Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 33713 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 33713 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE TRIBUNALE DI REGGIO CALABRIA
nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME nato a MILANO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 17/04/2024 del TRIBUNALE di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni ex art. 611 c.p.p. del PG in persona del Sostituto Proc. Gen. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso e dell’AVV_NOTAIO che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
In data 16 aprile 2024 operanti di p.g. della Questura di Reggio Calabria traevano in arresto COGNOME NOME, alias come in atti, nella quasi flagranza del delitto di cui all’art 624 e 625 cod. pen. (furto di abbigliamento aggravato dalla violenza sulle cose, esposte per consuetudine a pubblica fede).
Il Pubblico Ministero, in assenza di domicilio idoneo, disponeva che l’arrestato fosse posto nelle camere di sicurezza della locale Questura in attesa della celebrazione del dibattimento con rito direttissimo, contestualmente chiedendo l’applicazione della misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria
All’udienza del 14 aprile 2024 il Giudice Monocratico del Tribunale di Reggio Calabria pronunciava ordinanza di non convalida dell’arresto e disponeva l’immediata liberazione dell’arrestato ritenendo insussistente lo stato di quasi flagranza, giudicando il fatto non qualificato dalla pur contestata aggravante della violenza sulle cose e, conseguentemente, inquadrando la fattispecie come ipotesi di arresto facoltativo in flagranza di reato, secondo la valutazione del giudice non giustificata dalla gravità del fatto o dalla pericolosità del soggetto
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione vil Procuratore della Repubblica presso il Tribunale d; Reggio Calabria, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
Per il PM ricorrente il giudice monocratico di Reggio Calabria ha fatto cattivo governo dei principi di cui agli art. 380,381, 382 e 391,comma 4 1 cod. proc. pen. pronunciando ordinanza di non convalida dell’arresto, ritenuto dunque dal giudicante non legittimo. Ed invero, si lamenta che, con un’inversione logica delle questioni giuridiche sottese alla pronuncia sulla convalida, dapprima il giudice ha escluso che il Pubblico Ministero abbia contestato in fatto l’aggravante di cui all’ar 625 comma 2 cod. pen. e, per l’effetto, ha ritenuto non versarsi in una ipotesi di arresto obbligatorio in flagranza di reato e, successivamente, ha valutato non sussistere, rispetto al furto aggravato consumato proprio nello stesso esercizio commerciale in cui è avvenuto l’arresto, lo stato di quasi flagranza, presupposto indefettibile perché sia considerato legittimo il potere di compressione della libert personale esercitato nell’urgenza dalla polizia giudiziaria, potere di carattere certamente eccezionale.
Sotto il profilo della dirimente questione della ricorrenza dei presupposti per procedere all’arresto di cui all’art. 382 cod. proc. pen. il ricorso segnala che il giudice della convalida pare fraintendere l’insegnamento della pronuncia della Corte a Sezioni Unite citata nell’ordinanza (Sez. U. n. 39131/2015) che esclude
che un arresto possa dirsi legittimo se eseguito all’esito di un inseguimento intrapreso sulla base delle indicazioni fornite dalla persona offesa, senza che la polizia giudiziaria che vi proceda abbia autonoma percezione delle tracce del reato e del loro inequivocabile collegamento con l’indiziato. Ciò perché il caso affrontato dalle Sezioni Unite non sembra in alcun modo sovrapponibile a quello in esame. Il verbale di arresto del 16 aprile 2024 riferisce, infatti, di un intervento del personal del Commissariato di Villa San Giovanni, su chiamata della responsabile del negozio RAGIONE_SOCIALE -che successivamente ha sporto denuncia -, proprio all’interno dell’esercizio commerciale ove poco tempo prima era stato commesso un furto di capi di abbigliamento. Nell’occasione veniva identificato un soggetto, indubbiamente riconosciuto ed indicato dalla denunciante come colui che aveva posto in essere il furto, con ancora indosso gli indumenti sottratti, circostanza che poteva essere percepita dagli operanti che, infatti, ne davano atto – sia pure succintamente – nel verbale di arresto, riferendo che il soggetto fermato effettivamente indossava gli abiti indicati come sottratti dal personale del negozio, che aveva rinvenuto i cartellini divelti nel camerino.
Nel verbale di arresto si può leggere che “lo stesso soggetto indossava sia la t -shirt azzurra che il giubbotto piumino di colore blu che la direttrice riferiva fossero corrispondenti ai cartellini rinvenuti in camerino”, constatazione che quindi viene operata oltre che dalla responsabile del negozio nel momento in cui ferma il soggetto che non oppone resistenza, dalla stessa polizia giudiziaria intervenuta sul posto subito dopo, su sua chiamata. In questo caso la polizia giudiziaria non individua il soggetto, ricercandolo sulla base di quanto dichiarato dalla persona offesa, ma interviene, peraltro sul luogo ove poco tempo prima è stato perpetrato il furto, potendo direttamente constatare che la merce sottratta è quella indosso al soggetto controllato e successivamente arrestato, il quale, per altro, aveva abbandonato i propri indumenti all’interno del camerino del negozio.
