Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 17721 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 5 Num. 17721 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/04/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
– Presidente –
Sent. n. sez. 631/2025
IRENE SCORDAMAGLIA
CC – 30/04/2025
NOME COGNOME
– Relatore –
R.G.N. 4918/2025
NOME COGNOME
NOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da: Procuratore della repubblica presso il TRIBUNALE DI TIVOLI nel procedimento a carico di: NOME nato in ALBANIA il 15/09/2000
avverso l’ordinanza del 03/02/2025 del Tribunale di Tivoli Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME Lette le conclusioni del Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
L’ordinanza oggi al vaglio della Corte è stata emessa il 3 febbraio 2025 dal Giudice monocratico del Tribunale di Tivoli che, in sede di rito direttissimo, ha respinto la richiesta di convalida dell’arresto di NOME COGNOME per il reato di tentato furto in abitazione (contestualmente rigettando anche la richiesta di misura cautelare per assenza di gravità indiziaria).
La mancata convalida – si legge nel provvedimento impugnato – è dovuta al difetto della condizione di flagranza o quasi flagranza, perché l’arresto era avvenuto solo dopo che la persona offesa aveva visualizzato i filmati delle
telecamere di sorveglianza, aveva estrapolato le immagini e le aveva inviate ai Carabinieri territorialmente competenti, i quali si erano posti sulle tracce dell’imputato e lo avevano, quindi, arrestato. A seguito della perquisizione dell’imputato e del sopralluogo sul luogo del fatto scrive altresì il Giudice monocratico non erano state trovate tracce del reato che riconducessero il prevenuto al misfatto.
Contro l’ordinanza di non convalida dell’arresto ricorre il pubblico ministero presso il Tribunale di Tivoli, che lamenta violazione di legge perché il Giudice monocratico non avrebbe fatto buon governo della giurisprudenza di legittimità in tema di quasi flagranza. Sostiene il Procuratore della Repubblica ricorrente che non vi era stata soluzione di continuità tra il momento in cui la persona offesa, alle ore 6.00, si era accorta che uno sconosciuto aveva scavalcato il muro di recinzione della sua proprietà grazie all’attivazione del sistema di allarme (che aveva posto in fuga l’individuo), quello in cui la medesima persona offesa, alle ore 7.30, aveva visualizzato i filmati del sistema di videosorveglianza, aveva estrapolato le immagini e le aveva inviate ai Carabinieri e quello in cui questi ultimi si erano messi alla ricerca dell’imputato ore 8.00 -, che avevano individuato e arrestato poco dopo – ore 8.20.
Il pubblico ministero segnala altresì, quanto più propriamente attiene alla sussistenza di un quadro indiziario in ordine al furto, che il Tribunale avrebbe dovuto convalidare l’arresto anche ove avesse ritenuto la sola violazione di domicilio (per cui era stata presentata querela), data la personalità dell’imputato, sottoposto all’obbligo di presentazione alla p.g. per reati contro il patrimonio e gravato da più precedenti per furto.
Il Procuratore generale in sede, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto che il ricorso del pubblico ministero sia accolto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso del pubblico ministero deve essere rigettato.
Per chiarire il percorso valutativo che ha condotto a questa decisione, occorre riepilogare gli avvenimenti della mattina dell’arresto, operazione consentita a questa Corte, anche mediante consultazione degli atti, in quanto il vaglio sulla legittimità dell’arresto è questione processuale, che legittima la Corte di cassazione alla verifica degli atti del procedimento e, data la specificità dello scrutinio richiesto al Collegio, impone anche la verifica della sequenza
cronologica dei fatti (peraltro correttamente ricostruita anche dal pubblico ministero ricorrente).
La persona offesa NOME COGNOME, alle ore 6.00 del 2 febbraio 2025, ha udito suonare l’allarme della sua abitazione. Visionato il sistema di videosorveglianza, si è reso conto che uno sconosciuto era entrato nel giardino di casa oltrepassando una recinzione, sconosciuto che, una volta scattato l’allarme, era scappato.
