Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 32053 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 32053 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 09/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a MESSINA il 21/04/1994
avverso l’ordinanza del 24/02/2025 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE‘ di MESSINA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, in persona della sostituta NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Messina, sulla richiesta di riesame proposta nell’interesse di NOME COGNOME, indagato per il reato di cui agli artt. 625 nn. 5 e 7 cod. pen. ha confermato l’ordinanza con la quale il Gip del Tribunale locale ha applicato nei suoi confronti la misura della custodia cautelare in carcere.
In sintesi, il Tribunale ha ricostruito i fatti nel senso che nel tardo pomeriggio dell’8 febbraio 2025 personale della Questura di Messina interveniva presso il negozio RAGIONE_SOCIALE dove era stata segnalata la perpetrazione di un furto ad opera di un uomo e una donna che, dopo essersi impossessati di un grande televisore e di un aspirapolvere del valore di circa 1.000 euro, si erano allontanati a bordo di un ciclomotore. Gli operanti intercettavano il veicolo nei pressi di una tipografia all’interno della quale rinvenivano la refurtiva e il titolare riferiva che i due avevano chiesto di depositare temporaneamente quanto avevano al seguito, in attesa del miglioramento delle condizioni nnetereologiche dato che la violenta pioggia impediva loro di trasportare gli scatoloni fino a casa. Si accertava che il motorino a bordo del quale i due erano stati, in seguito, fermati era provento di furto alla stregua del contrassegno identificativo apposto sul mezzo a due ruote.
Il Tribunale ha rigettato la richiesta di riesame proposta dalla difesa con cui si eccepiva il difetto di querela in quanto proposta da soggetto ritenuto non legittimato, ha ritenuto la sussistenza dei gravi indizi del reato circostanziato, così come contestato oltre che le esigenze di cautela sociale riferite alle modalità dell’azione oltre che alla personalità del COGNOME, gravato da plurimi precedenti penali anche specifici per numerosi reati di furto, rapina, porto d’armi e detenzione e vendita di sostanze stupefacenti.
Avverso il provvedimento è stato proposto ricorso articolato in quattro motivi.
3.1. Con il primo si deduce violazione di legge per non essere stato notificato al difensore, entro il termine di deposito dell’ordinanza, anche l’avviso di deposito della stessa. Assume la difesa che in esito alla udienza in camera di consiglio del 24 febbraio 2025 il Tribunale confermava l’ordinanza impugnata ma non provvedeva a depositare contestualmente la motivazione. Il 28 marzo 2025, a distanza di 32 giorni era notificato l’avviso di deposito e con esso si apprendeva che le motivazioni erano state depositate in data 11 marzo 2025 e ciò benché l’art. 309 cod. proc. pen. preveda espressamente che il deposito dell’ordinanza del Tribunale debba avvenire
nei termini di cui al comma 5 del detto articolo, pena la perdita di efficacia della misura coercitiva e che, comunque, il deposito dell’ordinanza debba avvenire a pena di inefficacia entro il termine di trenta giorni. Lo stesso articolo 309 cod. proc. pen prevede che il procedimento si svolge nelle forme previste dall’art. 127 cod. proc. pen. che, al comma 7, prevede che il giudice provvede con ordinanza comunicata o notificata senza ritardo ai soggetti indicati al comma 1 che possono proporre ricorso per cassazione. Secondo la difesa, dunque, l’unica lettura costituzionalmente orientata del decimo comma dell’art. 309 cod. proc. pen. impone di considerare tempestivo il deposito dell’ordinanza solo quando tutti gli adempimenti ad essa connessi siano stati effettivamente ultimati, ivi compreso l’avviso di deposito al difensore.
