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Pubblica fornitura: Cassazione chiarisce i limiti

La Corte di Cassazione ha assolto i dirigenti di una società di gestione del servizio idrico dall’accusa di frode in pubblica fornitura. La sentenza chiarisce che una concessione di servizio pubblico non rientra nella nozione di contratto di pubblica fornitura, presupposto essenziale per i reati contestati (artt. 355 e 356 c.p.). Di conseguenza, i fatti addebitati non costituiscono reato, portando a un’assoluzione piena.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pubblica fornitura: Cassazione traccia la linea con le concessioni

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 14022/2024) offre un chiarimento fondamentale sulla nozione di pubblica fornitura, distinguendola nettamente dalla concessione di servizio pubblico. Questa distinzione è cruciale, poiché determina l’applicabilità di gravi figure di reato come l’inadempimento e la frode nei contratti con la Pubblica Amministrazione. La Corte ha stabilito che i reati previsti dagli artt. 355 e 356 del codice penale non si applicano ai rapporti di concessione, portando all’assoluzione piena degli imputati.

I Fatti di Causa

Il caso vedeva coinvolti alcuni responsabili e dipendenti di una società concessionaria del servizio idrico integrato. Erano accusati di non aver adempiuto correttamente agli obblighi derivanti da due convenzioni stipulate con enti pubblici per la gestione di un importante impianto di depurazione. In particolare, la contestazione riguardava la presunta mancata attivazione di alcune fasi del processo di depurazione, condotta che, secondo l’accusa, integrava i reati di inadempimento di contratti di pubblica fornitura (art. 355 c.p.) e frode (art. 356 c.p.).

La Corte di Appello, pur dichiarando i reati estinti per prescrizione, aveva confermato la condanna generica al risarcimento dei danni a favore delle parti civili (un Ministero e un Comune), ritenendo sussistente un illecito civile. Gli imputati hanno quindi presentato ricorso in Cassazione, contestando la qualificazione giuridica del rapporto e la sussistenza stessa dei reati.

La Decisione della Corte: la nozione di pubblica fornitura

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando la sentenza impugnata e assolvendo gli imputati con la formula “perché il fatto non sussiste”. La decisione si fonda su un’analisi rigorosa della nozione di pubblica fornitura e dei suoi confini.

Il Collegio ha stabilito che i rapporti in questione, derivanti da convenzioni per la gestione del servizio idrico, non potevano essere qualificati come contratti di pubblica fornitura, bensì come concessioni di servizio pubblico. Questa differenza non è meramente formale, ma sostanziale, e impedisce l’applicazione delle norme penali contestate.

Le motivazioni

La Corte ha spiegato che un contratto di pubblica fornitura si caratterizza per tre elementi essenziali:
1. Qualifica pubblicistica del committente: Il contratto è stipulato con lo Stato, un ente pubblico o un esercente di un servizio pubblico.
2. Sinallagma negoziale: Prevede una prestazione di cose o opere da parte di un contraente privato in cambio di un corrispettivo.
3. Causa pubblicistica: L’oggetto del contratto è strettamente correlato al regolare funzionamento di un servizio o stabilimento pubblico.

Nel caso di specie, mancava il dualismo soggettivo tipico della fornitura. La società non era un semplice fornitore che eseguiva una prestazione per l’ente pubblico; era essa stessa il soggetto che gestiva il servizio pubblico di depurazione. In una concessione, il concessionario assume la gestione del servizio, diventando al contempo il soggetto tenuto alla manutenzione e il destinatario della prestazione stessa, in quanto funzionale al servizio che è chiamato a erogare.

Applicare le norme sulla pubblica fornitura a una concessione costituirebbe, secondo la Corte, un’interpretazione analogica in malam partem, vietata in materia penale dal principio di legalità (art. 25 Cost.). Le norme penali devono essere interpretate restrittivamente, senza estenderle a situazioni non esplicitamente previste dal legislatore.

Inoltre, la Corte ha criticato la sentenza di merito per non aver valutato se le presunte inadempienze avessero effettivamente compromesso l’efficienza depurativa dell’impianto, elemento che entrambe le sentenze di merito sembravano aver escluso.

Conclusioni

La sentenza rappresenta un punto fermo nell’interpretazione dei reati contro la Pubblica Amministrazione. Le sue implicazioni pratiche sono notevoli:

* Certezza del diritto: Stabilisce un confine chiaro tra l’inadempimento contrattuale in una concessione, che può avere rilevanza civile o amministrativa, e le specifiche fattispecie penali previste per la pubblica fornitura.
* Principio di legalità: Ribadisce l’importanza di un’interpretazione rigorosa e letterale delle norme penali, impedendo estensioni analogiche che potrebbero ledere i diritti degli imputati.
* Tutela per i concessionari: Offre maggiore chiarezza agli operatori economici che gestiscono servizi pubblici in regime di concessione, definendo con precisione l’ambito delle loro responsabilità penali per questo tipo di reati.

In conclusione, la Corte ha affermato che, in assenza di un vero e proprio contratto di fornitura, non possono configurarsi i delitti di cui agli artt. 355 e 356 c.p., portando a un’assoluzione piena che prevale sulla prescrizione.

Qual è la differenza fondamentale tra una ‘pubblica fornitura’ e una ‘concessione di servizio pubblico’ ai fini dei reati di cui agli artt. 355 e 356 c.p.?
Una ‘pubblica fornitura’ è un contratto in cui un soggetto privato fornisce beni o opere a un ente pubblico. Una ‘concessione di servizio pubblico’, invece, è un atto con cui un privato assume la gestione diretta di un intero servizio. Secondo la sentenza, i reati di inadempimento e frode in pubblica fornitura si applicano solo al primo caso, poiché nella concessione manca il dualismo tra fornitore ed ente ricevente.

Perché gli imputati sono stati assolti con formula piena (‘perché il fatto non sussiste’) invece che per prescrizione?
Sono stati assolti con formula piena perché la Corte ha ritenuto mancante l’elemento costitutivo fondamentale del reato: l’esistenza di un contratto di pubblica fornitura. Poiché il rapporto era una concessione, il fatto storico, così come contestato, non poteva legalmente costituire i reati previsti dagli artt. 355 e 356 c.p. In base all’art. 129 c.p.p., l’assoluzione nel merito prevale sempre sulla declaratoria di estinzione del reato come la prescrizione.

Un inadempimento contrattuale nella gestione di un servizio pubblico in concessione è sempre penalmente irrilevante?
No. La sentenza chiarisce che l’inadempimento in una concessione non integra i reati specifici di inadempimento e frode in pubblica fornitura (artt. 355 e 356 c.p.). Tuttavia, ciò non esclude che la stessa condotta possa, in altre circostanze, integrare diverse figure di reato (es. truffa ai danni dello Stato, reati ambientali, etc.), a seconda delle sue specifiche modalità e conseguenze.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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