Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 6219 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 2 Num. 6219 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PIACENZA il 30/08/1996
avverso la sentenza del 25/11/2024 del GIP TRIBUNALE di PIACENZA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME rilevato che il procedimento è stato trattato con il rito “de plano”;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza resa, ex art. 444 cod. proc. pen., in data 25 novembre 2024 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Piacenza, sull’accordo delle parti, applicava all’imputato COGNOME COGNOME la pena di anni due di reclusone ed euro 1.000,00 di multa in relazione ai reati di tentata rapina aggravata (capo 1), lesioni personali (capo 2) e porto abusivo di coltello (capo 3).
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento e articolando un unico motivo di doglianza, con il quale deduceva erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione in punto di qualificazione giuridica del reato di cui al capo 1), nonché improcedibilità dell’azione penale per intervenuta remissione di querela.
Assumeva, in particolare, che l’imputato aveva chiesto alla parte offesa di consegnargli del denaro in relazione a un rapporto negoziale lecito intercorso fra i due, in forza del quale la detta parte offesa risultava debitore, così che il fatto doveva essere più correttamente qualificato ai sensi dell’art. 393 cod. pen., improcedibile in relazione all’intervenuta (in data 22 maggio 2024) remissione di querela.
3. Il ricorso è inammissibile.
Deve, invero, essere richiamato il consolidato orientamento del Giudice di legittimità, condiviso da questo Collegio, secondo il quale, in caso di sentenza di applicazione di pena su richiesta di parte, anche a seguito dell’introduzione dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione giuridica del fatto è limitata ai casi in cui quest’ultima risulti, con indiscussa immediatezza, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione, dovendo escludersi l’ammissibilità dell’impugnazione che richiami, quale necessario passaggio logico del motivo di ricorso, aspetti in fatto e probatori che – come nella fattispecie – non risultino con immediatezza dalla contestazione. La verifica sulla corretta qualificazione giuridica del fatto, ossia, va compiuta esclusivamente sulla base dei capi di imputazione, della succinta motivazione della sentenza e dei motivi dedotti in ricorso (Sez. 1, n. 15553 del 20/03/2018, COGNOME, Rv. 272619; Sez. 6, n. 3108 del 08/01/2018, COGNOME, Rv. 272252; Sez. 6, n. 2721 del 08/01/2018, Bouaroua, Rv. 272026).
Ciò premesso, deve osservarsi che nel caso di specie il capo di imputazione non contiene alcun riferimento a un debito pregresso fra l’imputato e la vittima quale ragione giustificatrice dell’agire del primo, con conseguente manifesta infondatezza dell’invocata fattispecie prevista e punita dall’art. 393 cod. pen.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile; il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 11/02/2025