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Quasi flagranza: no all’arresto da videosorveglianza

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione di non convalidare un arresto per tentato furto. Il sospetto era stato individuato e arrestato ore dopo il fatto, grazie alle immagini di videosorveglianza fornite dalla vittima. La Corte ha stabilito che mancano i presupposti della quasi flagranza, poiché non c’è stato un inseguimento materiale e ininterrotto da parte della polizia giudiziaria o della vittima subito dopo il reato. La semplice attività investigativa, seppur rapida, non equivale al ‘perseguimento’ richiesto dalla legge.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Quasi flagranza: la videosorveglianza non basta per l’arresto

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17721/2025, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale della procedura penale: i limiti dell’arresto in quasi flagranza. La decisione chiarisce che le riprese di una telecamera di sorveglianza e la successiva attività di ricerca della polizia, anche se tempestive, non sono sufficienti a configurare l’inseguimento richiesto dalla legge per procedere all’arresto. Vediamo insieme i dettagli di questo importante caso.

I Fatti del Caso

Nelle prime ore del mattino, alle 6:00, il sistema di allarme di un’abitazione privata scatta, mettendo in fuga un individuo che aveva scavalcato la recinzione per entrare nel giardino. Il proprietario di casa, allertato dal suono, visiona i filmati del sistema di videosorveglianza e, circa un’ora e mezza dopo, alle 7:30, invia i fotogrammi dell’intruso ai Carabinieri. La polizia giudiziaria avvia immediatamente le ricerche e, alle 8:15, individua e arresta un soggetto corrispondente alle immagini.

Tuttavia, il Giudice del Tribunale, in sede di rito direttissimo, non convalida l’arresto, ritenendo insussistente la condizione di flagranza o quasi flagranza. Contro questa decisione, il Pubblico Ministero presenta ricorso in Cassazione.

La Questione della quasi flagranza e la decisione della Corte

Il cuore della questione giuridica ruota attorno all’interpretazione dell’articolo 382 del codice di procedura penale. Questa norma definisce lo stato di flagranza e quasi flagranza. Si è in quasi flagranza quando una persona, subito dopo il reato, è inseguita dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altri, oppure viene sorpresa con cose o tracce dalle quali appaia che abbia commesso il reato immediatamente prima.

Il Pubblico Ministero sosteneva che non vi fosse stata soluzione di continuità tra la scoperta del reato e l’arresto, configurando così un “inseguimento” valido. La Corte di Cassazione, però, ha respinto il ricorso, confermando la decisione del Tribunale e ribadendo un principio già sancito dalle Sezioni Unite.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha spiegato che l’arresto, essendo una misura eccezionale che limita la libertà personale prima di un accertamento giudiziario, deve essere interpretato in modo restrittivo. La quasi flagranza richiede una percezione diretta e immediata del fatto o delle sue tracce inequivocabili da parte di chi procede all’arresto. Un arresto basato esclusivamente su informazioni fornite dalla vittima o da terzi, come le immagini di una telecamera, non soddisfa questo requisito.

Il concetto di “inseguimento”, secondo la Suprema Corte, deve essere inteso in senso letterale e materiale: un’azione fisica e ininterrotta per catturare l’autore del reato, iniziata da chi ha percepito l’azione criminosa o ha sorpreso il colpevole con le prove del misfatto. Non può essere equiparato a un’attività investigativa, per quanto rapida ed efficiente.

Nel caso specifico, sono trascorse più di due ore tra il tentato furto e l’arresto. In questo lasso di tempo, la polizia giudiziaria non ha inseguito il sospetto, ma ha svolto un’attività di ricerca basata sulle informazioni fornite dalla vittima. Questa sequenza di eventi, sebbene lodevole per la sua efficacia, non integra i presupposti della quasi flagranza.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale a tutela della libertà individuale: l’arresto in flagranza è uno strumento eccezionale, legittimato solo dall’evidenza quasi certa della colpevolezza. Le moderne tecnologie, come la videosorveglianza, sono strumenti investigativi preziosi, ma non possono sostituire i requisiti di immediatezza e percezione diretta che la legge richiede per giustificare una misura così incisiva come l’arresto. La distinzione tra inseguimento materiale e ricerca investigativa rimane netta: solo il primo può fondare un arresto in quasi flagranza.

Quando è legittimo un arresto in quasi flagranza?
L’arresto in quasi flagranza è legittimo solo quando l’autore del reato, subito dopo il fatto, viene inseguito materialmente dalla polizia, dalla vittima o da altre persone, oppure quando viene sorpreso con cose o tracce che dimostrano in modo inequivocabile il suo coinvolgimento nel reato appena commesso.

Le immagini di videosorveglianza possono giustificare da sole un arresto in quasi flagranza?
No. Secondo la Corte, le informazioni fornite dalla vittima o da terzi, incluse le immagini di videosorveglianza, non sono sufficienti a legittimare l’arresto in quasi flagranza se chi procede all’arresto non ha avuto una percezione diretta e autonoma delle tracce del reato o non ha assistito all’azione.

Che differenza c’è tra ‘inseguimento’ e ‘attività di ricerca’ ai fini dell’arresto?
L’inseguimento, ai fini della quasi flagranza, è un’azione fisica, materiale e continua per raggiungere e bloccare chi ha appena commesso un reato. L’attività di ricerca, invece, è un’operazione investigativa, seppur svolta nell’immediatezza, basata su informazioni raccolte (come denunce o video) per individuare l’autore del fatto. Solo il primo giustifica l’arresto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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