Qualificazione Giuridica del Fatto: Limiti al Ricorso in Cassazione dopo il Patteggiamento
La qualificazione giuridica del fatto è uno dei momenti centrali del processo penale, in cui il giudice stabilisce quale norma incriminatrice si applica al comportamento concreto dell’imputato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 23256 del 2024, offre un importante chiarimento sui limiti all’impugnazione di tale qualificazione, specialmente nei casi in cui si sia fatto ricorso al rito speciale dell’applicazione della pena su richiesta delle parti, noto come ‘patteggiamento’.
Il Caso in Esame
Il caso trae origine dal ricorso di un soggetto condannato per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. La difesa contestava la qualificazione giuridica del fatto operata dal Tribunale, sostenendo che la condotta dovesse rientrare nella fattispecie di lieve entità, prevista dal comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. 309/1990, e non in quella più grave del comma 1 dello stesso articolo. L’obiettivo era ottenere una pena più mite, data la presunta minore gravità del reato.
I Limiti al Ricorso per Erronea Qualificazione Giuridica del Fatto
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fondando la sua decisione sulla base dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma disciplina in modo restrittivo i motivi di ricorso avverso le sentenze di patteggiamento. In particolare, per quanto riguarda la qualificazione giuridica del fatto, il ricorso è consentito solo quando l’errore del giudice di merito sia palese, manifesto e immediatamente riscontrabile dagli atti.
Il legislatore ha voluto evitare che il ricorso in Cassazione si trasformi in un’occasione per riesaminare il merito della vicenda o per rimettere in discussione le prove. L’errore deve essere, per usare le parole della Corte, ‘palesemente eccentrico’ rispetto al capo di imputazione e alla motivazione della sentenza, senza che sia necessario alcun approfondimento fattuale o probatorio.
Le motivazioni della Corte di Cassazione
Nel caso specifico, la Suprema Corte ha osservato che la richiesta del ricorrente non si basava su un errore evidente, ma implicava una riconsiderazione del materiale probatorio. In particolare, si chiedeva di valutare diversamente un elemento decisivo: il quantitativo della sostanza stupefacente. Si trattava di cocaina con un principio attivo pari a 63,354 grammi, da cui era possibile ricavare circa 416 dosi medie. Secondo la Corte, un dato quantitativo di tale portata è oggettivamente incompatibile con la nozione di ‘lieve entità’. Di conseguenza, la qualificazione giuridica del fatto come reato non lieve non appariva manifestamente errata. La richiesta del ricorrente si traduceva, in sostanza, in una denuncia di ‘errori valutativi’ e nella prospettazione di una ricostruzione dei fatti alternativa, attività che non è consentita in sede di legittimità avverso una sentenza di patteggiamento.
Le conclusioni e le Implicazioni Pratiche
L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: il patteggiamento è un accordo tra accusa e difesa che cristallizza una certa valutazione del fatto. L’impugnazione successiva è un rimedio eccezionale, non uno strumento per rinegoziare l’accordo o per ottenere una nuova valutazione del merito. La decisione chiarisce che la contestazione sulla qualificazione giuridica del fatto non può essere utilizzata per mascherare una rivalutazione degli elementi fattuali, come il quantitativo di droga. Per i difensori, ciò significa che la scelta del patteggiamento deve essere ponderata attentamente, essendo le successive vie di impugnazione estremamente limitate. L’errore di diritto che può essere fatto valere deve essere macroscopico e di immediata percezione, altrimenti il ricorso sarà inevitabilmente dichiarato inammissibile, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
È sempre possibile ricorrere in Cassazione per un’erronea qualificazione giuridica del fatto dopo un patteggiamento?
No, non è sempre possibile. L’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. limita questa possibilità ai soli casi in cui la qualificazione giuridica data dal giudice sia palesemente eccentrica e l’errore risulti con indiscussa immediatezza dagli atti, senza necessità di riesaminare prove o fatti.
Perché la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso in questo caso specifico?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché la richiesta di riqualificare il reato come ‘fatto di lieve entità’ avrebbe richiesto una nuova valutazione dei fatti, in particolare del dato quantitativo dello stupefacente (equivalente a circa 416 dosi medie). Tale valutazione è preclusa in sede di legittimità per questo tipo di ricorso.
Quale elemento è stato decisivo per escludere la ‘lieve entità’ del fatto?
L’elemento decisivo è stato il dato quantitativo della sostanza stupefacente. La detenzione di cocaina con un principio attivo tale da poter ricavare 416 dosi medie è stata considerata dalla Corte una condotta non compatibile con la fattispecie di lieve entità, rendendo la qualificazione giuridica originaria non palesemente errata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 23256 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 6 Num. 23256 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME NOME a CROTONE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/04/2024 del TRIBUNALE di CROTONE
udita la relazione svolta dal Presidente NOME COGNOME; lette/sentite le conclusioni del PG
Ritenuto che il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile con procedura de plano perché i motivi proposti non sono consentiti in relazione alla tipologia di sentenza impugnata.
Il ricorso è inammissibile non configurandosi, infatti, se non in termini astratti e meramente evocativi del vizio, la condizione della erronea qualificazione giuridica del fatto previsto dall’art. 73, comma 1, d.P.R. 309/1990, rispetto alla qualificazione ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 309 cit.
La disposizione di cui all’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., che elenca espressamente gli unici casi nei quali è previsto il ricorso per cassazione avverso la decisione di applicazione della pena, consente alle parti di dedurre l’erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza, da condursi alla stregua del capo di imputazione, della succinta motivazione della sentenza e dei motivi dedotti nel ricorso, e che tuttavia deve ritenersi limitata ai casi in cui tale qualificazione risult con indiscussa immediatezza, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione, dovendo, in particolare, escludersi l’ammissibilità dell’impugnazione che richiami, quale necessario passaggio logico del motivo di ricorso (Sez. 7, n. 39600 del 10/09/2015, Casarin, Rv. 264766) aspetti in fatto e probatori che non risultino con immediatezza dalla contestazione.
Nel caso in esame la stessa struttura del ricorso (che richiama i capi di imputazione sub 25 e 28 a fronte di un’unica contestazione di detenzione a fini di cessione) si risolve, al di là dell’enunciazione dell’erronea qualificazione giuridica del fatto, nella denuncia errori valutativi nella prospettazione di un’alternativa e più logica ricostruzione dei fatti del tutto infondati a stregua del dato quantitativo dello stupefacente (cocaina) dal quale era ricavabile, in ragione del principio attivo pari a 63,354 grammi, circa 416 dosi medie, condotta inidonea a connotare il fatto in termini di fattispecie di lieve entità.
2.Consegue alla dichiarazione di inammissibilità la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 27 maggio 2024
$ ZIONE VI PENALE