Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1996 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1996 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a San Severo il DATA_NASCITA rappresentato ed assistito dall’AVV_NOTAIO, di fiducia avverso la sentenza in data 24/11/2022 della Corte di appello di Bari, terza sezione penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che è stata avanzata rituale richiesta dalle parti di trattazione orale ai sensi degli artt. 611, comma 1-bis cod. proc. pen., 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato in forza dell’art. 5-duodecies del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo, dall’art. 17 del d.l. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 112;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria con la quale il Sostituto procuratore generale, NOME COGNOME, riportandosi alla memoria in data 09/11/2023, ha concluso chiedendo di dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
udita la discussione della difesa del ricorrente, AVV_NOTAIO, comparsa in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, che si è riportata ai motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 24/11/2022, la Corte di appello di Bari, pronunciando sull’appello proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Foggia nonché dall’imputato NOME COGNOME avverso la sentenza resa in data 19/09/2018 dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Foggia in esito a giudizio abbreviato, dichiarava il COGNOME colpevole del reato di cui agli artt. 110, 628, commi secondo e terzo n. 1 cod. pen. (capo A), come originariamente contestato, nonché del reato di cui agli artt. 110, 337 e 339, primo comma, cod. pen. (capo B), avvinti gli stessi dal vincolo della continuazione e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate circostanze aggravanti e recidiva, lo condannava alla pena di anni due, mesi dieci di reclusione ed euro 1.000 di multa. In primo grado, l’imputato era stato condannato alla pena di anni uno, mesi quattro di reclusione ed euro 400 di multa per il capo A (riqualificato il fatto in furto semplice) ed assolto per il capo B pe insussistenza del fatto.
Avverso la predetta sentenza, nell’interesse di NOME COGNOME, è stato proposto ricorso per cassazione, per i sottoindicati motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Primo motivo: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 125, 192, 530, 546 cod. proc. pen. e 337 cod. pen. Evidenzia il ricorrente come, a fronte dell’assoluzione per il capo B e la condanna per la più tenue ipotesi di furto aggravato per il capo A da parte del giudice di primo grado, in appello, l’imputato otteneva un ribaltamento decisorio non assistito da motivazione rafforzata. In particolare, la Corte territoriale mutuava integralmente la ricostruzione operata dal primo giudice, limitandosi ad una trasformazione della stessa attraverso qualche integrazione del tutto irrilevante, senza procedere ad una rinnovazione istruttoria attraverso l’esame dei testi verbalizzanti, che avrebbero potuto obiettivamente spiegare le modalità della fuga dell’imputato e dissolvere ogni dubbio al riguardo.
Secondo motivo: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 125, 192, 530, 546 cod. proc. pen., 628, terzo comma, n. 1 e 339 cod. pen. Dalla lettura delle sentenze di merito emerge solo che il COGNOME si pose all’interno del veicolo rubato e la presenza di altro soggetto è stata solo ipotizzata sulla base
della necessaria presenza di altro complice che, nelle circostanze di tempo e di luogo in cui si realizzò la sottrazione del mezzo, avrebbe preso posto su un’autovettura di colore nero.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Manifestamente infondato è il primo motivo.
2.1. La diversa qualificazione “in diritto” effettuata in grado di appello di una condotta contestata “in fatto” in modo invariato nel corso di tutta la progressione processuale, anche se produce un aggravamento della posizione dell’imputato non è una situazione riconducibile al ribaltamento della sentenza assolutoria che è alla base della giurisprudenza della Corte Edu oltre che di quella espressa delle sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione.
Si tratta di situazioni assolutamente differenti: altro è la assegnazione di una diversa qualificazione giuridica; altro è il ribaltamento di una sentenza assolutoria sulla base della rivalutazione solo cartolare di testimonianze decisive. La rinnovazione è necessaria solo quando la progressione processuale vede la successione “assoluzione-condanna” e non quando viene confermata la condanna per lo stesso fatto seppur diversamente (e più gravemente) qualificato, peraltro già originariamente contestato. In tale ultimo caso, non si effettua alcuna rivalutazione del fatto, che rimane lo stesso, mutando solo la qualifica giuridica; né tantomeno si rivaluta in peius, su base cartolare, la prova dichiarativa assunta in contraddittorio, effettuando l’operazione “ingiusta” censurata dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo (cfr., Dan c. Moldavia del 05/11/2011, COGNOME c. Belgio del 07/07/1989, e poi, ex plurimis, COGNOME c. Romania del 27/06/2000; COGNOME c. Islanda del 15/07/2003; COGNOME c. Francia del 18/05/2004; COGNOME c. Spagna del 21/01/2006; COGNOME c. Romania del 05/03/2013; COGNOME c. Romania del 09/04/2013).
2.2. Peraltro, nel caso di specie, l’assegnazione della qualificazione giuridica diversa in appello è avvenuta nel pieno rispetto del diritto di difesa e delle indicazioni fornite dalla Corte Edu (nel caso COGNOME v. Italia, Corte Edu, Sez. 2 del 8 gennaio 2017), essendo la qualifica più grave quella originariamente assegnata al fatto dal pubblico ministero, sicché l’imputato su quella qualifica ha avuto la possibilità di esercitare il proprio diritto di difesa sin dal primo grado giudizio (cfr., in fattispecie simile, Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, COGNOME, Rv. 270109).
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In tal senso, va ribadito il principio di diritto secondo cui “In tema di rinnovazione del dibattimento, la diversa qualificazione giuridica del fatto effettuata in grado di appello, in assenza del ribaltamento di una precedente sentenza assolutoria e di un diverso apprezzamento delle prove dichiarative, non impone l’obbligo per il giudice di procedere alla rinnovazione di queste ultime”.
2.3. Sulla base del presupposto della rilevata ricorrenza dell’ipotesi in contestazione in punto di materialità richiesta dalla fattispecie incriminatrice, la Corte territoriale ha ritenuto, con motivazione del tutto congrua e priva di vizi logico-giuridici, in conformità ai principi di diritto sopra esposti, di non dover disporre la rinnovazione istruttoria invocata dalla Procura generale, non venendo in rilievo “né l’attendibilità degli agenti verbalizzanti né una diversa interpretazione delle risultanze delle prove dichiarative, trattandosi di fatti che presentano una consistenza oggettiva tale da non poter essere mediati dalla interpretazione del dichiarante”.
Aspecifico e comunque manifestamente infondato è il secondo motivo.
3.1. La Corte territoriale ha ritenuto la ricorrenza dell’aggravante delle più persone riunite “a fronte della simultanea presenza, nota alla vittima, di non meno di due persone sul luogo e nel momento di realizzazione della violenza o della minaccia, in modo da potersi affermare che questa sia stata posta in essere con modalità condivisa da parte di ciascuno dei soggetti agenti, ovvero che la mera presenza di parte di uno dei complici della violenza o della minaccia possa essere interpretata alla stregua di un rafforzamento della medesima. Nel caso in esame – ha proseguito la Corte territoriale – la presenza, durante la fuga del COGNOME, di un altro soggetto che a bordo di una autovettura di colore nero seguiva le medesime violazioni stradali commesse dal prevenuto, frapponendosi tra questi e i suoi inseguitori, è riferita non solo dagli agenti verbalizzanti ma anche dallo stesso COGNOME NOME, legale rappresentante della società proprietaria del veicolo sottratto, nella denuncia in atti”.
Dette valutazioni di merito, che si pongono in insanabile contrasto con gli assunti difensivi, sono del tutto insindacabili in questa sede.
3.2. Al giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sull motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perch ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Suprema Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei
provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispettino sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.
3.3. Può, quindi, affermarsi che, anche a seguito delle modifiche dell’art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen., ad opera della L. n. 46 del 2006, art. 8, “mentre non è consentito dedurre il travisamento del fatto, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, è invece, consentito dedurre il vizio di travisamento della prova, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano” (Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, COGNOME, Rv. 238215).
Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila, così quantificata in ragione dei profili di colpa emergenti dal ricorso, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 19/12/2023.