Qualificazione giuridica del fatto: i limiti del ricorso contro il patteggiamento
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce i confini molto stretti entro cui è possibile contestare una sentenza di patteggiamento, soprattutto quando l’oggetto del contendere è la qualificazione giuridica del fatto. Questo caso offre uno spunto prezioso per comprendere come e quando si può rimettere in discussione un accordo sulla pena già approvato da un giudice.
I Fatti del Caso: La Contestazione dell’Aggravante
Il caso nasce da un ricorso presentato dal difensore di un imputato contro una sentenza del Tribunale di Rimini. Il giudice, su richiesta concorde delle parti, aveva applicato una pena di tre anni di reclusione (sostituita con la detenzione domiciliare) per reati di bancarotta. L’accordo tra accusa e difesa, quindi, era già stato raggiunto e formalizzato con il rito del patteggiamento, previsto dall’art. 444 del codice di procedura penale.
Tuttavia, il difensore ha deciso di impugnare la sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione. Il motivo del ricorso si concentrava su un punto specifico: l’errata qualificazione giuridica del fatto. Secondo la difesa, il giudice di primo grado aveva erroneamente riconosciuto l’esistenza dell’aggravante dei più fatti di bancarotta (art. 219 Legge Fallimentare), un’aggravante che, a suo dire, non era stata chiaramente ed esplicitamente contestata dal Pubblico Ministero nell’imputazione. In sostanza, si contestava che la pena fosse stata calcolata su una base giuridica più grave di quella formalmente contestata.
Il Ricorso in Cassazione e la corretta qualificazione giuridica del fatto
Il ricorso si fondava sulla presunta violazione dell’art. 606, lettera b), del codice di procedura penale, che permette di ricorrere in Cassazione per l’erronea applicazione della legge penale. La difesa sosteneva che, non essendo l’aggravante desumibile in modo ‘incontrovertibile’ dal capo d’imputazione, il giudice non avrebbe dovuto tenerne conto nel calcolo della pena patteggiata.
Questo argomento tocca un nervo scoperto del patteggiamento: l’accordo tra le parti deve basarsi su una contestazione chiara e definita, e qualsiasi modifica sostanziale della qualificazione giuridica del fatto da parte del giudice deve seguire percorsi procedurali precisi. La difesa ha quindi tentato di far valere questo principio per ottenere un annullamento della sentenza.
Le Motivazioni della Decisione
Nonostante le argomentazioni della difesa, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Sebbene l’ordinanza non entri nel dettaglio del ragionamento, questa decisione si allinea con l’orientamento consolidato della giurisprudenza sui limiti all’impugnazione delle sentenze di patteggiamento, come stabilito dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p.
Questa norma limita fortemente i motivi di ricorso, escludendo, tra le altre cose, le doglianze sulla valutazione delle prove o sulla motivazione. Il ricorso è ammesso solo per motivi specifici, come l’erronea qualificazione giuridica del fatto, ma a condizione che tale errore abbia prodotto effetti concreti e rilevanti, ad esempio portando a una pena di specie diversa. Nel caso di specie, è probabile che la Corte abbia ritenuto che l’aggravante fosse implicitamente inclusa nella descrizione dei fatti contestati o che, in ogni caso, l’accordo tra le parti avesse sanato ogni potenziale incertezza. Dichiarando l’inammissibilità, la Corte ha di fatto stabilito che le censure sollevate non rientravano nel ristretto novero dei vizi deducibili contro una sentenza di patteggiamento, condannando il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Le Conclusioni
La decisione in esame è un monito importante: il patteggiamento è un accordo che cristallizza la posizione processuale dell’imputato. Una volta raggiunto, le possibilità di rimetterlo in discussione sono estremamente limitate. La contestazione di un’errata qualificazione giuridica del fatto deve fondarsi su vizi evidenti e proceduralmente rilevanti, non su mere interpretazioni dell’imputazione. Per le difese, ciò significa che ogni aspetto dell’accusa, comprese le aggravanti, deve essere attentamente vagliato e discusso prima di prestare il consenso all’accordo sulla pena, poiché lo spazio per ripensamenti successivi è, per scelta del legislatore, quasi inesistente.
È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento?
Sì, ma solo per un numero limitato di motivi previsti dalla legge (art. 448, comma 2-bis, c.p.p.), come l’errata espressione della volontà dell’imputato, la violazione del diritto di difesa, l’illegalità della pena applicata o un’errata qualificazione giuridica del fatto.
Cosa si intende per errata qualificazione giuridica del fatto?
Significa che il giudice ha inquadrato i fatti in una norma penale sbagliata. Nel caso specifico, la difesa sosteneva che il giudice avesse applicato un’aggravante (quella dei più fatti di bancarotta) che non era stata formalmente contestata dal Pubblico Ministero.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso?
Comporta che la Corte di Cassazione non esamina il merito delle questioni sollevate. Il ricorso viene rigettato per ragioni procedurali e la sentenza impugnata diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 35626 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Penale Ord. Sez. 5 Num. 35626 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Data Udienza: 07/10/2025
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da
COGNOME
Presidente –
Ord. n. sez. 1479/2025
NOME BELMONTE
CC – 07/10/2025
COGNOME COGNOME
Relatore –
R.NUMERO_DOCUMENTO.N. NUMERO_DOCUMENTO
NOME COGNOME
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a CESENA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/04/2025 del G.U.P. presso il Tribunale di Rimini Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con la sentenza sopra indicata, il giudice del Tribunale di Rimini, su richiesta delle parti, ha applicato al ricorrente, ex art. 444 c.p.p., la pena di anni 3 di reclusione, oltre pene accessorie ex art. 216 L.F., sostituita, ex artt. 56 e 56-ter L. n. 689/1981, con la detenzione domiciliare per medesimo periodo da eseguirsi presso la abitazione di residenza/dimora.
Avverso tale pronuncia, ricorre per cassazione il difensore di fiducia dell’imputato, deducendo violazione dell’art. 606 lett. b) c.p.p. in relazione all’art. 326, comma 2, lett. a), D. Lgs. 12 gennaio 2019 e all’art. 448 2-bis c.p.p.
E’ errata la qualificazione giuridica del fatto nella parte in cui il G.u.p. presso il Tribunale di Rimini riconosceva la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 219 L.F. dei più fatti di bancarotta in quanto questa non appare essere stata oggetto di contestazione da parte del Pubblico Ministero. Invero, dal testo dell’imputazione formulata non è possibile desumere incontrovertibilmente la formulazione dell’aggravante in questione, della quale, pertanto non si sarebbe dovuto tenere conto
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 7/10/2025. Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME