LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Provvedimento abnorme: quando un ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una parte offesa contro un’ordinanza di archiviazione per un reato di corruzione. Il ricorrente sosteneva che la decisione del giudice fosse un provvedimento abnorme, in quanto impediva la persecuzione di un illecito. La Suprema Corte ha chiarito che un’ordinanza di archiviazione, basata su una valutazione giuridica come l’applicazione del principio ‘ne bis in idem’, non costituisce un atto abnorme, ma un legittimo esercizio della funzione giurisdizionale, non impugnabile in Cassazione se non nei casi tassativamente previsti dalla legge.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 14 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Provvedimento abnorme: la Cassazione ne definisce i confini invalicabili

Nel complesso panorama della procedura penale, esistono concetti che fungono da valvole di sicurezza per garantire la coerenza del sistema. Uno di questi è il provvedimento abnorme, un rimedio eccezionale contro atti giudiziari che deviano radicalmente dalla logica processuale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. n. 31937/2024) offre un’importante lezione sui limiti di questa nozione, stabilendo che un’ordinanza di archiviazione, anche se basata su una valutazione giuridica contestata, non rientra in tale categoria.

I fatti di causa

Il caso trae origine dal ricorso presentato dalla parte offesa in un procedimento per corruzione in atti giudiziari. Inizialmente, era stata contestata la corruzione legata alla nomina di un amministratore giudiziario nell’ambito di una procedura di prevenzione. Successivamente, erano emersi indizi relativi a un distinto patto corruttivo, questa volta finalizzato all’adozione stessa del provvedimento di sequestro dei beni.

Il Pubblico Ministero aveva chiesto l’archiviazione per questa seconda ipotesi di reato. A seguito dell’opposizione della parte offesa, il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) aveva emesso l’ordinanza di archiviazione, ritenendo che il nuovo fatto rientrasse nell’unico accordo corruttivo già giudicato, applicando di fatto il principio del ne bis in idem (divieto di un secondo giudizio per lo stesso fatto). La parte offesa ha quindi proposto ricorso per cassazione, sostenendo l’abnormità funzionale dell’ordinanza, in quanto essa avrebbe impedito di perseguire un grave illecito, bloccando di fatto la giustizia.

La decisione della Corte sul provvedimento abnorme

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: il ricorso in Cassazione contro un’ordinanza di archiviazione è possibile solo in casi eccezionali e tassativamente previsti dalla legge, come le nullità specificate nell’art. 410-bis del codice di procedura penale.

Il concetto di provvedimento abnorme non può essere invocato per contestare la valutazione giuridica del GIP. L’abnormità, spiega la Corte, può essere di due tipi:
1. Strutturale: quando l’atto è talmente singolare e anomalo da non essere inquadrabile in alcuno schema legale.
2. Funzionale: quando l’atto, pur essendo previsto dalla legge, determina una stasi insuperabile del processo o un’inversione della sua sequenza logica.

Nel caso di specie, l’ordinanza del GIP non presentava nessuno di questi vizi.

Le motivazioni

La Corte ha spiegato che la decisione del GIP di archiviare il caso basandosi sull’applicazione del principio del ne bis in idem rappresenta un error in iudicando, ovvero un errore nella valutazione e interpretazione della legge sostanziale. Tali errori, per costante giurisprudenza, non rendono un provvedimento abnorme. Il giudice è libero di motivare il proprio convincimento, anche discostandosi dalle tesi del pubblico ministero o della parte offesa. Questo atto rientra pienamente nelle sue funzioni e non crea alcuna paralisi processuale.

La frustrazione dell’aspettativa della parte offesa di ottenere un risarcimento del danno, conseguenza inevitabile dell’archiviazione, non è un criterio per qualificare l’atto come abnorme. L’ordinamento affida al pubblico ministero il ruolo di dominus dell’azione penale, e il vaglio del GIP sulla richiesta di archiviazione è un passaggio rituale e corretto del procedimento. Pertanto, il mancato perseguimento del reato ipotizzato, se frutto di un vaglio giurisdizionale legittimo, non costituisce una disfunzione del sistema.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce con forza la natura eccezionale del rimedio del provvedimento abnorme. Esso non è uno strumento per contestare nel merito le decisioni di un giudice, ma solo per sanare situazioni patologiche che minano la struttura stessa del processo. La valutazione circa l’esistenza di un reato o l’applicabilità di principi come il ne bis in idem rientra nella piena discrezionalità del giudice e, sebbene possa essere opinabile, non può essere censurata in Cassazione attraverso la via dell’abnormità. Questa pronuncia consolida la stabilità delle decisioni di archiviazione e traccia un confine netto tra l’errore di giudizio e la deviazione patologica dalla norma processuale.

Quando un’ordinanza di archiviazione può essere considerata un provvedimento abnorme?
Secondo la Corte, un’ordinanza di archiviazione non è abnorme quando si limita a una valutazione giuridica della notizia di reato, anche se contestabile. Diventa abnorme solo se si pone completamente al di fuori del sistema normativo, causando una stasi insuperabile del processo, cosa che una decisione di archiviazione non fa.

La parte offesa può ricorrere in Cassazione contro un’ordinanza di archiviazione perché non condivide le motivazioni del giudice?
No. Il ricorso in Cassazione è limitato ai soli casi di nullità previsti dall’art. 410-bis, comma 2, c.p.p. Non è possibile impugnare l’ordinanza per contestare ‘errores in iudicando’, cioè errori del giudice nell’interpretazione della legge o nella valutazione dei fatti.

La decisione del giudice di archiviare un caso impedendo alla vittima di ottenere un risarcimento è motivo di abnormità?
No. La Corte ha chiarito che la frustrazione dell’aspettativa della parte offesa al raggiungimento dei suoi scopi risarcitori non è un elemento sufficiente a radicare la disfunzione di un provvedimento e, quindi, a renderlo abnorme.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati