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Quantificazione pena: inammissibile il ricorso

La Corte di Cassazione, con ordinanza del 2025, ha dichiarato inammissibile un ricorso contro la quantificazione della pena stabilita dalla Corte d’Appello. Secondo i giudici supremi, la valutazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito. Se la motivazione è adeguata e logica, come nel caso di specie, il ricorso non può essere accolto, comportando la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Quantificazione pena: quando il ricorso in Cassazione è inammissibile

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale del nostro ordinamento giuridico: la quantificazione della pena rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Quando tale potere è esercitato con una motivazione adeguata e logica, il ricorso presentato davanti alla Suprema Corte non può che essere dichiarato inammissibile. Analizziamo questa importante decisione per comprenderne i dettagli e le implicazioni pratiche.

Il caso: un ricorso contro la determinazione della pena

Il caso trae origine dal ricorso di un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Bologna. Il ricorrente contestava la misura della pena inflitta, ritenendola non congrua. La questione centrale, quindi, non verteva sulla colpevolezza dell’imputato, ma esclusivamente sulla valutazione operata dai giudici di secondo grado nel determinare la sanzione da applicare.

La discrezionalità del giudice e la quantificazione pena

Uno dei pilastri del diritto penale è la discrezionalità del giudice nel commisurare la pena. Gli articoli 132 e 133 del codice penale forniscono i criteri guida: il giudice deve tenere conto della gravità del reato e della capacità a delinquere del colpevole, valutando una serie di fattori oggettivi e soggettivi. Questo potere, tuttavia, non è arbitrario. Esso deve essere esercitato all’interno della cornice edittale (il minimo e il massimo di pena previsti dalla legge) e deve essere supportato da una motivazione che dia conto del percorso logico-giuridico seguito. La scelta di fissare la pena base, così come la valutazione di attenuanti e aggravanti, spetta al giudice che ha una conoscenza diretta del processo.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso e lo ha ritenuto inammissibile. I giudici supremi hanno sottolineato come il giudice di merito, nel caso specifico la Corte d’Appello, avesse pienamente adempiuto al proprio onere argomentativo. La sentenza impugnata, infatti, spiegava in modo corretto e congruo le ragioni per cui la pena inflitta dal primo giudice era stata considerata adeguata.

L’adeguatezza della motivazione come scudo all’inammissibilità

La Corte ha specificato che il controllo di legittimità esercitato dalla Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito della vicenda. Se il giudice d’appello ha fornito un “congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti”, la decisione sulla quantificazione della pena diventa insindacabile in sede di legittimità. In altre parole, la Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito, a meno che la motivazione di quest’ultimo non sia palesemente illogica, contraddittoria o del tutto assente.

La dichiarazione di inammissibilità e le sue conseguenze

Sulla base di queste considerazioni, il ricorso è stato dichiarato inammissibile. Tale esito comporta non solo la conferma definitiva della condanna, ma anche un’ulteriore conseguenza per il ricorrente: la condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma, fissata in tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.

Conclusioni: le implicazioni pratiche della decisione

Questa ordinanza riafferma un principio consolidato: non è sufficiente essere in disaccordo con la pena ricevuta per poterla contestare efficacemente in Cassazione. È necessario dimostrare un vizio specifico nella motivazione della sentenza impugnata. La decisione serve da monito sulla necessità di formulare ricorsi fondati su vizi di legittimità concreti e non su una mera speranza di ottenere una valutazione più favorevole nel merito. Per i cittadini, ciò significa che la difesa tecnica deve concentrarsi, fin dai primi gradi di giudizio, sulla costruzione di argomenti solidi che possano influenzare la discrezionalità del giudice, poiché le possibilità di rimettere in discussione la quantificazione della pena in Cassazione sono, per legge, molto limitate.

È possibile contestare in Cassazione la misura della pena decisa da un giudice?
Sì, ma solo se la decisione del giudice di merito (primo grado o appello) è priva di motivazione o si basa su una motivazione manifestamente illogica. Se il giudice ha spiegato adeguatamente le ragioni della sua scelta, esercitando la sua discrezionalità nei limiti della legge, il ricorso è inammissibile.

Cosa significa che il giudice ha un “potere discrezionale” nella quantificazione della pena?
Significa che, nel rispetto dei minimi e massimi previsti dalla legge per un certo reato, il giudice ha la facoltà di scegliere la pena concreta più adatta al caso specifico, tenendo conto di elementi come la gravità del fatto e la personalità dell’imputato, come indicato dagli artt. 132 e 133 del codice penale.

Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile?
Come stabilito nel provvedimento, la persona che ha presentato il ricorso viene condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, in questo caso fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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