Sussiste, pertanto, per il PM ricorrente, in relazione alla condotta di furto,la quasi flagranza del contestato reato, atteso che l’imputato è stato controllato e fermato poco dopo, ancora all’interno del centro commerciale “Perla dello Stretto”, nello stesso contesto spazio temporale in cui – immediatamente prima – aveva commesso il furto, con ancora addosso – letteralmente il corpo del reato.
Il caso affrontato dalle Sezioni Unite ha, invece, ad oggetto un arresto eseguito sulla base delle sole indicazioni della persona offesa riguardanti le generalità dell’aggressore, senza dunque che la polizia giudiziaria — che effettuava le ricerche successivamente sulla base di un nominativo noto e comunque in suo possesso – potesse avere un’autonoma percezione di tracce idonee a collegare in modo univoco quel soggetto ad un reato commesso immediatamente prima.
Giova ricordare – si legge in ricorso- che affinché possano dirsi integrati i presupposti della fragranza di reato (o della quasi flagranza), è necessario che il soggetto agente: a) venga colto nell’atto di commettere il reato o una parte di esso; b) subito dopo il reato venga inseguito dalla P.G., dalla persona offesa o da altre persone; c) ancora subito dopo il reato venga sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima.
Ora, esclusa la diretta percezione da parte della p.g. operante della commissione del reato, ciò che si chiede di analizzare nel caso in esame è la sussistenza della quasi flagranza, che si ha allorquando l’intervento degli operatori di p.g. avvenga immediatamente dopo il fatto di reato e l’autore di esso sia individuato sulla scorta di elementi (cose o tracce) assunti nell’immediatezza e che siano tali da elidere ogni giudizio valutativo sulla paternità dell’azione delittuosa in capo a ta luno. Sul punto ricorda il PM ricorrente che, in tema di “cose o tracce dalle quali appaia che il soggetto abbia commesso il reato immediatamente prima” è intervenuta la sentenza n. 37303/2019, che ha espresso una precisa chiave di lettura della quasi flagranza e, pur mantenendosi nel solco del dictum delle Sezioni Unite n. 39131/2015, ha precisato come per “cose o tracce” debba intendersi non necessariamente quanto coincidente con il compendio del reato (il riferimento è da intendersi, ad esempio, al corpo del reato) ma anche ogni elemento, oggetto di diretta percezione da parte della P.G. che procede all’arresto, che sia idoneo “a farle ritenere sussistente, con altissima probabilità, la responsabilità del medesimo (ossia dell’arrestato), nei limiti temporali determinati dalla commissione del reato «immediatamente prima»”. Quindi, come osservato dalla giurisprudenza di legittimità, anche il vestiario descritto dalla vittima, non le sole sue generalità, pu costituire un valido elemento che, direttamente percepito dalla p.g., sia idoneo a far ritenere sussistente, con altissima probabilità, la responsabilità dell’arrestat per un reato commesso immediatamente prima. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nella sentenza 37303/2019 la Corte di legittimità si sofferma sulla sussistenza della quasi flagranza quando la polizia giudiziaria che procede all’arresto abbia individuato l’autore del reato nella immediatezza del fatto grazie alla descrizione del vestiario operata dalla vittima. Tale significativa pronuncia, per il PM ricorrente, fornisce una lettura della pronuncia a S.U., confermata anche dalla successiva giurisprudenza della Corte, molto diversa da quella operata dal giudice della convalida, peraltro in un caso in cui il legame tra le tracce del delitto commesso immediatamente prima con cui è sorpreso l’autore del fatto ed il fatto-reato appare molto meno forte di quello obiettivamente sussistente nel caso di specie.
Per il PM ricorrente va evidenziato che nell’ipotesi dell’arresto di COGNOME le tracce del reato di cui la polizia giudiziaria intervenuta ha potuto avere immediata percezione sono costituite proprio dal corpo del reato e la persona offesa non ha
fornito una descrizione del reo in ragione della quale sono iniziate fruttuose ricerche, fatto che in ogni caso avrebbe consentito la convalida dell’arresto sulla base della pronuncia citata e delle successivi conformi, ma ha semplicemente indicato agli operanti l’autore del fatto nel luogo in cui questo è stato commesso.
L’insegnamento pi Sezioni Unite, infatti, non stabilisce alcuna preclusione in ordine alla possibilità per la Polizia Giudiziaria di procedere ad un arresto sulla base delle indicazioni fornite dalla persona offesa, ma richiama alla necessità che vi sia, al momento dell’arresto, la percezione diretta da parte degli operanti di tracce che inequivocabilmente conducano ad una rappresentazione del soggetto fermato quale autore di un fatto di reato commesso poco prima.
Sul punto per il PM ricorrente è utile richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale, espresso in più pronunce dalla Suprema Corte e compendiato ad esempio da Sez. 4 n. 38404/2019, anche successivamente alla pronuncia di S.U., in parte già indicato anche nella richiesta di convalida dell’arresto, che af ferma sussistente l’ipotesi di quasi flagranza tutte le volte che la polizia giudiziar intervenuta abbia autonoma e diretta percezione delle tracce del reato e del loro inequivocabile collegamento con l’indiziato.
