Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 46726 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 46726 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI FIRENZE nel procedimento a carico di:
COGNOME nato il 03/10/1963
avverso la sentenza del 17/06/2024 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE del TRIBUNALE di GROSSETO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 17 giugno 2024 il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Grosseto, su concorde richiesta formulata dalle parti, ha applicato a NOME COGNOME la pena, condizionalmente sospesa, di anni due di reclusione per il reato di cui agli artt. 589, primo e ultimo comma, cod. pen. (capo a) e per il reato di cui all’art. 1123 cod. nav. (capo b).
Il procedimento ha ad oggetto un grave incidente nautico verificatosi il 23 luglio 2022 in acque territoriali ricadenti nel Comune di Monte Argentario. La dinamica del sinistro è ricostruita nel capo di imputazione e la sentenza di applicazione della pena dà atto che questa ricostruzione è fondata sull’esito «della perizia disposta in sede di incidente probatorio».
L’imputato COGNOME si trovava alla guida dell’imbarcazione «RAGIONE_SOCIALE» modello Fairline, battente bandiera danese ed era diretto da Nettuno verso l’Isola d’Elba. Nel tratto di mare compreso tra il promontorio dell’Argentario e l’Isola del Giglio, la parte prodiera della chiglia della «RAGIONE_SOCIALE» urtò a poppavia del traverso di diritta, con un angolo di 35 gradi, l’imbarcazione a vela «RAGIONE_SOCIALE», in quel momento condotta con propulsione a motore da NOME COGNOME, che era diretta all’Isola del Giglio. La collisione provocò la morte di NOME COGNOME e NOME COGNOME e lesioni personali a NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME
Secondo l’accusa, l’incidente fu causato da COGNOME con una condotta negligente, imprudente, imperita e contrastante con le norme stabilite dal Regolamento internazionale per prevenire gli abbordi in mare (COLREG 1972). Più in particolare, COGNOME è accusato: di aver mantenuto nella navigazione un assetto «appoppato», con la prua alzata di circa sei gradi, pur dovendo navigare con i riflessi del sole basso all’orizzonte sul parabrezza del motoscafo; di aver mantenuto una velocità di navigazione di 20/22 nodi senza mai decelerare nonostante la scarsa visibilità dovuta al riflesso del sole e all’assetto «appoppato»; di non aver lasciato libera la rotta all’imbarcazione «Vahiné», privandola del diritto di precedenza pur essendo sopraggiunto da sinistra rispetto alla rotta di quella imbarcazione. In tesi accusatoria, a causa di tale comportamento colposo, COGNOME non si avvide per tempo della presenza di un’altra imbarcazione e, di conseguenza, non attuò alcuna manovra per evitare l’impatto.
Oltre ad essere imputato – al capo a) – della violazione dell’art. 589 cod. pen., COGNOME è imputato, al capo b), della violazione dell’art. 1123 cod. nav. la cui rubrica testualmente recita: «danneggiamento con pericolo colposo di naufragio o di disastro aviatorio». Secondo l’accusa, con le condotte colpose sopra descritte,
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l’imputato avrebbe causato «danni al timone, alla leva di controllo dell’andatura del timone, alla strumentazione e quadro dei comandi, nonché ai componenti strutturali dell’armamento e al pozzetto» dell’imbarcazione «Vahiné», così determinando «pericolo di naufragio».
Contro la sentenza di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen. ha proposto tempestivo ricorso il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Firenze deducendo, ai sensi dell’art. 448, comma 2 bis, cod. proc. pen., l’erronea qualificazione giuridica del fatto contestato al capo b).
Osserva il ricorrente che – come si evince dalla perizia svolta in sede di incidente probatorio richiamata anche dalla sentenza impugnata – l’imbarcazione condotta dall’imputato investì con notevole forza e velocità, sormontandola completamente, l’imbarcazione a vela «Vahiné» la quale, a causa di questo potentissimo urto, riportò i danni descritti nel capo di imputazione. Tali danni resero l’imbarcazione «non più in grado di galleggiare regolarmente» e «totalmente inidonea alla navigazione». Pertanto, il fatto non avrebbe dovuto essere ricondotto entro l’ambito operativo della fattispecie di cui all’art. 1123 cod. nav., ma avrebbe dovuto essere qualificato come violazione del più grave reato previsto dagli artt. 428 e 449, comma 2, cod. pen. Di conseguenza, l’istanza di applicazione della pena formulata dalle parti non avrebbe potuto essere accolta.
A sostegno di tali conclusioni il ricorrente osserva che, per espressa previsione del comma 3, l’art. 1123 cod. nav. si applica solo se il fatto non è previsto «come più grave reato da altra disposizione di legge». Ricorda, inoltre, che, sulla base di un consolidato orientamento giurisprudenziale, ai fini della sussistenza del delitto di cui agli artt. 428 e 449, comma 2, cod. pen., perché si abbia naufragio non è necessario che il natante sia affondato, ma è sufficiente che lo stesso non sia più in grado di galleggiare regolarmente, risultando così inutilizzabile per la navigazione (il ricorrente cita: Sez. 4, n. 19137 del 18/11/2014, dep. 2015. COGNOME, Rv. 263491; Sez. 4, n. 49887 del 16/10/2018, A., Rv. 273997).
In data 30 ottobre 2024, i difensori delle persone offese NOME COGNOME, NOME COGNOME (in proprio e quale curatrice speciale di NOME COGNOME e NOME COGNOME), NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME hanno presentato una memoria scritta a sostengo dell’impugnazione proposta dal Procuratore generale di Firenze. Hanno sottolineato di avere interesse a sostenere tale impugnazione atteso che la qualificazione giuridica dei fatti, ritenuta corretta dalla sentenza impugnata, è destinata a riverberarsi in termini negativi sulla determinazione dell’entità del danno che dovrà essere risarcito.
I difensori delle persone offese osservano: che il consenso all’applicazione della pena è stato prestato sulla base di una errata qualificazione giuridica del fatto e in assenza di risarcimento del danno; che la definizione del processo penale con sentenza di applicazione della pena costringe le vittime e i loro prossimi congiunti a intraprendere «una complicata azione civile nei confronti di una compacinia assicurativa con sede all’estero e di un cittadino danese che sino ad ora non ha manifestato alcuna attenzione» nei loro confronti. Rilevano, inoltre, che l’errore nella qualificazione giuridica del fatto è manifesto in ragione della incontrovertibil presenza di danni strutturali all’imbarcazione tali da comprometterne definitivamente la capacità di navigazione autonoma. Ricordano che – come affermato dai periti in sede di incidente probatorio – la forza distruttiva dell’impat fu tale da rendere necessario il successivo rimorchio in porto dell’imbarcazione a vela. I difensori delle persone offese si dolgono, infine, che, in ragione dell’errat qualificazione giuridica del fatto, l’imputato abbia potuto godere di un trattamento sanzionatorio assai mite. Ricordano che il reato di cui agli artt. 449, comma 2, cod. pen. è punito con una pena edittale che lo rende più grave del reato di cui all’art. 589, primo e ultimo comma, cod. pen. contestato al capo a) e sostengono che il grado della colpa fu così elevato da «lambire la colpa cosciente».
Con memoria scritta tempestivamente depositata il Procuratore generale della Corte di cassazione ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
I difensori dell’imputato ne hanno chiesto il rigetto con memoria in data 8 novembre 2024.
I difensori delle persone offese hanno replicato con memoria del 21 novembre 2024.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, «ai fini della sussistenza del delitto di cui agli artt. 428 e 449, comma secondo, cod. pen., perché si abbia naufragio non è necessario che il natante sia affondato, ma è sufficiente che lo stesso non sia più in grado di galleggiare regolarmente, risultando così inutilizzabile per la navigazione». Questo principio è stato affermato in un caso in cui l’imbarcazione sulla quale viaggiava la persona offesa aveva riportato danni strutturali tali da comprometterne l’autonoma capacità di navigazione: si trattava di un gommone che, a seguito dell’impatto, pur galleggiando, non era più idoneo a navigare, tanto da dover essere trainato in porto (Sez. 4, n. 49887 del 16/10/2018, A.,
Rv. 273997). Lo stesso principio è stato affermato in un caso in cui vi era stato l’inabissamento solo parziale di una imbarcazione a motore dovuto alla falla apertasi nello scafo a seguito dell’urto della porzione poppiera dell’unità contro alcuni scogli (Sez. 4, Sentenza n. 19137 del 18/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263491). In sintesi: a differenza del delitto di cui all’art. 1123 cod. nav., c ha ad oggetto la «sicurezza della navigazione», il delitto di cui all’art. 449, comma 2 cod. pen. è posto a tutela della «pubblica incolumità». Richiede dunque che l’evento sia qualificabile come naufragio in ragione della sua gravità e della sua incidenza sulle sorti del natante a prescindere dal fatto che vi sia stata sommersione. (Sez. 4, n. 13893 del 27/02/2009, COGNOME, Rv. 243214).
3. Il ricorrente sostiene che la qualificazione giuridica del fatto di cui al cap b) come violazione dell’art. 1123 cod. nav. non sarebbe corretta. Osserva a tal fine che, com’è emerso dalla perizia svolta nelle forme dell’incidente probatorio, la barca sulla quale viaggiavano le persone offese fu investita con notevole forza e velocità e «sormontata completamente» dall’imbarcazione condotta dall’imputato. Il ricorrente rileva, inoltre, che il motore della «Vahiné» era ancora acceso dopo la collisione, ma ciò non garantiva che l’imbarcazione fosse in condizione di navigare e, infatti, a fini cautelari, i Vigili del fuoco interv tagliarono «i conduttori dell’elettrovalvola del carburante» e «un tubo di alimentazione».
