sentenza, l’annotazione prevista dall’art. 52, comma 3, cit., vo a precludere, in caso di riproduzione della sentenza in qualsiasi forma, l’indicazione delle
generalità e di altri dati identificativi degli interessati.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che liquida in complessivi euro 3840,00, olt accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso il 10/09/2024.