La sussistenza della quasi flagranza del reato, nell’ipotesi dell’arresto operato a carico dell’imputato, è indubbia anche a seguito del confronto con altre pronunce della Corte di Cassazione che ammoniscono in ordine all’esigenza che le tracce di commissione del reato non siano equivoche, come nel caso del denaro per sua natura fungibile (Sez. 4 n. 5349/2020), nonché in ordine alla necessità che all’individuazione del responsabile ed al suo arresto si pervenga non già in seguito allo svolgimento di attività di indagine consistita nell’assunzione di informazioni e di elementi fattuali diversi da quelli indicati nell’art. 382 cod. proc. pen., bensì ne immediata ed autonoma percezione, da parte di chi proceda all’arresto delle tracce e del loro inequivocabile collegamento con l’indiziato (Sez. 4, n. 36169/2021, COGNOME).
Nell’ipotesi dell’arresto di COGNOME NOME gli elementi di fatto da cui la polizia giudiziaria ha avuto immediata percezione del furto commesso immediatamente prima, id est le tracce del reato, sono per il PM ricorrente di indubbia univocità, se solo si considera che l’arrestato letteralmente indossava gli indumenti sottratti poco prima, nei fatti esibendo alla polizia giudiziaria intervenuta il cor del reato ed aveva persino abbandonato sul posto i propri vestiti, anche questi da ritenersi tracce del reato di furto. Nessuna ricerca o inseguimento sulla base di attività di indagine sono stati intrapresi e, anzi, l’intervento e poi l’arresto s avvenuti nello stesso luogo teatro del furto. Circostanza, questa ultima, che neppure la giurisprudenza più recente e accreditata richiede perché possano dirsi integrati i presupposti di cui all’articolo 382 cod. proc. pen., ma che indubbiamente
non può che corroborare ulteriormente il giudizio positivo sulla sussistenza della quasi flagranza.
Per il PM ricorrente ciò che preme affermare, nel solco delle argomentazioni fondate sul consolidato e costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, è la necessità di un’interpretazione che non sia vistosamente viziata da una marcata irragionevolezza, nel non consentire alla polizia giudiziaria che interviene sul luogo del furto di procedere all’arresto neppure quando constata che il soggetto controllato è nel possesso, nel caso di specie indossa, il bene sottratto.
Quanto alla ricorrenza della contesta aggravante e dunque sulla natura obbligatoria o facoltativa dell’arresto di COGNOME NOME, per il PM ricorrente il giudice della Convalida ha operato una valutazione dell’imputazione del Pubblico Ministero che appare errata, quando non ravvisa la contestazione -neppure in fatto- dell’aggravante della violenza sulle cose, circostanza che -sussistendo- impone alla polizia giudiziaria intervenuta di procedere all’arresto. La violenza sulla cosa -come è noto- deve essere parametrata alla finalità del delitto di furto, che è normativamente quella di profitto. L’autore del fatto, dunque, nell’applicare violenza sul bene per riuscire nella condotta di sottrazione e impossessamento, farà in ogni caso attenzione a non rendere la cosa inservibile.
Sul punto si osserva in ricorso che dalla lettura dell’imputazione elevata nei confronti dell’arrestato emerge con preponderante evidenza la contestazione sia in rubrica e che all’interno del capo di imputazione dell’aggravante, laddove è esplicitamente richiamato l’art. 625 n. 2 cod. pen. e viene testualmente scritto, nella descrizione della fattispecie, che nel camerino sono stati rinvenuti divelti, vale a dire strappati con forza, i cartellini relativi all’abbigliamento sottratto.
Per il PM ricorrente deve escludersi che la mancanza dell’indicazione dell’espressione “con l’aggravante di cui all’art. 625 n. 2 cod. pen.”, dall’utilizzo invals a chiusura del capo di imputazione, possa condurre alle conclusioni cui è pervenuto il giudice della Convalida, che pare avere operato un’interpretazione tuzioristica e fallace della giurisprudenza richiamata sul punto, la quale richiede soltanto che siano rese manifeste le circostanze di fatto, oggetto di considerazione del Pubblico Ministero in ordine alla sussistenza di una circostanza aggravante di natura valutativa.
Secondo l’insegnamento di Sezioni Unite Sorge e di Sez. 5 n. 3741/2024, la valutazione operata dal Pubblico Ministero in ordine agli elementi di fatto in ragione dei quali ritiene ricorrere una circostanza aggravante deve essere esplicitata nell’imputazione, al fine di rendere comprensibile il ragionamento operato in ordine al giudizio positivo sulla integrazione di una circostanza aggravante di natura valutativa. A tale indicazione il Pubblico Ministero ha indubbiamente provveduto nel caso di specie.
Per il PM ricorrente le richiamate pronunce, però, non posso essere interpretate nel senso di sovvertire le regole di valutazione di natura normativa e giurisprudenziale che presiedono al pudizio di Convalida.