Secondo il ricorrente, la qualificazione giuridica del fatto di cui al capo b) è palesemente eccentrica, sia rispetto al contenuto della imputazione, sia rispetto alle emergenze investigative, e ciò risulta, con immediatezza e senza margini di opinabilità, già dalla lettura del capo di imputazione. Se è vero, infatti, ch l’imbarcazione a vela non affondò; è pur vero che la stessa non era più in grado di navigare per la rottura di elementi strutturali (come si legge nell’imputazione, vi erano danni «al timone, alla leva di controllo dell’andatura del timone, alla strumentazione e quadro di comandi, nonché ai componenti strutturali dell’armamento e al pozzetto»). Nella prospettiva del ricorrente, a ciò deve aggiungersi che, pur non essendosi spento a causa della collisione, il motore non poteva essere usato per spostare l’imbarcazione e, per poterla trainare in porto in sicurezza, i Vigili del fuoco fecero in modo che il motore non potesse più ricevere carburante.
4. Come noto, ai sensi dell’art. 448, comma 2 bis, cod. proc. pen., le parti legittimate possono proporre ricorso per cassazione avverso una sentenza di patteggiamento deducendo l’erronea qualificazione del fatto ritenuto in sentenza. Per giurisprudenza costante, tuttavia, tale possibilità è limitata ai soli casi di erro
manifesto e un tale errore è configurabile soltanto se si tratta di una qualificazione giuridica che, con indiscussa immediatezza e senza margini di opinabilità, è palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione (cfr. Sez. 2, n. 14377 del 31/03/2021, COGNOME, Rv. 281116; Sez. 5, n. 33145 del 08/10/2020, Cari, Rv. 279842; Sez. 1, n. 15553 del 20/03/2018, COGNOME, Rv. 272619). Come è stato opportunamente sottolineato: «è inammissibile l’impugnazione che denunci, in modo aspecifico e non autosufficiente, una violazione di legge non immediatamente evincibile dal tenore dei capi di imputazione e dalla motivazione della sentenza» (Sez. 4, n. 13749 del 23/03/2022, COGNOME, Rv. 283023)
Nel caso in esame, il ricorso non fornisce argomenti dai quali possa desumersi, con indiscussa immediatezza e senza margini di opinabilità, che la qualificazione giuridica del fatto di cui al capo b) sia eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione.
Il capo b) della rubrica descrive, sulla base degli esiti della perizia, i dan riportati dalla imbarcazione sulla quale viaggiavano le persone offese. Vi si legge che furono danneggiati il timone, la leva di controllo dell’andatura del timone, la strumentazione, il quadro di comando, alcune componenti strutturali dell’armamento e il pozzetto. I danni così descritti non consentono di ritenere che l’imbarcazione non fosse in grado di galleggiare regolarmente e fosse inutilizzabile per la navigazione. Non rileva in tal senso che la «RAGIONE_SOCIALE» abbia dovuto essere trainata in porto, atteso che, come lo stesso ricorrente riferisce, questa scelta fu adottata a scopo cautelare dai Vigili del fuoco, che tagliarono «i conduttori dell’elettrovalvola del carburante» e «un tubo di alimentazione».
Non si versa, dunque, in un caso neppure lontanamente assimilabile a quelli nei quali la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto fondato il ricorso proposto a sensi dell’art. 448, comma 2 bis cod. proc. pen. per errata qualificazione giuridica del fatto. Ciò è avvenuto, ad esempio: in un caso in cui, sulla base del capo di imputazione e della motivazione della sentenza, il contestato furto aggravato integrava un tentativo di rapina impropria (Sez. 2, n. 14377 del 31/03/2021, COGNOME, Rv. 281116); in un caso di illecita detenzione di hashish con principio attivo pari a 725,715 grammi, palesemente inferiore rispetto alla soglia di due chilogrammi indicata per la configurazione della aggravante dell’ingente quantità (Sez. 6, n. 25617 del 25/06/2020; Annas, Rv. 279573); in un caso in cui il giudice, pur avendo riconosciuto l’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, essendo state detenute a fini di spaccio sostanze stupefacenti diverse, aveva ritenuto sussistente una pluralità di reati in continuazione tra di loro invece d un’unica fattispecie delittuosa (Sez. 6, n. 20326 del 10/06/2020, NOME COGNOME Rv. 279267); in un caso nel quale era stata riconosciuta la recidiva nei confronti di un imputato gravato da un solo precedente per delitto colposo (Sez. 6, n. 44393
del 24/09/2019, COGNOME, Rv. 277214). Tutti casi nei quali l’esistenza di un errore valutativo emergeva già dalla lettura del capo di imputazione: ben diversi, dunque, da quello in esame, nel quale non v’è evidenza alcuna che i danni descritti al capo b) fossero tali da precludere all’imbarcazione la possibilità di navigare; una conclusione non imposta, «con indiscussa immediatezza», neppure dalla constatazione che, a fini cautelari, i soccorritori decisero di trainare in porto il natante dopo averne disattivato il motore.
Per quanto esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Così deciso il 26 novembre 2024
Il Consiglier estensore
Il Presdte