3.2. Con il secondo motivo la difesa lamenta violazione di legge quanto alla condizione di procedibilità. La querela sporta il 9 febbraio 2025 sarebbe affetta da vizio genetico in quanto sporta da soggetto non legittimato. Sul punto secondo la difesa, la motivazione sarebbe meramente apparente poiché limitata al richiamo di una massima giurisprudenziale sulla scorta della quale si assumeva che il Corica avrebbe agito in qualità di delegato munito di procura speciale a firma dell’amministratore delegato della RAGIONE_SOCIALE, comunque, priva dei requisiti richiesti. Secondo la difesa emergeva dagli atti che il rapporto di fatto de denunciante con “i beni” non era stato esercitato.
Il direttore del punto vendita, invero, non sporgeva denuncia nella qualità di direttore ma di delegato munito di procura speciale sottoscritta dall’amministratore delegato della società, l’unico titolato a disporre del potere di querela. Tuttavia l’att di querela è sprovvisto di una valida procura speciale e in ogni caso è proposto travalicando i poteri conferiti. Nel caso in esame l’atto qualificato come procura speciale, altro non è che una semplice delega trasmessa senza formalità e sottoscritta dal legale rappresentate della società.
3.3. Con il terzo motivo si deduce la violazione di legge con riferimento alle ritenute circostanze aggravanti. Ad avviso della difesa non è sufficiente indossare un casco per configurare l’aggravante del “travisamento” essendo, piuttosto necessario accertare che il riconoscimento si sia rivelato difficoltoso il che non sarebbe avvenuto nel caso in esame. Era stata inoltre dedotta la insussistenza della circostanza aggravante di cui al n. 7 dell’art. 625 cod. pen. avuto riguardo alla presenza di un sistema di videosorveglianza e di personale addetto alla sicurezza; la qual cosa escludeva che i beni sottratti si trovassero in detta situazione.
3.4 Con il quarto motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione. A dispetto della ammissione degli addebiti da parte dell’imputato, è stata ritenuta l’inidoneità di misure coercitive diverse da quella di massimo rigore senza spiegarne le ragioni.
4. Il P.G., in persona della sostituta NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità.
2. E’ manifestamente infondato il primo motivo di ricorso. L’art. 309 cod. proc. pen. scandisce le fasi procedimentali, prevedendo, al comma 9, che «entro dieci giorni dalla ricezione degli atti il Tribunale annulla, riforma o conferma l’ordinanza oggetto del riesame»; prosegue la norma, al comma 10, che «se la trasmissione degli atti non avviene nei termini di cui al comma 5 o se la decisione sulla richiesta di riesame o il deposito dell’ordinanza del tribunale in cancelleria non intervengono nei termini prescritti, l’ordinanza che dispone la misura coercitiva perde efficacia». Dispone, altresì, la norma che «l’ordinanza del tribunale deve essere depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione».
Dunque, gli unici termini previsti a pena di decadenza sono rappresentati dai dieci giorni entro cui deve intervenire “la decisione” e i trenta entro i quali l’ordinanza deve essere depositata in cancelleria. Nessuna norma prevede che entro i termini indicati dall’art. 309 cod. proc. perì. debba anche essere notificato l’avviso di deposito che, stando alla previsione di cui all’art. 127 cod. proc. pen. deve essere comunicato “senza ritardo”. Detta espressione non può essere, dunque, interpretata nel senso che il “decimo comma” impone di considerare tempestivo il deposito dell’ordinanza solo quando tutti gli adempimenti ad essa connessi siano stati effettivamente ultimati, ivi “compreso l’avviso di deposito al difensore”, laddove gli adempimenti ad essa connessi non possono che essere il “depositato” in cancelleria ma non anche la notifica dell’avviso di deposito al difensore. L’art. 127 cod. proc. pen., infatti, nell’affermare che il giudice provvede con ordinanza comunicata o notificata senza ritardo ai soggetti indicati nel comma 1 che possono proporre ricorso per cassazione, non prevede alcuna sanzione per l’inosservanza.
