Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5783 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5783 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a GIOIA DEL COLLE il 26/04/1996
avverso la sentenza del 11/12/2023 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
NOME COGNOME ricorre, a mezzo del difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo: a. vizio di motivazione in ordine alla quantificazione della pena, ritenendo contraddittorio che la Corte territoriale abbia da un lato riconosciuto la circostanza attenuante di cui all’art. 589 bis, comma 7, cod. pen. ma poi non abbia conseguentemente applicato il minimo edittale, bensì una pena base di anni quattro e mesi sei di reclusione «in relazione alla gravità del fatto e per l’incoscienza gravemente colposa dell’imputato; b. vizio di motivazione nella parte della sentenza in cui la Corte di appello non ha riconosciuto nella massima estensione la diminuzione per la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen., in considerazione del ruolo secondario svolto dall’imputato nel risarcimento del danno; c. violazione di legge in ordine al mancato riconoscimento di un’ulteriore diminuzione per la circostanza attenuante di cui all’art 589 bis, comma 7, cod. pen. sotto il diverso profilo della assenza di protezione dell’albero ad alto fusto contro cui ha impattato l’autovettura condotta dall’imputato.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
I motivi in questione non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata e sono privi della puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricors e dei correlati congrui riferimenti alla motivazione dell’atto impugnato (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione).
Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della Corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto e pertanto immune da vizi di legittimità.
3.1. In ordine al primo motivo di ricorso, assolutamente generiche e prive di reale confronto con la sentenza impugnata sono le doglianze poste dalla difesa.
I giudici del gravame del merito, in accoglimento dei motivi di appello, hanno tenuto conto del riconoscimento delle circostanze attenuanti di cui all’art. 589 bis,
comma 7 e 62 n. 6 cod. pen., nonché delle circostanze attenuanti generiche non concesse in primo grado, e operato le relative riduzioni.
In ordine al quantum della pena sono poi partiti, valutando i fatti nel loro complesso, da una pena inferiore al c.d. medio edittale, senza che vi sia alcuna contraddizione con il fatto di avere ritenuto il concorso di colpa della persona offesa ai fini del riconoscimento della specifica circostanza attenuante. E va ricordato che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, COGNOME, Rv. 230278). Il giudice del merito esercita la discrezionalità che la legge gli conferisce, attra verso l’enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008, COGNOME, Rv. 239754). Il sindacato di legittimità sussiste solo quando la quantificazione costituisca il frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico.
3.2 In ordine al secondo motivo di ricorso, deve premettersi che, ai fini della riconoscibilità della attenuante generale del risarcimento del danno è necessario, secondo la stessa puntuale nozione legislativa data alla fattispecie dall’art. 62, n. 6, cod. pen., che il soggetto a ciò tenuto abbia, prima del giudizio, integralmente provveduto alla riparazione del danno cagionato con il reato da lui commesso ovvero di essersi spontaneamente ed efficacemente adoperato per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato stesso. Si tratta, come questa Corte ha chiarito, di una circostanza ancipite, applicabile, quanto alla prima ipotesi, ai reati che abbiano avuto come effetto una lesione del patrimonio dei soggetti danneggiati da essi, e, nella seconda, ai reati che non abbiano cagionato un danno di carattere patrimoniale (cfr. Sez. 4, n. 13870 del 6/02/2009, COGNOME, Rv. 243202- 01).
Questa Corte ha altresì stabilito che «ai fini della configurabilità dell’atte nuante di cui all’art. 62, comma primo, n. 6), cod. pen., il risarci mento del danno eseguito dal terzo assicuratore deve ritenersi effettuato dall’imputato, anche se soggetto diverso dall’assicurato, a condizione che questi ne abbia avuto conoscenza e abbia mostrato la volontà di farlo proprio. (Fattispecie in tema di omicidio colposo da sinistro stradale cagionato da un dipendente della società titolare del contratto di assicurazione).» (Sez. 4 n. 12121 del 14/12/2022 Ud., COGNOME, Rv. 284327 – 01).
In attuazione di tali principi giurisprudenziali, la Corte territoriale, discostan dosi dal primo giudice, ha riconosciuto l’attenuante in oggetto tenendo conto che
i danni subiti dai congiunti della Varvara e dei passeggeri della Fiat Panda siano stati integralmente risarciti prima dell’instaurazione del giudizio dalla compagnia assicurativa della autovettura (Unipol SAI Assicurazioni S.p.a.) di proprietà della nonna dell’imputato. La corte, dunque, ha desunto dallo stretto rapporto parentelare dell’imputato con la proprietaria dell’assicurazione, la conoscenza e la volontà in capo allo stesso dell’avvenuto risarcimento.
In sede di determinazione della diminuzione, tuttavia, i giudici del gravame del merito hanno ritenuto di non operarla nella massima estensione «proprio in considerazione del ruolo secondario svolto dal prevenuto nel risarcimento del danno». E la motivazione sul punto è del tutto congrua laddove questa Corte di legittimità ritiene che deve ritenersi adempiuto l’obbligo di motivazione da parte del giudice di merito in ordine alla misura della riduzione della pena per effetto dell’applicazione di un’attenuante, finanche attraverso l’adozione, in sentenza, di una formula sintetica, quale “si ritiene congruo” (cfr. Sez. 4, n. 54966 del 20/09/2017, COGNOME, Rv. 271524; così sez. 6, n. 9120 del 2/7/1998, COGNOME e altri, Rv. 211583).
3.3. Manifestamente infondato, infine, è il terzo motivo di ricorso.
In primis, perché la circostanza dell’albero ad alto fusto nel tratto stradale interessato dal sinistro, che il ricorrente ritiene integrare la violazione degli art 14 cod. strada e 1 del D.M. 2367/04 e quindi collegata alla responsabilità dell’Ente proprietario della strada non pare, alla luce di quanto si legge nelle sentenze di merito, ricollegabile con certezza alla genesi dell’incidente. Non obbligando, peraltro, come ricorda la sentenza impugnata, l’art. 26 reg. esec. cod. strada, l’eliminazione delle alberature preesistenti.
Ma, soprattutto – e da qui l’esatto rilievo che il motivo di appello dovesse ritenersi assorbito dal primo – perché nella previsione di cui all’art. 590-bis comma 7, ed all’unica riduzione fino alla metà della pena evidentemente ricollegabile a tale circostanza attenuante, convergono tutte quelle situazioni che portano ad affermare che l’evento non sia stato «esclusiva competenza dell’azione o dell’omissione del colpevole».
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle mende.
Così deciso il 22/01/2025