In sede di convalida dell’arresto, il Giudice, oltre a verificare l’osservanza de termini previsti dagli artt. 386, comma 3, e 390, comma I, cod. proc. pen., è chiamato ad accertare la sussistenza dei presupposti legittimanti l’avvenuta restrizione della libertà personale dell’imputato, conformemente ai parametri di cui agli artt. 380, 381 e 382 cod. proc. pen., valutando la legittimità dell’operato della polizia giudiziaria sulla base di una verifica di ragionevolezza in relazione allo stat di flagranza e all’ipotizzabilità di uno dei reati di cui agli artt. 380 e 381 cod. p pen.
Sotto tale profilo viene evidenziato come tale verifica da parte dell’organo giudicante debba essere effettuata alla luce di una chiave di lettura che non deve riguardare né la gravità indiziaria e le esigenze cautelari (valutazione riservata all’applicabilità delle misure cautelari coercitive), né l’apprezzamento sulla responsabilità, valutazione riservata alla sola fase di cognizione del giudizio di merito (cf ex multis, Sez. 6, n. 48471/2013, Scalici, Rv. 258230).
Più precisamente, il giudice della convalida è chiamato a verificare la legittimità dell’arresto operato dalla polizia giudiziaria mediante una valutazione ex ante, cioè condotta in riferimento alle circostanze che gli agenti hanno conosciuto – o avrebbero potuto conoscere mediante la dovuta diligenza – all’atto del provvedimento restrittivo (sul punto cfr. Sez. 1, n. 8708 dell’810212012, COGNOME, Rv. 252217; Sez. 5, n. 10916 del 1210112012, COGNOME, Rv. 252949).
L’oggetto della decisione afferente alla convalida della misura precautelare è, dunque, costituito dalla ragionevolezza dell’atto di polizia in relazione allo stato d flagranza ed alla configurabilità del reato che consente il provvedimento restrittivo.
L’applicazione di tali principi esclude che il controllo del giudice si estenda a tema della colpevolezza, riservato esclusivamente al giudizio di merito.
Il giudice deve quindi accertare la sola sussistenza del fumus commisi del/citi, non essendo la polizia giudiziaria operante tenuta a svolgere una prognosi in ordine alla sussistenza del reato in tutti i suoi elementi costitutivi atteso che ta giudizio è riservato al solo organo giudicante nelle successive fasi processuali (Sez. 5, n. 5040/2016).
La declinazione di tali principi impone dunque di tenere ben distinti il piano del controllo sull’operato della p.g. da quello della prova dei fatti e quindi d merito dell’imputazione, cosi come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità con le sentenze Sez. 6 n. 700/2014 e Sez. 3, n. 35304/2016.
Ricorda il PM ricorrente come, anche in punto di sussistenza delle aggravanti, la valutazione cui è chiamato il giudice in sede di convalida in ordine alla legittimit
dell’arresto è una valutazione ex ante, in punto di ragionevolezza delle determinazioni assunte dalla polizia giudiziaria al momento dell’arresto. (Sez 3, n. 8422/2018; Sez 3, n. 12954/2021). Sez. 5, n. 21900/2023 che, peraltro, conferma l’orientamento già espresso da Sez. 5, n. 27049 del 19/3/2008
L’atto con cui la polizia giudiziaria limita la libertà personale dell’arresta deve invece essere ritenuto legittimo, valutata non già a posteriori la gravità del fatto, e neppure la fondatezza dell’accusa, ma la situazione di fatto così come percepita dagli operanti al momento dell’intervento.
Il tribunale deve limitare il proprio controllo alla sola sussistenza dei presupposti legittimanti l’eseguito arresto, ossia valutare la legittimità dell’operato del polizia sulla base di un controllo di ragionevolezza, in relazione allo stato di fla granza ed alla mera ipotizzabilità di uno dei reati richiamati dagli artt. 380 e 381 c.p.p, dovendosi escludere che questo possa riguardare l’esistenza di gravi indizi o la responsabilità del reato contestato, attraverso indagini ricostruttive dell’epi sodio in tutti i suoi elementi costitutivi vieppiù in ordine alla sussistenza della con testa aggravante (Sez. 6, n. 8029 del 11/12/2002, dep. 2003, Fiorenza, Rv. 223963 – 01).
Tale vaglio giudiziale, anche nella non condivisibile ipotesi della riqualificazione del furto (pluri)aggravato commesso da COGNOME NOME come furto semplice, deve consistere in un controllo di mera plausibilità, dovendosi porre il giudice nella stessa situazione di chi ha operato l’arresto onde verificare, sulla base degli elementi al momento conosciuti, se la valutazione di procedere alla misura precautelare rimanga nei limiti della discrezionalità della polizia giudiziaria e trov ragionevole motivox nella gravità del fatto o nella pericolosità del soggetto, senza estendere invece il predetto controllo alla verifica dei presupposti per l’affermazione di responsabilità.
Anche in ordine a tale ultimo profilo, e solo per completezza delle argomentazioni alla luce degli argomenti spesi dal giudice nella propria ordinanza -atteso che secondo il Pubblico Ministero l’arresto di COGNOME NOME deve ritenersi, senza ombra di dubbio, un’ipotesi di arresto obbligatorio in flagranza- il provvedimento del tribunale si dimostrerebbe carente di adeguata motivazione in ordine alla sussistenza dei requisiti previsti dall’art. 381, comma 4, cod. proc. pen.
Sul punto si evidenzia in ricorso come il giudicante abbia sostanzialmente omesso di considerare l’orientamento espresso in sede di legittimità riguardo al vaglio dei presupposti della gravità del fatto e della pericolosità sociale dell’imputato secondo cui “il controllo del giudice circa il provvedimento adottato dalla polizia giudiziaria, non può essere limitato al riscontro dell’osservanza dei requisit formali dell’arresto, ma deve essere estesa al controllo dei presupposti sostanziali per l’arresto, soprattutto sulla gravità del fatto o sulla pericolosità del sogget
desunta dalla sua personalità e dalle circostanze del fatto, da valutare in termini di ragionevolezza con riferimento agli elementi conosciuti e conoscibili da parte della polizia al momento del fatto” (Sez. 6, n. 29566/2018).
Ebbene, la motivazione dell’ordinanza impugnata, con la quale è stata esclusa la ricorrenza delle condizioni previste dall’art. 381, comma 4, cod. proc. pen. per legittimare l’arresto facoltativo in flagranza in disamina, in relazione alla sussi stenza dei requisiti di cui alla gravità del fatto e/o alla pericolosità del soggetto paleserebbe come apparente, in quanto meramente assertiva delle ragioni di insussistenza ditali requisiti. Il giudicante – si osserva in ricorso – esclude la pericolosità del soggetto sulla sola base della formale incensuratezza, non avendo lo stesso tenuto una condotta particolarmente allarmante, senza considerare, nell’ottica della polizia giudiziaria, l’allarme deducibile dalla commissione di un reato di “criminalità urbana” e, sotto il profilo oggettivo, si limita a valutare come no connotata da particolare gravità la condotta dell’arresto.
Il PM ricorrente chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
Le parti hanno reso le conclusioni scritte riportate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il proposto ricorso è fondato e pertanto l’ordinanza impugnata va annullata senza rinvio in quanto l’arresto è stato legittimamente eseguito.
Va ricordato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte Suprema in sede di convalida di un provvedimento coercitivo il giudice è tenuto unicamente a valutare la sussistenza degli elementi che legittimavano l’adozione della misura con una verifica “ex ante” (deve tener conto, cioè, della situazione conosciuta dalla polizia giudiziaria ovvero da quest’ultima conoscibile con l’ordinaria diligenza al momento dell’arresto o del fermo), con esclusione delle indagini o delle informazioni acquisite successivamente, le quali sono utilizzabili solo per l’ulteriore pronuncia sullo “status libertatis” (cfr. Sez. 4, n. 16332 del 23/02/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 3, n. 2454 del 20/11/2007 dep. 2008, COGNOME e altro, Rv. 238533; conf. Sez. 3 n. 35962 del 7.7.2010, COGNOME, Rv. 248479).
La valutazione del giudice della convalida sulla legittimità dell’arresto deve limitarsi alla verifica delle condizioni legittimanti la privazione della libertà per nale da parte della polizia giudiziaria, compiendo una valutazione ex ante, con riferimento agli elementi di giudizio conosciuti, o agevolmente conoscibili con l’ori dinaria diligenza, dalla polizia giudiziaria al momento dell’arresto.
Ancora, come ricorda il PM ricorrente, questa Corte di legittimità GLYPH affermato che, in sede di convalida dell’arresto, il giudice, oltre a verificare l’osservanza dei termini previsti dall’art. 386, co. 3 e 390, co. 1 cod. proc. pen., deve controllar la sussistenza dei presupposti legittimanti l’eseguito arresto, ossia valutare la legittimità dell’operato della polizia sulla base di un controllo di ragionevolezza, i relazione allo stato di flagranza ed all’ipotizzabilità di uno dei reati richiamati da artt. 380 e 381 cod proc. pen., in una chiave di lettura che non deve riguardare né la gravità indiziaria e le esigenze cautelari (valutazione questa riservata all’applicabilità delle misure cautelari coercitive), né l’apprez2.amento sulla responsabilità, riservato alla fase di cognizione del giudizio di merito (così Sez. 6, n. 48471 del 28/11/2013, Rv. 258230 in un caso in cui un arresto in flagranza per illecita detenzione di sostanze stupefacenti non era stato convalidato, ritenendo non provato l’uso non personale in relazione alla modesta quantità e alle giustificazioni fornite dall’arrestato, in cui la Corte ha annullato l’ordinanza, ritenendo che erano state effettuate valutazioni sulla gravità indiziaria, ma senza rinvio considerando che comunque il giudice aveva riconosciuto implicitamente la legittimità dell’arresto; conf. Sez. 6, n. 8341 del 12/2/2015, NOME, Rv. 262502 che ha annullato senza rinvio l’ordinanza di diniego della convalida dell’arresto che aveva compiuto pregnanti valutazioni di merito inerenti alla credibilità della versione dei fatti r presentata dall’indagato, anche giungendo a ritenere non perfezionato, in ragione di tali giustificazioni, l’elemento soggettivo del reato).
L’atto con cui la polizia giudiziaria limita la libertà personale dell’arresta deve invece essere ritenuto legittimo o meno, valutata non già a posteriori la gravità del fatto, e neppure la fondatezza dell’accusa, ma la situazione di fatto così come percepita dagli operanti al momento dell’intervento.
Il vaglio di legittimità dell’arresto deve essere sostanziale, risolvendosi in di niego della convalida ogni qualvolta sia accertata la carenza delle condizioni per la restrizione, ma va condotto secondo i parametri tipici della sede e sull’oggetto che gli è proprio (il provvedimento, non la responsabilità dell’arrestato). Per questa ragione non rilevano elementi non acquisiti né acquisibilì al momento del fatto, né possono applicarsi gli standard probatori tipici del merito o della sede cautelare. È perfettamente concepibile che i presupposti di «ragionevolezza» dell’arresto vengano meno per riscontrate inesattezze o false attestazioni della forza operante; e tuttavia – senza alcun pregiudizio sfavorevole ad eventuali allegazioni difensive una conclusione del genere non può essere tratta attraverso parametri di valutazione tipici del giudizio cautelare o del giudizio di merito, utilizzati oltretutto in sede e in una fase fisiologicamente segnate dall’incornpiutezza de/l’indagine e delle relative verifiche (Sez. 6, n. 700 del 03/12/2013, Yawat, dep. 2014 Rv. 257851)”. Ed ancora “Nell’operare tale controllo, il giudice della convalida deve
verificare se la polizia giudiziaria, in una situazione indifferibile ed urgente, si legittimamente o meno sostituita all’autorità giudiziaria nel comprimere il diritto di libertà personale del cittadino e, per fare ciò, il giudice deve porsi, trattando di una verifica che attiene al passato, nella medesima situazione nella quale la polizia giudiziaria ha operato, verificando dal verbale di arresto (o di fermo), che certifica e cristallizza la situazione di fatto e giuridica che ha indotto la pol giudiziaria ad eseguire la misura precautelare, la sussistenza o meno dei requisiti richiesti dalla legge per imporre al cittadino, in via provvisoria ed in attesa dell’ tervento del giudice, un sacrificio della libertà personale (Sez. 3, n. 35304 del 11/05/2016, Cobuccio, Rv. 267999-01) “.
3. Tale regula iuris non risulta affatto rispettata dal GIP del Tribunale di Reggio Calabria.
In primis ed è tema che, per ragioni sistematiche va analizzato prima di quello della quasi flagranza- il giudice della convalida erra nella valutazione circa la mancata contestazione o comunque l’insussistenza dell’aggravante della violenza sulle cose, con conseguente facoltatività dell’arresto.
L’esclusione in questione viene operata sulla base di una lettura dell’imputazione provvisoria che non solo è avversata dal Pubblico Ministero ricorrente, per le condivisibili ragioni esposte in ricorso, ma che, soprattutto, omette di considerare che ciò che rileva ai fini del giudizio di convalida è la ragionevolezza dell’operato della p.g. e la situazione che prima facie appariva agli operanti.
Ebbene, sotto il profilo in esame, anziché limitarsi ad una valutazione ex ante sulla ragionevolezza dell’operato della polizia giudiziaria, il giudice della convalida ha operato un giudizio unitario ai fini della convalida dell’arresto e della decision sulla domanda cautelare, così finendo per applicare al primo giudizio i più stringenti parametri che sono imposti per il secondo.
Si è detto che egli doveva limitare il proprio controllo alla sola sussistenza dei presupposti legittimanti l’eseguito arresto, ossia valutare la legittimità dell’ perato della polizia sulla base di un controllo di ragionevolezza, in relazione allo stato di flagranza ed alla mera ipotizzabilità di uno dei reati richiamati dagli art 380 e 381 cod. proc. pen., dovendosi escludere che questo possa riguardare l’esistenza di gravi indizi o la responsabilità del reato contestato, attraverso indagini ricostruttive dell’episodio in tutti i suoi elementi costitutivi vieppiù in ordine sussistenza della contesta aggravante (Sez. 6, n. 8029 del 11/12/2002, dep. 2003, Fiorenza, Rv. 223963 – 01). Ebbene, in tale ottica il giudizio di merito sulla sussistenza dei presupposti di fatto e, nell’ipotesi che ci occupa, la valutazione in ordine all’intensità della violenza, cui il giudice pare sottendere quando esclude la ricorrenza dell’aggravante -posto che questa è stata contestata dal Pubblico Ministero
sia formalmente che in fatto- è precluso al giudice della convalida, dovendo questi, al fine di valutare la legittimità dell’arresto operato dalla polizia giudiziaria, po nella medesima ottica in cui questa ha proceduto ed operare una valutazione della ricorrenza dei presupposti dell’arresto ex ante al tempo dell’intervento e sulla base delle verifiche esperibili nell’immediatezza dello stesso (Sez 3, nn. 8422/2018 e 12954/2021).
Non deve infatti essere confuso il piano della valutazione dei fatti nel merito, dell’eventuale necessità di una misura cautelare, della fondatezza dell’accusa mossa dal Pubblico Ministero, finanche dell’umana comprensione in ordine alla realizzazione di condotte antisociali oltre che illegali da parte di un soggetto in difficoltà (Sez. 5, n. 21900/2023 che, peraltro, conferma l’orientamento già espresso da Sez. 5, n. 27049 del 19/3/2008), con quello della sussistenza dei presupposti fissati dalla legge perché possa dirsi legittimo l’intervento della polizia giudiziaria.
