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Quasi flagranza: quando l’arresto non è valido?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26332/2025, chiarisce i limiti dell’arresto in quasi flagranza. La Corte ha stabilito che non sussiste tale stato se la polizia non percepisce autonomamente e immediatamente il collegamento tra l’indagato e le tracce del reato, ma si basa sulla ricostruzione di terzi. Un arresto per spaccio in discoteca è stato quindi dichiarato illegittimo perché gli agenti, intervenuti su chiamata, non hanno assistito direttamente ai fatti ma hanno solo constatato la presenza di droga vicino al sospettato su indicazione di un addetto alla sicurezza.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Arresto in Quasi Flagranza: Quando la Polizia Non Può Agire?

L’istituto della quasi flagranza rappresenta uno strumento cruciale per le forze dell’ordine, consentendo l’arresto di una persona anche se non colta nell’esatto momento in cui commette un reato. Tuttavia, i suoi confini sono netti e rigorosi, come ribadito dalla Corte di Cassazione in una recente sentenza. Il caso analizzato riguarda un giovane arrestato in una discoteca per detenzione di stupefacenti, un arresto poi non convalidato dal giudice. La Suprema Corte ha confermato questa decisione, spiegando perché la sola segnalazione di un terzo e il ritrovamento della droga non sono sufficienti a integrare la quasi flagranza.

La Vicenda: Arresto in Discoteca su Segnalazione

I fatti si svolgono all’interno di una discoteca. Un addetto alla sicurezza sorprende un giovane nei bagni del locale con un sacchetto contenente sostanze stupefacenti. L’addetto alla sicurezza contatta la polizia, che giunge sul posto circa un’ora dopo. Al loro arrivo, gli agenti trovano il ragazzo in una stanza, seduto vicino a un tavolo su cui è appoggiato il sacchetto con la droga. Sulla persona del giovane vengono inoltre rinvenuti circa 275 euro in contanti e un foglio con nomi e cifre.
Sulla base di questi elementi, la polizia giudiziaria procede all’arresto per detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio. Tuttavia, il Giudice per le Indagini Preliminari (G.i.p.) si rifiuta di convalidare l’arresto, sostenendo la mancanza del presupposto della quasi flagranza, poiché gli agenti non avevano assistito direttamente ai fatti.

Il Ricorso della Procura e il concetto di quasi flagranza

La Procura della Repubblica impugna la decisione del G.i.p., sostenendo che il caso rientrasse a pieno titolo nella nozione di quasi flagranza. Secondo il ricorrente, l’arresto era legittimo perché il giovane era stato sorpreso con ‘cose e tracce’ (la droga, il denaro, gli appunti) che indicavano in modo inequivocabile che avesse appena commesso il reato. La tesi della Procura era che non fosse necessaria la visione diretta del reato, ma bastasse la percezione autonoma da parte degli agenti di questi elementi probatori, collegati in modo indissolubile al sospettato.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della Procura, offrendo un’importante lezione sui limiti applicativi dell’art. 382 del codice di procedura penale. I giudici supremi hanno sottolineato che la condizione di quasi flagranza richiede una ‘percezione immediata e autonoma’, da parte di chi esegue l’arresto, del collegamento inequivocabile tra le cose o le tracce del reato e la persona arrestata.

Nel caso specifico, la polizia giudiziaria ha avuto solo una ‘mera percezione visiva’ dello stupefacente su un tavolo, in una stanza dove era presente anche l’indagato. Il collegamento cruciale tra la droga e il giovane non derivava da una constatazione diretta e autonoma degli agenti, ma era mediato interamente dal racconto fornito dall’addetto alla sicurezza. Quest’ultimo aveva ricostruito la vicenda per gli agenti, che sono intervenuti a fatto già concluso. Di conseguenza, mancava quel nesso immediato e diretto tra il reato e la sua prova che la legge richiede per poter procedere all’arresto in assenza di una flagranza vera e propria.

Le conclusioni

La sentenza stabilisce un principio fondamentale: per un arresto legittimo in quasi flagranza, non è sufficiente che la polizia trovi il sospettato con le prove del reato. È indispensabile che gli agenti, attraverso i loro sensi e la loro autonoma valutazione della scena, percepiscano direttamente e senza intermediazioni il legame inequivocabile tra quelle prove e la commissione del reato avvenuta un attimo prima. Una ricostruzione fornita da terzi, per quanto attendibile, non può surrogare questa percezione diretta, trasformando un’attività di indagine in un presupposto per l’arresto. Questa decisione rafforza le garanzie individuali, tracciando una linea chiara tra un legittimo arresto e un’azione basata su elementi indiziari che richiedono, invece, un successivo approfondimento investigativo.

Quando si può parlare di arresto in quasi flagranza?
Secondo la legge, si ha lo stato di quasi flagranza quando una persona, subito dopo aver commesso un reato, viene inseguita dalla polizia, dalla vittima o da altre persone, oppure quando viene sorpresa con cose o tracce dalle quali appare evidente che abbia appena commesso il reato.

La segnalazione di un privato cittadino è sufficiente per un arresto in quasi flagranza?
No. La sentenza chiarisce che la sola segnalazione di un privato non è sufficiente. È necessario che gli agenti di polizia, intervenuti sul posto, acquisiscano una percezione immediata e autonoma delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con la persona da arrestare, senza basarsi unicamente sulla ricostruzione dei fatti fornita da terzi.

Cosa intende la Cassazione per ‘percezione immediata e autonoma’ delle tracce del reato?
Significa che gli agenti che procedono all’arresto devono constatare direttamente, con i propri sensi, la presenza delle prove materiali (le ‘cose o tracce’) e devono poter stabilire, sulla base della situazione che si presenta loro, un collegamento logico e temporale diretto e indiscutibile tra tali prove, il reato appena commesso e il sospettato, senza che tale collegamento sia costruito solo sulle dichiarazioni di altre persone.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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