Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 4173 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 4173 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 07/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a DIANO D’ALBA il 06/03/1948
avverso la sentenza del 09/05/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
letta la memoria dell’avv. NOME COGNOME del foro di Torino, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, con annullamento di entrambe le sentenze di merito e trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica di Vercelli;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 9 maggio 2024 la Corte d’appello di Torino ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Vercelli – in esito al dibattimento aveva dichiarato NOME COGNOME colpevole del reato di cui all’art. 624-bis cod. pen. e, previa esclusione delle contestate aggravanti e della recidiva, e concessione delle attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena di anni 2 e mesi 8 di reclusione, ed euro 900 di multa.
1.1. Secondo la concorde ricostruzione dei giudici di merito, NOME COGNOME si introdusse, insieme a NOME COGNOME (nei cui confronti si procede separatamente), nell’abitazione di NOME COGNOME approfittando della sua assenza, e si impossessò dei beni indicati nella imputazione.
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
2.1. Con un unico motivo si lamenta violazione della legge processuale, ovvero degli artt. 516 e ss. cod. proc. pen., con conseguente nullità della decisione.
Si osserva che solo al termine della requisitoria, assente l’imputato, il pubblico ministero aveva chiesto la condanna per il reato di furto in abitazione, mentre invece l’azione penale era stata esercitata per il meno grave reato di cui all’art. 624 cod. pen.: dalla mancata applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 516 e ss. cod. proc. pen. è quindi derivata la nullità della sentenza, già eccepita con l’atto di appello.
Che la diversa qualificazione giuridica non possa avere conseguenze sfavorevoli per l’imputato è un principio fatto proprio anche dal legislatore italiano, seppure con riguardo alla individuazione dei poteri del giudice della impugnazione (art. 597, comma 3, cod. proc. pen.).
Si osserva, inoltre, che il potere attribuito al giudice di dare al fatto una diversa qualificazione giuridica si pone in contrasto con l’art. 6, par. 4, della direttiva 2012/13/UE, come interpretato dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea (causa C-175/22).
Infine, si prospettano «profili di dubbia costituzionalità» dell’art. 521 cod. proc. pen., nella parte in cui non impone al giudice di applicare le pene previste per la fattispecie oggetto della originaria contestazione, nel caso in cui dalla diversa qualificazione giuridica discendano conseguenze sfavorevoli sul piano sanzionatorio.
Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione scritta, e le parti hanno formulato, per iscritto, le conclusioni come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
1.1. Quanto alla ritenuta nullità, per violazione degli artt. 516 e ss. cod. proc. pen. (p. 3 ricorso), è pacifico che, nel caso in esame, il primo giudice non ha operato un mutamento degli elementi essenziali del fatto, avendo esclusivamente offerto dello stesso una diversa qualificazione giuridica, ai sensi dell’art. 521, comma 1, cod. proc. pen..
Secondo il costante insegnamento di questa Corte, sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza solo se il fatto contestato sia mutato nei suoi elementi essenziali, così da provocare una situazione di incertezza e di cambiamento sostanziale della fisionomia dell’ipotesi accusatoria capace di impedire o menomare il diritto di difesa dell’imputato (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051; conf., Sez. 3, n. 24932 del 10/02/2023, COGNOME, Rv. 284846 – 04; Sez. 2, n. 17565 del 15/03/2017, COGNOME Rv. 269569; Sez. 6, n. 6346 del 09/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254888).
Nel caso in esame, invece, il fatto contestato è rimasto immutato in tutti i suoi elementi e il Tribunale ne ha solo modificato la qualificazione giuridica, così esercitando il potere di applicare la norma al fatto come contestato ed accertato.
Nella imputazione, del resto, è chiaro il riferimento al fatto che l’imputato commise il furto facendo ingresso nell’abitazione di NOME COGNOME come riconosce lo stesso ricorrente (p. 1 memoria ex art. 611 cod. proc. pen.).
Non giova al ricorrente nemmeno il richiamo all’art. 597 cod. proc. pen., sia perché la riqualificazione è stata operata già in primo grado, sia perché la norma opera su piano diverso.
La norma è infatti destinata a regolare i poteri del giudice di appello, escludendo che possa essere irrogata, senza l’appello del pubblico ministero, una pena più grave, per specie o quantità, anche nel caso in cui sia stata data al fatto una definizione giuridica più grave (c.d. divieto di reformatio in peius).
1.2. Sono infondate anche le ulteriori doglianze.
Il ricorrente, dopo aver ricordato che l’attribuzione di un diverso nomen iuris ha determinato l’applicazione di un più grave trattamento sanzionatorio, lamenta il contrasto tra l’art. 521, comma 1, cod. proc. pen. e l’art. 6, par. 4, della direttiva 2012/13/UE (p. 3 ricorso), come interpretato dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea (causa C-175/22).
Osserva il Collegio che il tema della qualificazione giuridica è stato fatto oggetto di esame da parte delle Corti europee (cfr., Corte EDU, 11/12/2007, COGNOME contro Italia, n. 25574/04 e, più di recente, Corte di giustizia UE, 9/11/2022, BK, C-175/22), in relazione all’esigenza di assicurare il diritto di difesa e di garantire il contraddittorio, per tale motivo essendosi segnalata la contrarietà ai principi del giusto processo di una riqualificazione non prevista e non prevedibile e tale da pregiudicare la facoltà di difendersi.