Alle ore 7.30 così il verbale di arresto i Carabinieri hanno ricevuto la segnalazione del furto; a quell’ora COGNOME ha inviato loro i fotogrammi estrapolati dal sistema di videosorveglianza.
Alle 8.00 i militari hanno avviato le ricerche.
Alle 8.15 COGNOME è stato individuato e fermato dalla polizia giudiziaria, per poi essere arrestato.
Ebbene, il ricorso del pubblico ministero deve essere respinto per l’assorbente considerazione che effettivamente, come ritenuto dal Giudice della convalida, non sussistono le condizioni di cui all’art. 382 cod. proc. pen.
Certamente e non lo sostiene neanche il pubblico ministero ricorrente non vi era la situazione di flagranza ‘piena’, perché COGNOME non è stato « colto nell’atto di commettere il reato » dai militari che l’hanno arrestato.
Non vi era neanche una delle due condizioni tipiche integrative della condizione della tradizionale oggi oggetto di una rimeditazione definitoria figura della ‘quasi flagranza’, perché l’arrestato non è stato « sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima ».
Ci si deve domandare, allora, se l’arrestato come pure previsto dall’art. 382, comma 1, cod. proc. pen. subito dopo il reato sia stato « inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone » , il che equivale, nella specie, laddove indubbiamente non vi è stato inseguimento in senso materiale, a chiedersi se la sequenza di attività della persona offesa e poi della polizia giudiziaria che ha condotto all’identificazione e all’arresto di COGNOME possa dirsi equivalente al concetto di ‘inseguimento’ di cui scrive il legislatore del codice di rito.
A questo interrogativo il Collegio ritiene che debba rispondersi in senso negativo, condividendo e ribadendo il dictum delle Sezioni Unite di questa Corte sulla nozione di flagranza (Sez. U, n. 39131 del 24/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267591 – 01; in termini, tra le altre, la recentissima Sez. 5, n. 6561 del 22/11/2024, dep. 2025, Romeo, Rv. 287616 – 01).
2.1. Le Sezioni Unite, nella sentenza COGNOME, hanno sancito il principio secondo cui è illegittimo l’arresto in flagranza operato dalla polizia giudiziaria sulla base delle informazioni fornite dalla vittima o da terzi nell’immediatezza del fatto, poiché, in tale ipotesi, non sussiste la condizione di “quasi flagranza”, la quale presuppone la immediata ed autonoma percezione, da parte di chi proceda all’arresto, delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con l’indiziato.
In motivazione, il massimo Consesso ha ricordato innanzitutto che la possibilità di adozione provvisoria di provvedimenti de libertate da parte dell’autorità di polizia prevista dall’art. 13, comma 3, Cost. secondo cui « in casi eccezionali di necessità e urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori » restrittivi, da sottoporre alla convalida dell’autorità giudiziaria entro termini perentori deve intendersi una prerogativa eccezionale e, pertanto, laddove prevista dal legislatore ordinario, di stretta interpretazione (in questo senso, Corte cost., sent. n. 89 del 1970). Nell’autorevole precedente si è, così, sostenuto che, nell’ottica della natura eccezionale dei poteri di privazione della libertà personale attribuiti alla polizia giudiziaria, questi ultimi trovano ragionevole giustificazione nella constatazione (da parte di chi procede all’arresto) della condotta del reo, nell’atto stesso della commissione del delitto, ovvero nella diretta percezione di condotte e situazioni personali dell’autore del reato, immediatamente correlate alla perpetrazione e obiettivamente rivelatrici della colpevolezza. Non è, di contro, possibile fondare la decisione di procedere all’arresto sulle sole indicazioni fornite dalla vittima o da terzi alla polizia giudiziaria, laddove quest’ultima non abbia assistito alla perpetrazione del reato ovvero non ne abbia percepito le tracce di commissione ‘immediatamente prima’.