La stessa sentenza di questa Corte richiamata dal ricorrente ribadisce il principio secondo cui «E’ noto che ai sensi dell’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., entro dieci giorni dalla ricezione degli atti il tribunale se non deve dichiarare l’inammissibilità della richiesta, annulla, riforma o conferma l’ordinanza oggetto del riesame. E’ noto, altresì, che ai sensi dell’art. 309, comma 10, cod. proc. pen., come sostituito dall’art. 11 legge 47 del 2015, se la decisione sulla richiesta di riesame o il deposito dell’ordinanza del tribunale in cancelleria non intervengono nei termini prescritti, l’ordinanza che dispone la misura coercitiva perde efficacia.
D’altro canto la norma stabilisce che l’ordinanza del tribunale deve essere depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione salvi i casi in cui l stesura della motivazione sia particolarmente complessa, ipotesi nella quale il giudice può disporre per il deposito un termine più lungo, non eccedente il quarantacinquesimo giorno dal quello della decisione» (Sez. 6 n. 22818 del 15/04/2016, Rv. 267128 – 01).
L’inciso richiamato in ricorso secondo cui «viene in tal modo delineato un sistema bifasico che prevede dapprima un termine per la decisione e poi uno specifico termine per il deposito dell’ordinanza» non sorregge affatto l’impostazione difensiva secondo cui nei termini previsti a pena di decadenza per “la decisione” e per “il deposito dell’ordinanza” debba essere anche notificato l’avviso di deposito del provvedimento.
Gli altri motivi sono meramente reiterativi di questioni già poste e valutate dal Tribunale e dallo stesso motivate senza vizio alcuno.
Con riferimento al secondo motivo con cui si ribadisce l’improcedibilità del reato per il quale si è proceduto per mancanza di querela, in quanto proposta da soggetto non legittimato, il Tribunale ha respinto la dedotta eccezione nel solco di consolidata giurisprudenza di questa Corte la quale ha affermato il principio secondo cui ai fini della procedibilità del delitto di furto perpetrato all’interno di supermercato, la cassiera di tale esercizio, pur sprovvista dei poteri di rappresentanza del proprietario è legittimata a proporre querela in quanto titolare della detenzione qualificata del bene a scopo di custodia o per l’esercizio del commercio al suo interno. Pertanto, legittimato a proporre la querela è a maggior ragione il direttore dell’esercizio ‘commerciale (Sez. 3, n. 7193 del 20.12.2023 dep. 2024 R.v 285824 – 01).
Ora, il ricorso si limita ad affermare che “il direttore del punto vendita…non si recava a sporgere denuncia-querela nella sua qualità di direttore e, pertanto, quale soggetto avente un rapporto di fatto con la cosa esercitato autonomamente, ma piuttosto in qualità di delegato munito di procura speciale” senza confrontarsi con la querela in atti.
In proposito, se è vero che nella querela, in incipit, si premette che il denunciante è munito di una “delega procura speciale firmata dall’amministratore delegato” dell’azienda, nel prosieguo il denunciante espone di essere il “direttore del punto vendita”, riceve le informazioni di cui all’art. 101 cod. proc. pen. in qualità di persona offesa, dichiara di riservarsi la costituzione di parte civile e chiede di essere informato dell’eventuale archiviazione. Tutto ciò con locuzioni che non lasciano emergere con certezza la spendita della sola qualità di procuratore speciale, come assume la difesa. E poiché anche al direttore è riconosciuto il diritto
di proporre querela, rimangono validi gli argomenti spesi dal Tribunale, con congrui richiami giurisprudenziali alle pagine 2 e 3 del provvedimento impugnato secondo cui egli ha agito quale «titolare di una posizione qualificata della cosa» (Sez. 4, n. 25562 del 01/03/2023, non mass.).
Le conclusioni cui è pervenuto il Tribunale sono in linea con il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui «la fattispecie protegge ad un tempo la detenzione qualificata, nonché la proprietà e le altre situazioni giuridiche cui si è fatto ripetutamente cenno. Tale duplicità viene in evidenza per quel che qui interessa, quando situazioni giuridiche soggettive e situazioni fattuali fanno capo a diverse persone. In tal caso la lesione del bene giuridico è duplice: proprietario e possessore in senso penalistico sono persone offese e legittimate a proporre querela» (Sez. U. n. 40354 del 18/07/2013, COGNOME, Rv. 255975 – 01).
4. E’ manifestamente infondato il terzo motivo con cui si contesta la gravità indiziaria, anche con riferimento alla ritenuta sussistenza delle circostanze aggravanti.
Come è noto, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio e ai suoi limiti, la sola verifica delle censure inerenti alla adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 3, n. 17395 del 24/1/2023, Rv. 284556-01; Sez. 2, n. 27866 del 17/6/2019, Rv. 276976; Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, Rv. 265244-01; Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, Rv. 255460-01).
Nel caso di specie, la denunciata violazione di legge si risolve sostanzialmente nella censura del percorso motivazionale seguito nell’ordinanza impugnata che ha preso in esame l’intero compendio investigativo ossia le immagini di videorveglianza acquisite agli atti che immortalavano l’azione delittuosa, l’identificazione dell’autore del furto da parte di COGNOME NOME, le dichiarazioni rese dal titolare della tipografia dove gli indagati si sono rifugiati dopo il furto nonché dalla dipendente di RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME
Il provvedimento impugnato, contrariamente a quanto si sostiene, non si ferma affatto all’argomento secondo cui COGNOME, benché il ricorrente indossasse il casco, lo avrebbe facilmente riconosciuto vedendolo da una porta a vetri, entrando nella caserma Calipari. Il Tribunale, infatti, in maniera non illogica, ha spiegato che COGNOME era stato colui il quale era venuto più a contatto con gli autori del furto
avendo tentato invano di bloccarli mentre uscivano dal negozio, riuscendo anche a scattare una foto della targa del motociclo a bordo del quale si allontanavano.
Da quanto detto discende che il -motivo dedotto è aspecifico in quanto non si confronta con l’intero percorso motivazionale posto dal Tribunale a fondamento della decisione ma solo ad una porzione di essa.
Il Tribunale, inoltre, con motivazione affatto contraddittoria o illogica ha messo in evidenza, con congrui richiami giurisprudenziali, che si trattava di esercizio commerciale di grandi dimensioni in cui non basta ad escludere “l’esposizione alla pubblica fede” la presenza di un sistema di videosorveglianza e ciò a maggior ragione ove si consideri che l’acquisto dei beni, esposti su appositi banchi, può avvenire anche mediante modalità self service che legittimano una vigilanza saltuaria. Il ricorso, peraltro, non si confronta con la motivazione nella parte in cui riporta il passaggio della teste COGNOME la quale riferiva, alla stregua dello COGNOME, di essersi avveduta del furto solo nella fase finale di esso, allorquando il ricorrente insieme alla compagna, dopo essersi portati alle casse, si dirigevano all’esterno senza pagare.
5. E’ inammissibile per genericità il quarto motivo di ricorso.
Il provvedimento impugnato ai fini della scelta della misura e della sua idoneità ad infrenare il pericolo di recidivanza ha, in maniera compiuta e non manifestamente illogica, valorizzato le specifiche modalità dell’azione, ritenute indice di una spiccata spregiudicatezza criminale nonché le condizioni soggettive del ricorrente, che annovera plurimi precedenti penali, anche specifici oltre che in materia di armi, droga e violazione delle misure di prevenzione. Come pure è stato posto l’accento sulla circostanza che il ricorrente, per la consumazione del reato in parola, ha utilizzato un motociclo sottratto a terzi per darsi alla fuga.
A fronte dell’ampia motivazione sul punto il ricorso si limita dolersi della valutazione operata dal Tribunale e a reiterare gli stessi motivi prospettati al Tribunale del riesame e motivatamente respinti da tale organo giudicante senza con essi confrontarsi criticamente.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre che al pagamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende non ravvisandosi elementi da cui ritenere che il ricorrente abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. n. 186 del 13 giugno 2000).
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 – ter, disp. att. cod. proc. pen.
GLYPH
GLYPH
zionari GLYPH
udiziario