Sicché, non è ipotizzabile alcuna violazione qualora, come nella specie, nell’imputazione figurino ab origine elementi di fatto che rendano prevedibile la diversa qualificazione giuridica come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, in relazione al quale il difensore abbia avuto la possibilità di interloquire.
Nel caso in esame il capo di imputazione contiene un chiaro riferimento al fatto che la condotta furtiva fu commessa all’interno di una privata abitazione («… dopo essere entrati all’interno dell’abitazione di »); la diversa qualificazione giuridica, quindi, non fu affatto imprevedibile, come correttamente rilevato dai giudici di merito (p. 4 sentenza ricorsa).
Inoltre, la riqualificazione fu operata in sentenza, ma ancor prima fu sollecitata dal pubblico ministero nel corso della discussione, così consentendo alla difesa di contraddire su tale profilo; possibilità consentita anche nei successivi gradi di giudizio.
D’altra parte, costituisce ius receptum il principio secondo cui non sussiste violazione del diritto al contraddittorio quando l’imputato abbia avuto modo di interloquire in ordine alla nuova qualificazione giuridica attraverso l’ordinario rimedio dell’impugnazione, e non solo davanti al giudice di secondo grado, ma anche davanti al giudice di legittimità (Sez. 4, n. 42613 del 11/09/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 23410 del 01/07/2020, COGNOME, Rv. 279772 – 01, in un caso in cui il giudice di appello aveva riformato la sentenza di condanna di primo grado riqualificando i fatti da delitti tentati a consumati, Sez. 4, n. 49175 del 13/11/2019, D., Rv. 277948 – 01; Sez. 5, n. 19380 del 12/02/2018, COGNOME, Rv. 273204 – 01; Sez. 2, n. 45795 del 13/11/2012, COGNOME, Rv. 254357 – 01; Sez. 3, n. 2341 del 07/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254135 – 01).
A non diverse conclusioni conduce la sentenza della Corte di giustizia U.E. (9/11/2022, BK, C-175/22), richiamata dal ricorrente sotto diversi profili.
Quanto all’assenza dell’imputato all’udienza in cui fu chiesta la riqualificazione, è sufficiente osservare che la garanzia dell’equità del procedimento non implica che della diversa qualificazione giuridica sia necessariamente informato anche l’imputato, oltre al suo difensore (punti 36, 38, 40, 47).
Neppure implica l’incondizionato differimento dell’udienza prima della deliberazione: secondo la Corte di giustizia UE, tanto la necessità di concedere un termine, quanto la sua durata, debbono essere oggetto di valutazione, da parte del giudice, tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto (punto 47).
Quanto, GLYPH invece, alla concretezza del GLYPH pregiudizio derivante dalla riqualificazione nel più grave reato di cui all’art. 624-bis cod. pen., la difesa non ha neppure prospettato la possibilità di richiedere nuove prove, né in primo grado, né dinanzi alla Corte d’appello.
Limitandosi a richiamare le ricadute in termini sanzionatori, il ricorrente non ha quindi indicato, con la necessaria specificità, alcuna lesione delle prerogative difensive.
D’altra parte, la Corte di giustizia UE, nella pronuncia richiamata, ha sottolineato che «i considerando da 27 a 29 della direttiva 2012/13, mirano a garantire l’equità del procedimento e a consentire l’esercizio effettivo dei diritti della difesa» (punto 34), e da tale premessa ha tratto la conclusione per cui ciò che conta è che l’imputato possa esercitare pienamente i diritti della difesa, essendo invece priva di rilievo, al fine di verificarne la violazione dell’equità, la maggiore o minore severità della pena comminata (punto 46); tutto ciò in aperto contrasto con la deduzione svolta dal ricorrente.
1.3. Osserva infine il Collegio che la doglianza con cui si prospetta l’illegittimità costituzionale dell’art. 521 cod. proc. pen. (p. 4 ricorso), peraltr formulata in termini ipotetici, è del tutto aspecifica.
Questa Corte ha già sottolineato come debba ritenersi inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che, deducendo una eccezione di illegittimità costituzionale, si limiti ad indicare solo le disposizioni di legge ritenute illegittim e gli articoli della Costituzione che si assumono violati, poiché, a norma dell’art. 581, lett. c), cod. proc. pen., i motivi di impugnazione debbono contenere l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta (Sez. 5, n. 24054 del 27/04/2016, COGNOME, Rv. 267113 – 01; Sez. 5, n. 51253 del 11/11/2014, COGNOME, Rv. 262200 – 01).
Il ricorrente, d’altra parte, non ha nemmeno espressamente indicato gli articoli della Costituzione che si assumono violati, non ottemperando alle prescrizioni indicate dall’art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87 (secondo cui la parte deve indicare le disposizioni di legge o dell’atto avente forza di legge dello Stato o di una Regione, viziate da illegittimità costituzionale e le disposizioni della Costituzione o delle leggi costituzionali che sia assumono violate).
r;
v’
k,
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 7 novembre 2024