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Quantificazione della pena: i limiti del ricorso

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 34925/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di due imputati contro la quantificazione della pena. La Corte ha ribadito che la determinazione della sanzione è un potere discrezionale del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se la motivazione è sufficiente e non illogica, soprattutto quando la pena si avvicina al minimo edittale.

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Pubblicato il 18 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Quantificazione della Pena: la Discrezionalità del Giudice e i Limiti del Sindacato di Legittimità

La determinazione della giusta pena è uno dei compiti più delicati del giudice penale. La legge fornisce una cornice, un minimo e un massimo, ma spetta al magistrato calibrare la sanzione al caso concreto. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato i principi che governano la quantificazione della pena, chiarendo i ristretti limiti entro cui è possibile contestarla in sede di legittimità. Vediamo nel dettaglio la decisione e le sue implicazioni pratiche.

Il Caso in Esame: Ricorso contro il Trattamento Sanzionatorio

Due soggetti, condannati in Corte d’Appello, hanno presentato ricorso per Cassazione lamentando un vizio di motivazione proprio in relazione al trattamento sanzionatorio. A loro avviso, i giudici di merito non avevano adeguatamente giustificato la misura della pena inflitta, discostandosi dal minimo edittale senza sufficienti ragioni. Il motivo del ricorso si concentrava esclusivamente sulla presunta inadeguatezza delle argomentazioni a sostegno della pena scelta.

La Discrezionalità nella Quantificazione della Pena secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato i ricorsi inammissibili, cogliendo l’occasione per ribadire un principio consolidato nel nostro ordinamento. La quantificazione della pena è espressione della discrezionalità tipica del giudice di merito. Questo significa che il giudice, nel decidere ‘quanto’ infliggere, esercita un potere di valutazione che non può essere messo in discussione dalla Corte di Cassazione, se non in casi eccezionali.

Il sindacato di legittimità, infatti, non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice che ha esaminato le prove e conosciuto direttamente il processo. Può intervenire solo se la motivazione è:

* Totalmente assente.
* Manifestamente illogica o contraddittoria.
* Frutto di mero arbitrio, senza alcun ancoraggio ai criteri legali.

Le Motivazioni della Decisione

Nel caso specifico, la Cassazione ha ritenuto la motivazione della Corte d’Appello pienamente sufficiente. I giudici di merito avevano infatti considerato elementi concreti previsti dall’art. 133 del codice penale, quali l’intensità del dolo, i motivi a delinquere, la gravità del fatto e, per uno degli imputati, i numerosi e specifici precedenti penali. Questi fattori giustificavano ampiamente uno scostamento dal minimo previsto dalla legge.

Inoltre, la Corte ha sottolineato un altro principio fondamentale: l’obbligo di motivazione si attenua tanto più la pena inflitta si avvicina al minimo edittale. Se un giudice applica una pena molto più vicina al minimo che al massimo, è sufficiente un mero richiamo ai criteri dell’art. 133 c.p. per considerare la decisione adeguatamente motivata. Esigere una giustificazione analitica per ogni singolo aspetto sarebbe un onere sproporzionato e non richiesto dalla legge.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza conferma la solidità di un orientamento giurisprudenziale che tutela l’autonomia del giudice di merito nella fase cruciale della commisurazione della pena. Per gli operatori del diritto, la lezione è chiara: un ricorso in Cassazione basato unicamente sulla contestazione della misura della pena ha scarsissime probabilità di successo, a meno che non si possa dimostrare un’irragionevolezza palese o una totale assenza di giustificazione nella sentenza impugnata. Non basta il semplice disaccordo con la valutazione del giudice; è necessario individuare un vero e proprio ‘vizio’ logico-giuridico nel suo ragionamento. La decisione rafforza la discrezionalità del giudice nel personalizzare la sanzione, purché tale potere sia esercitato entro i binari della logica e dei criteri normativi.

È possibile contestare in Cassazione l’ammontare di una pena decisa da un giudice?
Sì, ma solo in casi limitati. È possibile farlo se la motivazione del giudice è totalmente assente, manifestamente illogica, contraddittoria o frutto di mero arbitrio. Non si può chiedere alla Cassazione di rivalutare i fatti per ottenere una pena ritenuta più equa.

Cosa si intende per “discrezionalità del giudice” nella quantificazione della pena?
È il potere, conferito al giudice dalla legge, di determinare l’esatta misura della sanzione entro i limiti minimi e massimi previsti, basandosi sui criteri dell’art. 133 del codice penale, come la gravità del reato, l’intensità del dolo e la capacità a delinquere del reo.

Quando una motivazione sulla pena è considerata “sufficiente” dalla Corte di Cassazione?
Secondo l’ordinanza, la motivazione è sufficiente quando il giudice fa riferimento, anche in modo sintetico, ai criteri legali. L’obbligo di fornire una motivazione dettagliata si attenua notevolmente quando la pena inflitta è molto più vicina al minimo edittale che al massimo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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