L’ordinanza impugnata si rivela errata anche perché non fa buon governo dell’art. 382 cod. proc. pen., laddove esclude la quasi flagranza del reato di furto sarebbe stata evinta dagli operanti non già sulla base della diretta percezione dei fatti ma sulla base di quanto dichiarato da un terzo soggetto (la direttrice responsabile dell’esercizio commerciale in cui è avvenuto il furto).
Com’è noto, l’art. 382 cit. contempla tre distinte ipotesi di flagranza.
La prima ricorre quando il soggetto viene colto nell’atto di commettere il reato: in tale ipotesi, chi procede all’arresto ha diretta percezione del reato e sorprende il colpevole «sul fatto» e l’arresto avviene nel luogo e nel momento stesso in cui il reato è stato commesso.
Altra ipotesi ricorre in caso di inseguimento dell’autore del delitto: l’inseguimento del colpevole determina lo stato di flagranza, indipendente da chi provveda ad attuarlo, sia esso la persona offesa, la polizia giudiziaria o altra persona, purché l’inseguimento avvenga subito dopo la commissione del reato.
La terza ipotesi – la “quasi flagranza” che viene in rilievo in casi come quello in esame- ricorre quando il soggetto viene sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima: in tale evenienza l’arresto viene eseguito anche in luogo diverso da quello ove il delitto si è perfezionato e a breve distanza di tempo da esso e non è necessario che chi abbia proceduto all’arresto abbia avuto diretta percezione del reato, essendo sufficiente che egli abbia avuto immediata ed autonoma percezione delle cose o delle tracce e del loro inequivocabile collegamento con l’arrestato (in tal senso Sez. U, n. 39131 del 24/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267591). Ed invero, è pacifico che “in tema di arresto in flagranza, la c.d. “quasi flagranza” ricorre quando l’arresto è
operato dalla polizia giudiziaria sulla base della immediata ed autonoma percezione delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con l’indiziato” (Sez. 4 n. 1797/2018); ed è altresì consolidata l’affermaz:one secondo cui “in tema di arresto operato d’iniziativa dalla polizia giudiziaria nella quasi flagranza del reato, il requisito – previsto dall’art. 382, comma primo, cod. proc. pen. – della “sorpresa” dell’indiziato “con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima” non richiede che la p.g. abbia diretta percezione dei fatti, né che la sorpresa avvenga in modo non casuale, correlandosi invece alla diretta percezione da parte della stessa soltanto degli elementi idonei a farle ritenere sussistente, con altissima probabilità, la responsabilità del medesimo, nei limiti temporali determinati dalla commissione del reato “immediatamente prima”, locuzione dal significato analogo a quella (“poco prima”) utilizzata dal previgente codice di rito, di cui rappresenta una mera puntualizzazione quanto alla connessione temporale tra reato e sorpresa: cfr, ex multis, Sez. 2 n. 19948 del 04/04/2017, Rv. 270317.
Nella recente Sez. 4, n. 44637 del 10/10/2023, Orejuela I non mass, la Corte, in una situazione analoga a quella che ci occupa, ha già avuto modo di invitare ad una corretta lettura del dictum di COGNOME.COGNOME. COGNOME che – va nuovamente chiarito si occupa del caso in cui, giunta la polizia giudiziaria sul luogo del fatto, l’autor se ne sia già allontanato. Afferma, infatti, la Suprema Corte non possa considerarsi “inseguito” il soggetto, alla cui identificazione la polizia giudiziaria sia giunta (senz avere assistito direttamente alla condotta delittuosa, neppure in parte) esclusivamente in forza delle indicazioni offerte, nell’immediatezza, dai testimoni del reato.
Il caso analizzato da Sez. 4 n. 44637/2023 – come quello che ci occupa- è completamente diverso. Quando la polizia giudiziaria è giunta, l’autrice del fatto (una borseggiatrice nella metro capitolina) era ancora lì presente, perché inseguita e fermata dalla stessa persona offesa. E di tale continuità dell’inseguimento, oltre che del possesso della res furtiva, dava atto anche un soggetto terzo quale l’addetto alla vigilanza della metropolitana. L’autrice del furto doveva, pertanto, considerarsi (ai sensi dell’art. 382 co.1 cod. proc. pen. “inseguito” (non dalla PG, ma) “dalla persona offesa …”.
La quasi flagranza che legittima l’arresto presuppone che vi sia, come nel caso in esame, una correlazione tra l’azione illecita e l’attività di limitazione della libe che pur superando l’immediata individuazione dell’arrestato sul luogo del reato, permetta comunque la riconduzione della persona all’illecito sulla base della continuità del controllo, anche indiretto, eseguito da coloro i quali si pongano al suo inseguimento, siano le parti lese o gli agenti della sicurezza (così Sez. 6, n. 19002 del 3/4/2012, COGNOME, Rv. 252872 che, in applicazione del principio, ha escluso ricorresse la quasi flagranza con riferimento all’ arresto dell’autore di una rapina,
effettuato poco dopo la commissione del reato dalla polizia giudiziaria nella sua abitazione, individuata a seguito dell’indicazione degli estremi identificativi forni dalla persona offesa).