A quest’ultimo riguardo, le Sezioni Unite hanno ragionato sul concetto di ‘inseguimento’ adoperato dal legislatore del codice di rito, concludendo che esso debba essere inteso in senso materiale e debba essere attuato da parte di chi abbia percepito, almeno in parte, l’azione ovvero abbia sorpreso l’autore del fatto con le tracce del recentissimo misfatto.
Non rileva, al contrario, l’inseguimento inteso in senso figurato o metaforico, quale attività di individuazione dell’autore del fatto non già grazie ad un momento direttamente percettivo da parte di chi lo insegue e lo blocca, ma grazie ad una serie di attività investigative, quand’anche svolte nell’immediatezza del fatto.
A questo riguardo, il massimo Consesso ha negato la validità di un’esegesi della nozione anzidetta che prescinda dalla « correlazione tra la percezione diretta del fatto delittuoso (quantomeno attraverso le tracce rivelatrici della immediata
consumazione, recate dal reo) e il successivo intervento di privazione della libertà dell’autore del reato », perché essa andrebbe oltre i limiti di un’interpretazione estensiva della norma sulla flagranza. La cautela imposta all’interprete si legge altresì nella sentenza COGNOME fonda sulla ratio della disposizione in esame, che vede l’eccezionale legittimazione della polizia giudiziaria o del privato a privare della libertà una persona prima dell’intervento dell’autorità giudiziaria giustificata dall’altissima probabilità (e, praticamente, dalla certezza) della colpevolezza dell’arrestato; condizioni, queste ultime, che possono derivare solo dalla diretta percezione e constatazione della condotta delittuosa da parte degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria procedenti all’arresto. Di contro, apprezzamenti e valutazioni tipici della fase ricostruttivoinvestigativa non offrono analoghe garanzie in termini di sicurezza e affidabilità di previsione. D’altra parte come pure osservano le Sezioni Unite se, come si legge nell’art. 382, comma 1, cod. proc. pen., l’inseguimento deve avere inizio « subito dopo il reato », necessariamente l’inseguitore deve avere personale percezione, in tutto o in parte, del comportamento criminale del reo nella attualità della sua concreta esplicazione.
Laddove tale soluzione di continuità sia interrotta, il dato meramente cronologico, costituito dalla brevità del lasso di tempo trascorso dalla commissione del reato all’arresto, dovuta alla tempestività degli esordi e della conclusione dell’attività di ricerca svolta dalla polizia giudiziaria, non valgono ad integrare la condizione di flagranza.
Calati nell’odierna regiudicanda i principi sopra evocati e ribaditi, deve convenirsi con il Giudice monocratico circa l’insussistenza della condizione di ‘quasi flagranza’ poiché:
il fatto è avvenuto alle ore 6.00 e la persona offesa non vi ha assistito, se non per avere visto l’intrusione dello sconosciuto dalle telecamere una volta allertato dal sistema d’allarme e dopo che l’imputato era fuggito (come si evince dal fatto che l’imputato era stato messo in fuga proprio dallo stesso sistema di allarme),
anche la polizia giudiziaria non ha assistito al fatto e si è messa sulle tracce dell’imputato solo dopo avere ricevuto dalla persona offesa le immagini del sistema di videosorveglianza alle ore 7.30,
il rintraccio di Pjetri è avvenuto alle ore 8.15.
Sono trascorse, dunque, circa due ore e mezza, in cui vi sono state sì una rapida attivazione della persona offesa e una tempestiva e proficua attività investigativa da parte dei Carabinieri, ma non l’inseguimento materiale
dell’autore del fatto richiesto per la ricorrenza dei presupposti di cui all’art. 382, comma 1, cod. proc. pen.
Il ricorso del pubblico ministero, pertanto, come anticipato, deve essere respinto siccome infondato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso del pubblico ministero.
Così deciso il 30/04/2025.
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME