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Quasi flagranza: l’arresto è valido con la refurtiva

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che non convalidava un arresto per furto. La decisione chiarisce che la condizione di quasi flagranza sussiste non solo sulla base delle dichiarazioni della vittima, ma soprattutto quando la polizia giudiziaria trova la refurtiva addosso al sospettato subito dopo il fatto. Questo ritrovamento costituisce una traccia diretta del reato che legittima l’arresto, distinguendosi dai casi in cui ci si basa unicamente su informazioni di terzi.

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Pubblicato il 8 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Quasi flagranza e arresto: il ritrovamento della refurtiva è decisivo

L’istituto della quasi flagranza rappresenta uno strumento cruciale nel diritto processuale penale, consentendo l’arresto di un sospettato anche se non colto nell’esatto momento in cui commette il reato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto un importante chiarimento sui presupposti necessari per la sua applicazione, sottolineando la differenza fondamentale tra un arresto basato su semplici dichiarazioni e uno fondato su prove materiali concrete, come il ritrovamento della refurtiva.

I fatti del caso

Il caso trae origine da un furto in un’abitazione privata. Subito dopo l’evento, le forze dell’ordine, allertate, intervenivano e, sulla base delle informazioni fornite dalla vittima e da altre persone, procedevano all’arresto di due individui. Successivamente, il Tribunale competente non convalidava l’arresto, ritenendo che non sussistessero i presupposti della quasi flagranza. Secondo il giudice di primo grado, l’arresto si era basato esclusivamente sulle dichiarazioni raccolte nell’immediatezza dei fatti, senza che la polizia giudiziaria avesse percepito direttamente elementi riconducibili al reato.

Il ricorso del Pubblico Ministero e il concetto di quasi flagranza

Contro questa decisione, il Pubblico Ministero proponeva ricorso in Cassazione. La tesi dell’accusa era chiara: l’arresto non era avvenuto solo sulla base di informazioni testimoniali. Un elemento decisivo, infatti, era stato il risultato della perquisizione personale di uno dei sospettati. Durante tale operazione, gli agenti avevano rinvenuto il denaro sottratto (circa 300 euro) e, soprattutto, uno scontrino che apparteneva inequivocabilmente alla persona offesa. Secondo il ricorrente, tale circostanza integrava pienamente l’ipotesi di quasi flagranza prevista dall’art. 382 del codice di procedura penale, ovvero il caso in cui il presunto reo viene “sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima”.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato. I giudici supremi hanno ribadito un principio consolidato, richiamando anche una precedente pronuncia delle Sezioni Unite: i poteri di arresto della polizia giudiziaria sono eccezionali e devono fondarsi su una percezione diretta e autonoma della condotta criminosa o delle sue tracce immediate.

La Corte ha specificato che un arresto non può basarsi unicamente sulle indicazioni fornite dalla vittima o da terzi, qualora gli agenti non abbiano assistito al reato né percepito direttamente elementi che lo colleghino al sospettato. Tuttavia, il caso in esame era differente. Gli agenti non si erano limitati a raccogliere dichiarazioni, ma avevano trovato addosso a uno degli indagati la refurtiva e lo scontrino personale della vittima. Questo ritrovamento, avvenuto quasi contestualmente al furto, costituisce una “traccia” del reato percepita direttamente e autonomamente dalla polizia giudiziaria.

Secondo la Cassazione, la presenza di questi elementi concreti e inequivocabili ha legittimato l’operato degli agenti, radicando il potere di arresto. Poco importa se l’azione sia stata avviata anche sulla base delle dichiarazioni di terzi; ciò che rileva è la verifica parallela di uno dei presupposti oggettivi richiesti dalla legge, ovvero l’essere sorpresi con le tracce del reato.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza riafferma un principio di fondamentale importanza pratica: il ritrovamento della refurtiva addosso a un sospettato, subito dopo la commissione di un furto, è una circostanza sufficiente a integrare lo stato di quasi flagranza e a giustificare l’arresto. La percezione diretta da parte della polizia giudiziaria delle “cose o tracce” del reato è l’elemento che discrimina un arresto legittimo da uno basato su mere supposizioni o informazioni de relato. La Corte ha quindi annullato l’ordinanza impugnata, sebbene “senza rinvio”, poiché il termine perentorio per la convalida era ormai scaduto, rendendo una nuova pronuncia sul punto puramente formale e priva di effetti giuridici concreti.

Quando un arresto è legittimo in stato di quasi flagranza?
L’arresto è legittimo non solo se la persona viene colta sul fatto, ma anche se, subito dopo il reato, viene inseguita dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone, oppure se viene sorpresa con cose o tracce dalle quali appaia che abbia commesso il reato immediatamente prima.

Le sole dichiarazioni della vittima o di terzi bastano per un arresto in quasi flagranza?
No, la sentenza chiarisce che le sole indicazioni fornite dalla vittima o da terzi alla polizia giudiziaria non sono sufficienti se quest’ultima non ha assistito alla commissione del reato né ha percepito direttamente le tracce di una commissione avvenuta “immediatamente prima”.

Il ritrovamento della refurtiva addosso a un sospettato subito dopo il furto giustifica l’arresto?
Sì, secondo la Corte, il ritrovamento di cose o tracce del reato addosso al sospettato (nel caso specifico, il denaro rubato e uno scontrino della vittima) costituisce una percezione diretta delle tracce del crimine da parte della polizia e fonda la legittimità dell’arresto in stato di quasi flagranza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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