Sez. 2, n. 37303 del 14/06/2019, Teducci, Rv. 276823-01 condivisibilmente chiarisce che , in tema di arresto in flagranza, per la configurabilità della cd. “quas flagranza” la nozione di cose o tracce dalle quali emerga che un soggetto abbia commesso il reato non coincide necessariamente con il compendio dello stesso. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto integrata la quasi flagranza in un caso in cui l’autore di una rapina era stato arrestato dalla polizia grazie alla descrizione del vestiario operata dalla vittima nella quasi immediatezza del fatto, congiuntamente al ritrovamento della borsa della persona offesa abbandonata sulla via di fuga)”
La coeva Sez. 4, n. 38404 del 19/06/2019, COGNOME, Rv. 277187-01 ha affermato che per la quale “in tema di arresto in flagranza, l’integrazione della ipotesi della “quasi flagranza” costituita dalla sorpresa dell’indiziato con tracce o cose dalle quali appaia che l’indiziato abbia commesso il reato immediatamente prima non richiede che la polizia giudiziaria abbia diretta percezione dei fatti, né che la sor presa avvenga in modo non casuale, correlandosi invece alla diretta percezione da parte della stessa soltanto degli elementi idonei a farle ritenere sussistente, con altissima probabilità, la responsabilità del medesimo, nei limiti temporali determinati dalla commissione del reato immediatamente prima.
Sez. 5, n. 34326 del 12/10/2020, Ritacca Rv. 280247 – 01 puntualizza a sua volta che “la c.d “quasi flagranza” presuppone che l’inseguimento dell’indagato sia attuato subito dopo la commissione del reato, a seguito e a causa della sua diretta percezione, da parte della polizia giudiziaria, del privato o di un terzo, ma non postula la coincidenza del soggetto inseguitore con quello che procede all’arresto. (il caso era relativo ad una fattispecie in cui la vittima, dopo aver assistito al fur di alcuni attrezzi da lavoro nella propria abitazione, aveva inseguito gli autori senza perderli di vista, bloccandone l’auto fino all’arrivo della polizia giudiziaria).
Non vi sono ragioni perché questo principio, affermato per l’ipotesi dell’inseguimento, non possa a fortiori applicarsi anche ad ipotesi come quella che ci occupa in cui il privato fermi l’autore del reato che non oppone resistenza nel luogo ove è stato commesso il fatto, in attesa dell’arrivo della polizia giudiziaria.
Dunque, anche nel caso di specie – diversamente da quanto opina il giudice AVV_NOTAIO – ricorreva senz’altro la quasi flagranza, avuto riguardo alle circostanze, opportunamente poste in rilievo in ricorso, dalle quali risulta che l’arrestato indossava ancora gli indumenti rubati, la cui sottrazione risultava comprovata dalla rottura dei cartellini, ritrovati divelti nel camerino.
Ed invero, come detto, ciò che rileva ai fini della valutazione dello stato di quasi flagranza è se le tracce del reato siano tali da consentire alla polizia giudiziaria di formulare in termini di alta probabilità il giudizio di riferimento del fa di reato alla persona’ e l’integrazione dell’ipotesi della cd. “quasi flagranza” non richiede, a differenza del caso dell’inseguimento, che la polizia giudiziaria abbia diretta percezione della commissione del reato, essendo sufficiente l’immediata percezione delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con l’indiziato nei limiti temporali sopra descritti.
Dunque, nel caso di specie l’arresto risulta disposto conformemente all’art. 382 cod. proc. pen.
6. In conformità con quanto sollecitato dal PM ricorrente ed in ossequio all’orientamento oramai prevalente della giurisprudenza di legittimità (per il quale si vedano, ex multis, Sez. 6 n. 45910 del 16/10/2013, PM in proc. COGNOME, rv. 258162; Sez. 3, n. 26207 del 12/05/2010, COGNOME, Rv. 247706; Sez. 1 n. 5983 del 21/01/2009, NOME, Rv. 243358; Sez. 6, n. 37009 del 28/09/2007, COGNOME, Rv. 237192), ritenuto che l’eventuale rinvio solleciterebbe una pronuncia meramente formale, priva di ricadute quanto ad effetti giuridici, l’annullamento va disposto senza rinvio, ai sensi dell’art. 620, comma 1, lett. I), cod. proc. pen., trattandosi di situazione in cui appare superfluo lo svolgimento di un giudizio di rinvio con riferimento ad una fase oramai esauritasi, nella quale il giudice di merito dovrebbe limitarsi a statuire la correttezza della iniziativa a suo tempo assunta dalla polizia giudiziaria e la legittimità dell’arresto – e, perciò l’esistenza dei presupposti che avrebbero giustificato la relativa convalida – già riconosciute da questa Corte con la presente decisione, meglio esplicitata nel dispositivo che segue.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata perché l’arresto è stato legittimamente eseguito.
Così deciso il 11/07/2024